- PARTY.SAN 2016 @ Schlotheim - Schlotheim (Germania)

Pubblicato il 23/09/2016 da

Report a cura di Luca Pessina
Foto delle band a cura di Åsa Hagström / SeptikphotoFacebook

Il Party.San non conosce il cambiamento. Il festival tedesco negli anni ha concesso poco alle novità, rimanendo fedele ad una formula semplice e funzionale che ha ormai sempre meno eguali nel Vecchio Continente. Il Party.San è un festival musicale nell’accezione piú classica del termine, basato esclusivamente sulle band e la musica. Non è insomma un evento adatto agli amanti delle contaminazioni e a chi è in cerca di distrazioni, giochi ed effetti speciali. Vi è un solo palco (un tendone viene usato per alcuni concerti extra poche ore al giorno) e il fulcro del festival sono le esibizioni dei gruppi partecipanti. L’ordine di apparizione è assolutamente lineare – la band piú popolare chiude la giornata – e al termine dell’ultimo show l’unica attrattiva è rappresentata dagli immancabili punti ristoro e dal suddetto tendone, che viene trasformato in “metal disco” per un paio d’ore. Il Party.San non ha paura di apparire come un festival per “vecchi”: indubbiamente salta all’occhio l’assenza di certe fasce di pubblico piú giovani, ma il successo ogni anno è comunque garantito dal supporto incondizionato di migliaia di ascoltatori/avventori che stravedono per la concretezza e la spontaneità che da sempre l’evento ostenta. Del resto, la macchina Party.San è ormai perfettamente oliata: il cartellone è sempre di buon livello e fieramente devoto al panorama extreme metal, la crew è esperta e attenta a suoni e ritardi, l’offerta cibo e drink è sufficientemente variegata e, soprattutto, i prezzi sono decisamente contenuti per gli standard attuali. Immancabile, infine, il metal market, costituito da numerosi stand con dischi, merchandise e altro “ben di Satana” per tutti gli appassionati. Difficile insomma trovare parole e concetti nuovi per descrivere l’edizione 2016 dell’evento: si è trattato del solito piacevolissimo raduno familiare, rovinato solo in parte da delle temperature insolitamente rigide per agosto. Nel report che segue abbiamo evitato di parlare per l’ennesima volta di certi grandi nomi, preferendo concentrarci soprattutto sulle esibizioni di realtà medio-piccole che non sempre hanno modo di farsi vedere dal vivo con continuità. Buona lettura e appuntamento all’anno prossimo!

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TRIBULATION

Il Party.San 2016 per noi si apre con l’esibizione dei Tribulation, qui all’ennesimo show di un tour mondiale che li ha portati praticamente ovunque dopo l’uscita di “The Children Of The Night”. Rispetto a quando calcavano piccoli palchi per promuovere i loro primi album, gli svedesi hanno fatto passi da gigante in termini di presenza scenica negli ultimi tempi: lo show è molto dinamico e teatrale e ogni membro della band sembra perfettamente calato nella parte di vampiro gentiluomo. Il chitarrista Jonathan Hultén, in particolare, denota sin dalle primissime battute del concerto grande carisma e  istintività, attirando su di sè l’attenzione di gran parte del pubblico. Essendo prevalentemente incentrato sull’ultima fatica in studio, il set non si rivela particolarmente intenso a livello ritmico, ma le suadenti trame a metà strada tra classic metal, black e goth rock di pezzi come “Melancholia” e “The Motherhood of God” riescono comunque a irretire gli astanti, che, brano dopo brano, si avvicinano sempre di più al grande palco, finendo per stringere in una sorta di abbraccio la formazione scandinava.

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NECROS CHRISTOS

I Necros Christos non sono forse una band particolarmente adatta ad un festival open air, ma le nubi e una leggera pioggia, oltre alla fredda temperatura (14 gradi ad agosto!), mettono i death metaller tedeschi nelle condizioni di esprimersi in un’atmosfera tutto sommato adeguata alla loro musica. Come di consueto, dal vivo il quartetto punta soprattutto sul proprio materiale più compatto e groovy, lasciando che le derive atmosferiche e liturgiche di lavori come “Doom of the Occult” e “Nine Graves” facciano da contorno. C’è molta gente davanti al palco durante l’esibizione del gruppo, segno che l’alta qualità della proposta e il passaparola tra appassionati possono ancora fare la differenza in un panorama dominato dalla presenza continua sui social media e dai tour ad oltranza. I Necros Christos sono una formazione “timida”, ma che sa come farsi valere anche su un palco di grandi dimensioni come quello del Party.San: poche parole e un flusso di riff continuo che incita all’headbanging.

