Report a cura di Bianca Secchieri
È un venerdì sera decisamente mite in quel di Parma, la classica ‘ottobrata’, con l’immancabile umidità padana che appiccica i vestiti alla pelle anche una volta calato il sole. L’occasione è di quelle ghiotte: i Paradise Lost tornano in Italia colmando un’assenza che durava dal 2017 (l’ultima apparizione su suolo emiliano è datata addirittura 2008) per l’unica data nel nostro paese di questo tour europeo. Negli ultimi due – sciaguratissimi – anni la band di Halifax ci ha regalato materiale prezioso, dando alle stampe il bellissimo “Obsidian”, e il doppio live “At The Mill” (trasmesso via streaming nel novembre del 2020), due ottimi motivi per essere presenti nonostante la sveglia del mattino seguente non conosca pietà nemmeno il sabato. E sono davvero in tantissimi i presenti alla serata (parliamo di circa settecentocinquanta persone), un risultato strabiliante se tenuto conto che nel milanese si esibiva – contestualmente – l’accoppiata Cradle Of Filth e Alcest, certamente molto vicina in termini di ‘bacino di utenza’ alla band inglese.
HANGMAN’S CHAIR
Approdiamo quindi nel già gremito ingresso del Campus quando l’esibizione dei musicisti francesi è appena iniziata; la band ha il compito di aprire il concerto e noi abbiamo la possibilità di ascoltarli per la prima volta in sede live. La loro proposta è piuttosto variegata: partiti da territori stoner/doom venati di sludge e heavy/grunge (in pieno stile a stelle strisce), si sono progressivamente spostati verso lidi più soft, aggiungendo al contempo una nota di malinconia alla loro musica, divenuta più ‘leggera’ ma anche sicuramente più personale e profonda.
Con quasi vent’anni di attività alle spalle, i ragazzi dell’Île-de-France non sono certo dei novellini e lo dimostrano sul palco apparendo totalmente a loro agio, pur senza guizzi particolari (com’è del resto lecito aspettarsi visto il genere di appartenenza), puntando tutto sull’aspetto musicale ed emozionale.
Il pubblico è attento e sembra apprezzare il gothic/doom del gruppo, nel quale ascoltiamo echi di Katatonia e Type O Negative oltre che un certo gusto ‘alternative’ per le melodie, che ricorda il Marilyn Manson più introspettivo. La militanza di Clément Hanvic e Julien Rour Chanut (rispettivamente basso e chitarra) negli Arkangel, band vicina al metalcore, si fa sentire – più o meno di striscio – a livello di sezione ritmica, con qualche break-up e in generale con il basso a farla spesso da padrone.
Pur non conoscendo a menadito la produzione della band transalpina, notiamo come il focus sia sull’ultimo uscito – “A Loner” – dal quale vengono proposte “An Ode To Breakdown”, “Who Wants To Die Old” e “Storm Resounds”. I suoni sono pastosi e caldi, forse troppo (come vedremo poi coi Paradise Lost) ma tutto sommato funzionali alla proposta, che acquista groove e calore rispetto alla prova su disco.
Certamente non la nostra cosiddetta ‘cup of tea’, tanto che sul finire del concerto si fa largo un po’ di noia, ma comunque un’esibizione onesta per una band tutto sommato in linea con il mood degli headliner.
PARADISE LOST
Durante il cambio palco abbiamo il tempo di dare un’occhiata agli unici stand presenti, quello del merchandise ufficiale (che abbastanza curiosamente propone solo abbigliamento, niente CD né dischi) e quello della Tsunami Edizioni, dove sono in bella mostra alcune copie della biografia ufficiale dei britannici autografate dalla band al completo.
Ci infiliamo tra la folla a lato palco, sufficientemente avanti da avere una buona visuale e restiamo in febbrile attesa che cali il silenzio sulla playlist (gli Slayer riscuotono come sempre un certo entusiasmo, anche in versione mp3) e si abbassino le luci, cosa che avviene con l’accademico quarto d’ora di ritardo rispetto alla tabella di marcia. La formazione di Halifax, ancora intatta per ben tre quarti dal lontano 1988 ma da sempre instabile dietro le pelli, è rimasta recentemente orfana del batterista Waltteri Väyrynen (approdato negli Opeth) e ha quindi reclutato Guido Montanarini, già al fianco di Gregor Mackintosh negli Strigoi, per sostituirlo in questo tour.
