Report a cura di Marco Gallarati
Foto di Riccardo Plata
I Paradise Lost tornano a Milano dopo l’ultima apparizione meneghina, risalente ormai al dicembre 2009. Poco meno di tre anni, quindi, sono passati da quella serata claudicante ai Magazzini Generali e, nel frattempo, la band ha pubblicato il valido e fortunato “Tragic Idol”, lavoro che prosegue imperterrito il filone ormai assoldato del back-to-the-roots, filone che sta venendo apprezzato dalla stragrande maggioranza dei fan. Fan che però, a questo giro, latitano in abbondanza, almeno stando a vedere le misere presenze all’orario dell’apertura porte, ovviamente a cavallo tra l’uscita degli impiegati dagli uffici e l’aperitivo del lunedì. D’accordo che i britannici non sono più sulla cresta dell’onda dall’epoca post-“Draconian Times” e va bene che questo ottobre 2012 è davvero ricchissimo di appuntamenti, ma in tutta onestà ci saremmo aspettati almeno un cento-centocinquanta persone in più. L’Alcatraz è chiaramente settato nella sua versione B e a pochi minuti dall’inizio dello show il colpo d’occhio è abbastanza approssimativo. Peccato, perché l’unico gruppo di supporto ai Paradise Lost sono i Soen, creatura multi-etnica che ha davvero ben impressionato, pur proponendo sonorità complesse e poco immediate. E si parte proprio con loro, dunque…
SOEN
I Soen, autori quest’anno del buon debutto “Cognitive”, sono apparsi dal nulla e, oltre al duo estone Ekelof/Platbarzdis, rispettivamente voce e chitarra, presentano in formazione Steve DiGiorgio al basso – dobbiamo ricordarvi chi é? – e Martin Lopez, ex-drummer di Opeth e Amon Amarth, alla batteria. Questo per quanto concerne la line-up da studio. Dal vivo, purtroppo, DiGiorgio dà forfeit, sostituito da un comunque preparatissimo bassista con tanto di dread a rimorchio. Presenzia il tour invece Lopez, sembrato salito di peso e fieramente adagiato sul suo drumkit, con sguardo sognante e attitudine completamente coinvolta dalle spirali musicali della proposta della sua nuova band, un metallo alternativo, progressivo e a tratti schizofrenico, che ha per forza nei Tool/A Perfect Circle il punto di riferimento principale e più ingombrante. La somiglianza è evidente, ma bisogna ammettere che i Tool sono talmente particolari e innovativi che anche solo essere un positivo e capace epigone potrebbe bastare a promuovere i ragazzi oggi all’esordio in terra italica. La presenza scenica non è male, ma di sicuro è l’aspetto che i Soen possono curare meglio dal vivo: gli atteggiamenti del vocalist Joel Ekelof sono esattamente l’anti-metal e si fa un po’ fatica a mandarli giù, mentre la serata di Platbarzdis è trascorsa tra problemi tecnici, logistici e di movimento, fino al gran finale in cui Kim ha fatto crollare maldestramente il suo microfono sul palco. Detto di questi inconvenienti di poco conto, il restante giudizio sulla performance è decisamente positivo: una sezione ritmica inappuntabile, gli interventi di un tastierista aggiunto che, seppur spesso nascosti dal muro di suono, hanno anche saputo prendersi qualche momento individuale. Ekelof, sia nelle parti singole, sia negli ottimi cori cantati in ‘cooperativa’, si è rivelato un cantante più che buono, in grado di sostenere senza nessun problema anche momenti intimi o addirittura a cappella. E, come già precisato sopra, nonostante i forti rimandi ai nomi citati, dobbiamo ammettere di esser stati a tratti rapiti dalla proposta di questi musicisti, davvero un bravissimo act d’apertura! Li seguiremo.
Setlist:
Fraccions
Delenda
Oscillation
Canvas
Last Light
Savia
Slithering
PARADISE LOST
Cambio di palco senza intoppi e trascorso in chiacchiericcio diffuso. L’Alcatraz B si è quanto meno affollato un po’ di più e il pubblico – com’è giusto che sia – è composto per la maggior parte da over 30 e nostalgici delle sonorità gotiche e avanguardistiche dei mid-Nineties. I Paradise Lost entrano alla spicciolata sulle note di un’intro ed ecco partire a sorpresa “Widow”, traccia nerboruta presente in “Icon”. I suoni si assestano in fretta, ma subito, del resto prevedibile anche ricordando le date estive in terra estera tenute dalla band, Nick Holmes si conferma in condizioni vocali approssimative e non certo ottimali. Purtroppo si tratta di una limitazione che sta perdurando nel tempo e, seppur il repertorio del gruppo regga in piedi da solo lo spettacolo, è chiaro come l’entusiasmo di vedersi i creatori del gothic metal ci scema lentamente sotto i piedi ogni volta di più. Ma non vediamola così negativa, perché la performance dei Paradise Lost è stata comunque un successo, con gli astanti spesso impegnati in osanna, cori di supporto e partecipazione più che attiva. Il concerto è durato forse un po’ poco – un’ora e venti – ma crediamo sia il limite oltre il quale Holmes non renda più a sufficienza, nonostante il supporto di basi ben udibili in determinati frangenti. Gli altri ragazzi hanno fornito la loro dose di sudore quotidiana, a partire da un Mackintosh scompigliato da una macchina del vento a massima potenza e da assoli a volume preponderante. Aedy ed Edmondson sono state le solite sicurezze in sede ritmica, così come Adrian Erlandsson – con una pettinatura quasi improponibile! – ha dettato i tempi con scioltezza dietro il drumkit. Relativamente pochi i brani tratti dal nuovo “Tragic Idol”, fra i quali sono piaciuti molto “In This We Dwell” ed il singolo “Fear Of Impending Hell”: apprezzabili, su quest’ultimo, gli sforzi di Nick nel cantare un ritornello obiettivamente difficile. Non sono mancati alcuni richiami più danzerecci – “Erased” e “Soul Courageous”, ad esempio – per movimentare un po’ i presenti nella prima parte dell’esibizione, ma, al solito, i momenti topici dell’evento sono arrivati con i grandi classici del passato: “Enchantment”, il favoloso duo “Pity The Sadness” / “As I Die” e l’attesissima “Embers Fire”, che ha aperto, in un moderato tripudio, il poker di bis concessi. Vogliamo citare anche “The Enemy”, una delle canzoni migliori in assoluto della band, almeno per chi scrive, con il poderoso stacco groovy a centro brano che ci ha fatto scapocciare non poco! “Say Just Words” ha portato tutti a canticchiare, per un finale piacevole di un concerto tutto sommato divertente ma anche senza sorprese o esaltazione eccessive. Arrivederci alla prossima, cari PL!
Setlist:
Widow
Honesty In Death
Erased
Enchantment
Soul Courageous
In This We Dwell
Praise Lamented Shade
Pity The Sadness
As I Die
One Second
Tragic Idol
The Enemy
Encore:
Embers Fire
Fear Of Impending Hell
Faith Divides Us – Death Unites Us
Say Just Words