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MGLA

I Mgla sono il fenomeno del momento. Dischi pubblicati senza alcuno squillo di tromba, pochissime interviste, scarsa presenza sui social… eppure il gruppo è ormai un nome di prima grandezza del panorama black metal, tanto che i concerti sono quasi sempre prossimi al sold out, il merch va a ruba ovunque e l’interesse da parte di grandi etichette e colleghi più affermati – che rispettivamente vogliono mettere sotto contratto i Nostri o portarli in tour come special guest – non è più un mistero. Lo show del Party.San è l’ennesima dimostrazione di quanto i polacchi siano oggi in netta ascesa: la band si esibisce in serata, in mezzo a formazioni ben più storiche, e ha davanti letteralmente migliaia di persone adoranti. Il bello di un concerto dei Mgla sta tutto nel constatare come il pubblico non abbia alcun bisogno di incitamenti o di qualsiasi tipo di interazione con la band per scatenarsi sulle note di pezzi come “With Hearts Toward None I” o “Exercises in Futility VI”: i musicisti non dicono una parola, i loro volti sono coperti da veli neri, i loro movimenti ridotti al minimo. La musica è al centro dell’esibizione, l’unica vera protagonista di un rito capace di diventare sempre più emozionante con il passare dei minuti. Sta tutto nelle qualità e nella ricercatezza dei riff, delle melodie e delle liriche: la carica emotiva della proposta dei Mgla viene elevata all’ennesima potenza in sede live grazie ad un’esecuzione impeccabile; sul palco non succede nulla, ma al tempo stesso risulta impossibile staccare gli occhi da quelle sagome nere. Un’esperienza che va vissuta, un’esperienza che le parole possono spiegare solo in parte.

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KATALEPSY

Il nostro venerdì al Party.San prende il via con il tamarrissimo concerto dei Katalepsy, combo russo che si sta rapidamente facendo largo a spallate nell’underground europeo grazie ad una miscela di death metal e velati influssi death-core. I Despised Icon sono sicuramente uno dei principali punti di riferimento per il gruppo di Mosca, e non solo dal punto di vista musicale: con bandana, shorts, maglia da hockey su ghiaccio e movenze da rapper, Igor Filimontsev sembra volere aspirare a diventare il terzo frontman dei più noti colleghi canadesi, ma anche il resto della line-up non si tira indietro, saltellando da una parte all’altra del palco con una convinzione e un trasporto più vicine a quelle di una hardcore band che a quelle di una realtà di estrazione “brutal”. Dettagli scenici a parte, va sottolineato come i ragazzi siano effettivamente una live band di buonissima caratura, decisamente precisa nell’esecuzione e spigliata nell’interazione con il pubblico. I brani, almeno in questo contesto, si fanno quasi sempre ricordare per le parti mosh e i breakdown, ma l’attenzione va comunque anche alle trame prettamente death metal, che qua e là non nascondono evidenti omaggi a Suffocation e Dying Fetus. La folla si diverte e ride di gusto durante l’esibizione dei Katalepsy e la scommessa del Party.San – solitamente poco incline ad invitare formazioni di questo tipo – può dirsi vinta!