I giganti del death-doom metal prima (e gothic metal poi) fanno il loro ingresso sulla scena attaccando con “Enchantment”, primo estratto dal quel “Draconian Times” che a metà anni ‘90 ne ha segnato la definitiva consacrazione tra i grandi del metal. La band va subito al sodo, dimostrandosi comunque affabile nel corso dello show, ma di poche parole come di consueto. Chiaramente non ci sono sorprese in merito al tracklist, che è quella già prevista per le date di questo tour e quindi visionabile in anteprima, caratteristica sempre più diffusa, soprattutto al di fuori dell’underground, e che permette di ‘prepararsi’ all’ascolto (ed eventualmente fare le proprie considerazioni in merito all’opportunità di partecipare o meno all’evento) ma che – va da sé – azzera anche il cosiddetto effetto sorpresa.
Ad ogni modo, scegliamo abbastanza rapidamente di retrocedere alla ricerca di un punto nel quale l’acustica sia più godibile, perché da dove ci troviamo il mix risulta impastato e i suoni troppo alti; lo troviamo decisamente più in fondo, ben prima del mixer: come purtroppo spesso accade in contesti così ampi, si rende necessaria una scelta tra buona visuale e buona acustica, e noi optiamo decisamente per la seconda. La band appare in forma, sebbene le condizioni non proprio ottimali nella quale la ascoltiamo; gli strati e le sfumature delle trame sonore sono parecchi, e qualcosa resta schiacciato in un missaggio che comunque trova un suo senso nella misura in cui restituisce un effetto pastoso, in linea con il sound primigenio della band, quando ha di fatto inventato – insieme a My Dying Bride, Anathema e Cathedral – il death-doom metal di scuola inglese.
Ascoltiamo così per la prima volta “Forsaken”, “Serenity” e “The Devil Embraced”, estratte dall’ultimo uscito, quell’”Obsidian” che rappresenta uno dei momenti migliori nella carriera dei Paradise Lost successiva al già citato masterpiece “Draconian Times”. Queste versioni live non fanno che confermare l’impressione totalmente positiva avuta su disco, mettendo in risalto soprattutto una grandiosa chitarra solista. Per chi è letteralmente cresciuto con i primi lavori del gruppo, “Eternal” ed “As I Die” sono tra i momenti più emozionanti dell’intero set, per questo rimaniamo un po’ amareggiati nel sentire che la prima viene eseguita in versione ‘radio edit’, cioè con il taglio di un assolo. A fare da contraltare ideale a questi momenti più pesanti ed epici troviamo “Say Just Words” e “One Second”, dall’album omonimo, che all’epoca della sua uscita creò sconcerto per il radicale cambio di sonorità che portava con sé (per non parlare del look della band!) ma che merita, a distanza di anni, di essere riascoltato e rivalutato.
L’abilità di Nick Holmes – forse a tratti leggermente affaticato – e soci è sicuramente quella di riuscire a rendere sufficientemente omogeneo il sound dei brani portati sul palco, che, pur mantenendo delle ovvie differenze stilistiche laddove afferenti a periodi storici molto lontani tra loro, risultano rivisti in una chiave che ne esalta i punti di contatto.
Arriviamo così al combo che chiude, in veste di encore, la serata: ancora due new entry, l’intimistica e semiacustica “Darker Thoughts” (appena sporcata in apertura da un brevissimo problema tecnico) e la darkeggiante “Ghosts”, uno dei brani che meglio racchiudono le diverse anime del gruppo, tra influenze darkwave e doom metal, epicità e malinconia. Tra le due c’è spazio per un’ultima pietra miliare, l’immancabile “Embers Fire”, unica canzone a rappresentare “Icon”.
Al di là delle preferenze personali sulla composizione della scaletta (in ogni caso non facile da comporre, data la vastità e l’importanza della discografia in oggetto) e delle osservazioni fatte sulla qualità audio nel corso del concerto, i Paradise Lost del 2022 si confermano una grande band, e noi siamo contenti di aver rinunciato a qualche ora di sonno per poterlo scrivere.
Setlist:
Enchantment
Forsaken
Blood And Chaos
Faith Divides Us – Death Unites Us
Eternal
One Second
Serenity
The Enemy
As I Die
The Devil Embraced
The Last Time
No Hope in Sight
Say Just Words
Darker Thoughts
Embers Fire
Ghosts