Report a cura di Maurizio “morrizz” Borghi
Fotografie di Riccardo Plata
Il Collapse The World Tour, invertendo gli slot principali, ha un cartellone che ci rimanda indietro di una decina d’anni, quando il metalcore regnava sovrano. Nel 2019, invece, è il tour dei Parkway Drive, che si sono lasciati alle spalle i confini del genere e hanno deciso di pensare assolutamente in grande relegando (ormai ex) pesi massimi come i Killswitch Engage a ruolo di comprimari. Pochi giorni dopo il grande successo degli Architects all’Alcatraz c’è aria di sfida…
THY ART IS MURDER
Tocca ai paladini del deathcore aprire la serata, entrando in scena alle 19 spaccate. Come prevedibile, l’affluenza è quella che è e vederli su un palco ampio come il main stage dell’Alcatraz non corrisponde esattamente alla dimensione ideale che abbiamo in mente per la loro proposta. Quel che è certo, però, è che non ci si può approcciare in maniera così svogliata ad un’esibizione: CJ McMahon in ‘pigiama’ fa lo sciocco con le prime file, mentre sul volto del resto della band è dipinto uno scazzo da soundcheck fatto male che non compromette l’esecuzione dei brani, ma a livello di feeling è davvero disdicevole. Il pubblico è comunque benevolo e reagisce, soprattutto sulla cover di “Du Hast” che come da copione va a coinvolgere i fan di PW e KSE. Spiace dirlo, ma in base a questa volta gli headliner hanno sprecato la ‘connection’ australiana…
KILLSWITCH ENGAGE
C’era dell’apprensione in seguito alle dichiarazioni di Jesse Leach, che di recente aveva annunciato pubblicamente di aver (di nuovo) bisogno di aiuto per problemi mentali. Qualcuno pensò addirittura ad un altro abbandono, smentito ufficialmente ed in maniera categorica. Il Jesse che vediamo all’Alcatraz disintegra ogni dubbio e mette in ombra quasi tutte le versioni precedenti, con grinta, entusiasmo e una prova vocale eccezionale, anche nell’esecuzione dei brani scritti dal collega Howard Jones. La nota di ritrovato ottimismo rinfranca quel set di mega-hit che è solito proporre il gruppo in questa fase della propria carriera, in cui la band in leggero calo si trova ad aprire per i capolista con uno show rodatissimo e, in tutta onestà, anche un po’ ripetitivo. Con vent’anni di carriera sulle spalle i Killswitch Engage, al contrario del gruppo che li ha preceduti, hanno ancora il fuoco dentro: sul palco sorridono, si muovono, si divertono e trasmettono il loro stato d’animo al pubblico. Per qualcuno la loro ricetta, ricalcata per una decina d’anni da innumerevoli formazioni, comincia ad essere un po’ stantia. Per chi scrive vederli, specialmente in una serata di particolare forma come questa, è sempre un piacere.
PARKWAY DRIVE
Dieci anni di Byron Bay Hardcore hanno proiettato i Parkway Drive sulle vette del genere, ma chi si aspettava il drastico cambio di rotta? ‘Go big or go home’ è il loro motto negli ultimi anni e questo Collapse The World Tour rispecchia le ambizioni del chiacchierato “Reverence”: se il disco ha abbandonato definitivamente la formula metalcore per l’arena rock, lo show che il gruppo sta portando in giro per il mondo, con una produzione che ambisce ai fasti di Rammstein e Motley Crue, è sicuramente da arena. Ci aspettavamo la bruciatura dei peli facciali tramite una scarica di fuochi d’artificio e pyro, ma a conti fatti, purtroppo, della produzione che abbiamo intravisto nei trailer e sognato avidamente sul palco dell’Alcatraz si è riuscito a montare ben poco. Quando ci siamo ripresi dagli schiaffi di “Wishing Wells”, “Prey”, “Carryon”, “Vice Grip” e “Karma”, tutte ingigantite dalla dimensione live e da un’esecuzione portentosa, ci siamo resi conto che sul palco non ci sarebbe stata nemmeno la fiamma di un accendino. Così, nell’interlocutoria “Cemetery Bloom” abbiamo cominciato a chiederci ‘perchè non siamo in un palazzetto con migliaia di persone in Germania, godendoci la mega produzione che i PD hanno dedicato al tour ed assaporando la loro nuova dimensione?’; oppure ‘perchè l’Alcatraz è pieno per tre quarti mentre gli Architects han fatto sold out?’. Le risposte non le abbiamo, quindi, una volta messo il cuore in pace, abbiamo deciso di goderci quello che abbiamo a partire da “The Void”. Gli australiani hanno chiuso col passato e i numeri, tranne qui, paiono dar loro ampiamente ragione. Otto pezzi tratti da “Reverence”, cinque da “Ire” e del resto della discografia rimangono solo una manciata di brani. “Absolute Power” è l’ennesima dimostrazione di quanto siano validi i pezzi del nuovo disco dal vivo e di quanto i Parkway Drive, al contrario di molti colleghi, sul palco siano giganti senza punti deboli. “Writings On The Walls” e “Shadow Boxing” sono eseguite con un quartetto d’archi, di cui la violoncellista tornerà a fine set per l’esecuzione di “The Colour Of Leaving”: altri esperimenti ambiziosi che mai ci saremmo aspettati che il gruppo potesse portarsi a casa con tanta disinvoltura. Il finale affidato a “Crushed” e “Bottom Feeder” lascia i presenti soddisfatti e affamati: pochi effetti speciali ma un live inattaccabile ed irreprensibile, che ha fatto apprezzare a tutti i presenti la sterzata stilistica tanto discussa nel passato recente. Di gruppi capaci di una progressione del genere non ce ne sono poi tanti.