GOATWHORE

I Goatwhore sono sempre stati una realtà celebrata negli USA, ma in Europa il quartetto di New Orleans non è mai riuscito ad imporsi veramente, anche a causa di una presenza a singhiozzo sui palchi del Vecchio Continente. Negli ultimi tempi i Nostri sembrano tuttavia decisi a invertire la tendenza e il tour organizzato da queste parti proprio durante la stagione dei festival ne è chiara dimostrazione. Al Party.San i Goatwhore arrivano davvero affamati e convinti: la foga è quella di un gruppo all’esordio, ma lo slot di metà pomeriggio dà modo a Sammy Pierre Duet e compagni di esibirsi davanti ad una platea degna di una realtà affermata; una platea che, nonostante una pioggerellina insistente, dà prova di apprezzare notevolmente la proposta degli statunitensi. Del resto, quando si riesce a mescolare con abilità Celtic Frost, Venom e Slayer è facile ritrovarsi con un lotto di composizioni perfette per essere suonate dal vivo. Dal punto di vista della resa live, il quartetto oggi ci ricorda i connazionali Toxic Holocaust, band esibitasi proprio su questo palco dodici mesi fa: il sound non è originale, ma il tiro dei brani, la presenza scenica dei musicisti e la ricettività degli astanti – che da queste parti hanno da sempre un debole per tutto ciò che è old school – mettono le basi per una quarantina di minuti veramente feroce e spensierata. Senza dubbio i Goatwhore sono riusciti a guadagnare alcuni nuovi fan grazie a questa performance.

WOLFBRIGADE

Anche se formalmente parte della scena punk e crust hardcore, i Wolfbrigade sono da tempo ben accetti anche in quella metal come conseguenza di certe inequivocabili influenze death-black presenti nella loro proposta. Gli svedesi amano striare il loro sound con punte di Dissection o Entombed, oppure trasformare le roboanti cavalcate d-beat in massici midtempo. Insomma, non stupisce più di tanto vedere la band nel cartellone di un festival molto tradizionalista come il Party.San e, allo stesso modo, non ci meravigliamo dell’ottima risposta di pubblico che il quintetto conquista in giornata. Quando i Wolfbrigade propongono il loro materiale recente, in effetti si ha l’impressione di trovarsi al cospetto di un gruppo death’n’roll dal sound particolarmente slabbrato e sanguigno. Si apprezza in primis la schiettezza di questa formazione: nonostante i generi di partenza stiano godendo di notevole popolarità negli ultimi anni, i cinque non hanno affatto cambiato il loro modo di porsi davanti a pubblico e media o di vivere la band. Sono un gruppo di gente riservata, i Wolfbrigade… un gruppo che non ama esibirsi live troppo spesso, ma che quando lo fa, a qualsiasi latitudine, è capace di dare vita a degli show davvero avvincenti. Il Party.San li premia con i primi (e foorse ultimi) veri circle pit di questa edizione del festival.

BOLZER

Per i Bolzer potremmo fare più o meno lo stesso discorso fatto per i Mgla, con la sola differenza che il duo con base in Svizzera da qualche anno sta davvero dando il massimo sul fronte live, esibendosi ovunque e con chiunque. Dopo tutta l’esperienza accomulata ultimamente, si vede che KzR non ha affatto timore di reggere da solo un palco come questo: l’interpretazione è sicura, intensa, quasi sfrontata a tratti. Addirittura i Nostri decidono di sfidare la platea con una scaletta tutt’altro che semplice: ai fan di vecchia data viene concesso solo il mini-classico “Entranced by the Wolfshook”, mentre il restante tempo a disposizione viene occupato da materiale destinato a comparire nell’atteso full-length di debutto. Difficile descrivere quanto udito quest’oggi: il vento e la confusione davanti al palco non ci permettono di cogliere tutti i dettagli del frenetico riffing di KzR, ma l’impressione è che la band si stia muovendo verso uno stile ancora più variegato e atmosferico. Probabilmente il termine death-black è ancora quello più calzante per descrivere la proposta dei Bolzer, tuttavia abbiamo il presentimento che non tutti riusciranno ad entrare subito in sintonia con questa evoluzione, se non altro perchè ci sembra che KzR stia adottando un cantato più pulito ed enfatico e che le composizioni stiano prendendo una piega ancora più sperimentale rispetto al passato. Staremo a vedere, intanto l’imprevedibile esibizione a questo Party.San può essere definita fortunata, soprattutto considerando la ressa al banco del merch vista dopo la sua conclusione.

ANGELCORPSE

Gli ottimi responsi ottenuti nel corso delle date primaverili hanno riportato gli Angelcorpse in tour molto prima del previsto. Si può dire che la band di Pete Helmkamp sia rientrata in pista a tutti gli effetti e forse è solo questione di mesi prima che i Nostri arrivino pure ad entrare in studio per dare un seguito a “Of Lucifer and Lightning”. In ogni caso, oggi non ha senso pensare troppo al futuro: il terzetto è qui per soddisfare nuovamente la fame dei tanti fan che per anni hanno atteso di riascoltare dal vivo i brani di pietre miliari come “Hammer of Gods” o “Exterminate”. Dopo avere ammirato il gruppo al Netherlands Deathfest, sappiamo già cosa aspettarci dall’esibizione. Helmkamp è in forma e così i suoi compari; dei suoni ben calibrati supportano i musicisti sin dalle prime battute e il concerto si muove in bilico tra un’esecuzione matura e attenta e quella ferocia e voglia di “spaccare tutto” che per anni ha animato gli Angelcorpse. L’età ha reso il frontman un poco più affabile, ma furore e blasfemia prendono puntualmente il sopravvento nei passaggi più crudi di pezzi come “Stormgods Unbound” o “Phallelujah”. Da sempre in sede live gli statunitensi esaltano e sfruttano al meglio la loro anima più barbara e thrash, facendosi sempre segnalare come una formazione senza compromessi e guidata da un odio accecante. Sarebbe forse stato meglio vedere il gruppo esibirsi con il favore delle tenebre, ma per concerti più intimi aspettiamo il prossimo tour nei club.

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IMPLORE

Facciamo un salto nella tenda per assistere alla prova degli Implore, giovane realtà grind teutonica che negli ultimi tempi si è data un gran da fare sul fronte concertistico. Ci bastano pochi minuti per constatare quanto tale attività stia dando buoni frutti: sul palco il gruppo è molto compatto e disinvolto, mentre la platea è decisamente nutrita per essere lo show di una formazione emergente. Il nome Implore si sta insomma facendo largo nel circuito underground ed è chiaro come i Nostri non vogliano sottovalutare alcun impegno. Come già espresso in sede di recensione del loro album “Depopulation”, la band deve moltissimo ai finnici Rotten Sound, sia a livello di suoni che di strutture, tuttavia quest’oggi ci sembra che i ragazzi allunghino il set con qualche parentesi più vicina allo sludge o al death metal, innescando dinamiche che nel disco erano state solo parzialmente esplorate. Pur procedendo spesso ad alta velocità, gli Implore riescono dunque a inviare numerosi tipi di input al pubblico: molti curiosi – noi compresi – finiscono per restare all’interno della tenda molto più del previsto e il concerto si conclude tra grandi applausi e persino qualche richiesta di “bis”. Sarà il caso di seguire con ancora più attenzione le prossime mosse di questo trio.

DESTROYER 666

Dopo essere stati al centro di numerose polemiche nelle ultime settimane – nate in primis da un’esibizione decisamente “alcolica” in Danimarca e poi esplose definitivamente online in seguito ad alcune accuse lanciate da siti e blog statunitensi – per i Destroyer 666 è di nuovo tempo di lasciare la parola ai propri strumenti. La band di K.K. Warslut è nata per suonare dal vivo e lo show del Party.San ne è l’ennesima conferma: per tre quarti d’ora tocca mettere da parte ogni possibile obiezione su certi comportamenti o dichiarazioni del frontman australiano e seguire con attenzione una performance oggettivamente efficace e sentita. Siamo al cospetto di una delle migliori black-thrash metal band del momento, ancora ispirata in studio e ormai rodatissima sul fronte live. Sul palco i Destroyer 666 incarnano lo spirito metal di una volta, fatto di pose e assoli esagerati, impudenza a go-go e furia genuina. Del resto, i titoli dei brani potrebbero essere più che sufficienti per descrivere l’attitudine e la proposta del quartetto: “I Am the Wargod”, “Satanic Speed Metal”, “Black City – Black Fire”… Quando si ha a che fare con questa band è sempre una questione di “prendere o lasciare”. A molti basta una canzone per annoiarsi, ma chi decide di restare davanti al palco si ritrova protagonista di un esaltante tuffo negli anni Ottanta più estremi e beceri.

DYING FETUS

Dal vivo i Dying Fetus sono sempre una garanzia. Negli ultimi vent’anni li abbiamo visti esibirsi in ogni dove e in qualsiasi contesto e il risultato finale è sempre stato superlativo. Del resto, i Dying Fetus hanno sempre messo davanti a tutto i riff: quando si hanno dei riff solidi e coinvolgenti si può arrivare a dominare una platea e un palco enormi anche se la formazione è ridotta a terzetto e il pubblico non è del tutto composto da fan e profondi conoscitori della proposta. Il palco del Party.San può apparire troppo grosso per loro, ma John Gallagher e soci non devono affatto muoversi per scatenare il pubblico: bastano brani come “One Shot, One Kill” o “Grotesque Impalement” ad innescare un pit tremendo. C’è groove, c’è dinamismo, c’è anche una certa attitudine hardcore che il gruppo non ha mai nascosto… anzi! L’ultimo “Reign Supreme” non ci ha particolarmente entusiasmato, ma i Dying Fetus restano pur sempre dei maestri del “brutal” death metal più dinamico e ingegnoso, una band che per anni è stata all’avanguardia di questo filone e che non ha mai sottovalutato l’importanza della dimensione live. Davanti al responso di questa sera abbiamo l’impressione che i Nostri possano ormai fare da headliner a manifestazioni dal taglio extreme metal come il Party.San. Sarebbe anche ora, dopo una tale gavetta.

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SULPHUR AEON

Che i Sulphur Aeon fossero una band speciale lo si era già capito ascoltando dischi come “Swallowed by the Ocean’s Tide” e “Gateway to the Antisphere”, ma la conferma definitiva per noi arriva quest’oggi, grazie ad un’esibizione veramente sopra le righe. Il gruppo sinora ha suonato dal vivo solo in pochissime occasioni (avvalendosi fra l’altro di due turnisti per i ruoli di bassista e secondo chitarrista), di conseguenza si rimane ancora più stupiti nel constatare il notevole affiatamento in seno alla line-up e l’intensità che quest’ultima riesce a sprigionare nei tre quarti d’ora a sua disposizione. Ci sarebbe piaciuto ammirare i black-death metaller tedeschi di sera, ma forse non è il caso di pretendere troppo in questo momento: dopo tutto, il gruppo è ancora agli esordi e non può contare su chissà quale seguito. Tuttavia, siamo certi che dopo questo concerto il nome Sulphur Aeon verrà menzionato sempre più spesso nei soliti circuiti underground. La band oggi riesce a coniugare fedeltà e precisione nell’esecuzione con una indubbia carica emotiva, irretisce il pubblico sin dalle primissime note e, alla luce di una prova interpretata e seguita con trasporto da tutti, riesce ad invocare con insistenza paragoni sin qui ritenuti piuttosto azzardati. Dissection e Behemoth sono dei colossi intoccabili per tutta una serie di ragioni, ma i Sulphur Aeon potrebbero presto venire annoverati tra i loro eredi più credibili se continueranno a sfornare album rilevanti e a fornire performance di questa efficacia quando si troveranno a suonare live. L’impresa non sarà semplice, ma noi ci crediamo.

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MEMORIAM

Non è azzardo offrire ad un gruppo che sinora ha all’attivo solo un 7″ uno slot nel pieno pomeriggio di un festival così importante. Non è un azzardo se in questa formazione militano due membri storici dei Bolt Thrower, band che in Germania è idolatrata da sempre. Abbiamo seguito con grande attenzione i primi passi di questa nuova realtà britannica e oggi ci troviamo a saggiarne la consistenza dal vivo. Karl Willetts è un sorriso unico: è come essere a casa per il biondo frontman, ma anche i suoi compagni non mostrano alcun segno di nervosismo. E’ come se gruppo e pubblico sapessero già cosa aspettarsi gli uni dagli altri. Non si tratta ovviamente di uno show dei Bolt Thrower, ma lo stile che i Memoriam intendono abbracciare in carriera non è certo lontano anni luce da quello della leggenda britannica. Così, anche se gran parte del materiale proposto è assolutamente inedito, la platea entra subito in sintonia con i musicisti e con il loro old school death metal. I brani del recente “The Hellfire Demos” trovano subito spazio in scaletta, così come vari estratti dal disco di futura pubblicazione; il registro tra un episodio e l’altro non cambia più di tanto: le cadenze sono possenti, il riffing di chitarra stentoreo e le melodie – quando chiamate in causa – ricche di una verve epica. In tanti si aspettano qualche omaggio al passato sotto forma di cover e il quartetto non delude le attese: nella prima parte dello show arriva “The Captive” dei Sacrilege, mentre nel finale i Nostri sfoderano due chicche del calibro di “Spearhead” e “Powder Burns” (indovinate di chi?). Una bella dimostrazione di salute e potenza.

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NIFELHEIM

Una delle band più metal di sempre. Si può essere più o meno fan dei Nifelheim, ma è praticamente impossibile mettere in discussione la loro onestà e la loro fedeltà alla causa. Vederli sul palco con tutto il loro armamentario di pelle, borchie e chiodi è un piacere per gli occhi: ciò che potrebbe risultare pacchiano o forzato su altri appare del tutto consono per una band come i Nifelheim. In ogni caso, sarebbe errato ridurre tutto agli effetti scenici, al sangue e alla fiamme: gli svedesi dal vivo soono una band che sa da sempre il fatto suo. Se negli ultimi anni la loro attività in studio è stata sporadica o poco fortunata, un disco come l’omonimo debutto del 1995 è sempre a disposizione per fare da base alle setlist dei loro concerti. Se si è in vena di una sguaiata miscela di Bathory, Slayer, Venom, Destruction e Possessed, i pezzi di “Nifelheim” e gli altri mini-classici del repertorio possono davvero fare svoltare un pomeriggio in cui la stanchezza dopo due giorni di festival inizia a farsi sentire. Gran parte del pubblico la pensa come noi e il Party.San si trasforma subito in una bolgia belluina nella quale ben pochi riescono a trattenersi dal fare headbanging. Non sono necessarie troppe riflessioni per dichiarare quello del quintetto svedese il concerto più volgare e viscerale di questa edizione del Party.San.

IMMOLATION

Gli Immolation in concerto sono spesso soliti raggiungere livelli di eccellenza: la band denota da tempo un affiatamento straordinario e non ha mai dato dimostrazione di sentire il peso degli anni; Ross Dolan per chi scrive è uno dei migliori frontman death metal di sempre, mentre il fido Bob Vigna uno dei chitarristi più ingegnosi di questo genere musicale. In queste date estive gli Immolation sono tuttavia orfani del secondo chitarrista Bill Taylor e l’assenza di questa importante spalla si fa sentire non poco nella resa live della formazione. Da tempo il materiale degli Immolation vive di dissonanze e astruse progressioni ritmiche: senza la chitarra di Taylor, dal vivo molte delle sfumature tipiche di queste complesse trame risultano irreplicabili; quel muro di suono per cui i death metaller statunitensi sono da sempre famosi perde consistenza e ogni assolo di Vigna finisce quasi per apparire avulso dal lavoro della sezione ritmica. Insomma, l’impegno c’è, ma quest’oggi sembrano proprio mancare le basi per la piena riuscita dello show. Un peccato, anche perchè Dolan e soci si trovano nel pieno delle celebrazioni per il venticinquesimo anniversario dello storico debutto “Dawn Of Possession”; un tale evento avrebbe meritato un’esibizione di altra caratura.

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REBAELLIUN

La delusione sofferta durante il concerto degli Immolation viene presto dimenticata grazie all’arrivo dei Rebaelliun. Troviamo ingiusto che una band di questa caratura debba esibirsi nella tenda, ma evidentemente i quindici anni di assenza dalle scene si sono fatti sentire al momento di stilare il running order del festival. In ogni caso, si tratta di dettagli: i fan dei death metaller brasiliani si presentano puntuali all’appuntamento e il gruppo si esibisce davanti ad una folla nutrita sin dalle prime battute. Abbiamo sempre trovato i Rebaelliun una versione più “chirurgica” dei connazionali Krisiun e questa sera ne abbiamo la dimostrazione anche dal vivo: il gruppo è tanto aggressivo quanto preciso nell’esecuzione, le accelerazioni vengono ben gestite anche nei momenti più concitati e in generale si respira aria di grande professionalità mentre si ammira il quartetto sul palco. I Nostri sono visibilmente entusiasti di essere tornati in Europa e si lanciano in una performance serratissima che coinvolge gradualmente sempre più astanti. Dal comeback album “The Hell’s Decrees” vengono estratte le ottime “Affronting the Gods” e “The Path of the Wolf”, mentre per i primi lavori si procede con una sorta di best of che non lascia scontento nessuno. Davvero un grande ritorno per Fabiano Penna e compagni.

SODOM

I Sodom sono uno dei pochi headliner di questa edizione del Party.San che decidiamo di seguire. Del resto, i veterani tedeschi sono confermati anche per il nostro Metalitalia.com Festival; inoltre, il nuovo “Decision Day” ci ha lasciato una buona impressione e siamo curiosi di vedere quanto il gruppo sia in forma in questo periodo. I Sodom sono una leggenda anche e soprattutto in Germania e vederli su un palco di queste dimensioni, davanti ad un pubblico di migliaia di persone, fa sempre un certo effetto. La nuova fatica in studio non è ancora stata ufficialmente pubblicata, quindi Angelripper e soci propongono una scaletta incentrata su materiale datato: sono numerosi gli estratti dal classico “Agent Orange” (praticamente un quarto della setlist), ma nello show trovano spazio anche tante hit più recenti, da “In War And Pieces” – che funziona ottimamente come opener – a “M-16”. È un peccato che il terzetto ignori completamente album come “Masquerade in Blood”, “‘Til Death Do Us Unite” o “Code Red” – magari non delle pietre miliari, ma dischi pieni di materiale decisamente adatto ad essere proposto dal vivo – tuttavia non si può affatto dire che il concerto annoi. Da quando i Sodom hanno reclutato Markus Freiwald alla batteria, le loro esibizioni sono diventate molto più serrate e compatte: il gruppo dà l’idea di essere più sicuro e lo stesso Angelripper appare quasi ringiovanito, soprattutto quando decide di adottare uno screaming più maligno. Insomma, lo show si rivela dinamico e divertente, perfetto per saziare la nostra fame di thrash per quest’oggi.

AT THE GATES

Ormai vedere gli At The Gates dal vivo non è più una novità, ma mai ci stancheremo di ascoltare i classici dei padri del cosiddetto “Gothenburg sound” in un contesto come quello di un festival come il Party.San. Su un grande palco, forti di ottimi suoni, con continui giochi di luci e qualche fiammata a fare da contorno, gli At The Gates non possono che garantire uno spettacolo avvincente. Tompa al microfono non è più sguaiato e velenoso come una volta, ma gli anni passano per tutti; restano comunque encomiabili il suo trasporto e la sua affabilità: il frontman è tutto fuorchè annoiato e dà continuamente il massimo sia nell’interpretazione dei brani che nel rapporto con la vastissima platea. Agli svedesi oggi facciamo solo un appunto: la scaletta è troppo sbilanciata a favore di “At War With Reality” e “Slaughter Of The Soul”. E’ indubbio che il capolavoro del 1995 sia l’opera più famosa e richiesta del quintetto, così come è comprensibile la volontà di promuovere l’ultima fatica in studio, ma in questa posizione di headliner i Nostri avrebbero comunque potuto fare qualche sforzo in più per presentare il loro repertorio. Dal periodo pre-“Slaughter…” vengono invece estratti solo due episodi: “The Swarm” e la viscerale “Kingdom Gone”, quest’ultima dedicata da Tompa all’amico Jon Nödtveidt dei Dissection, scomparso esattamente un decennio fa. In ogni caso, si può dire tutto, ma non che la prova degli At The Gates di questa sera sia stata poco apprezzata: il quintetto, soprattutto quando tira fuori dal cilindro pezzi come “Blinded By Fear”, “Under a Serpent Sun” o “Suicide Nation”, diventa l’equivalente death metal dei Maiden o di una simile metal band “da stadio”: chiunque si trovi nei pressi del palco non può trattenersi dallo sbracciarsi e dal cantare ogni strofa. Il modo ideale per chiudere l’ennesima felice edizione di questo pregevole festival.

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