Anche quest’anno Metalitalia.com è ritornata al Party.San Open Air: un weekend per fare il pieno di sonorità estreme e per lasciarsi alle spalle per un po’ la tipica canicola di agosto. L’edizione 2017 ha infatti “regalato” temperature ancora più rigide dello scorso anno, assieme a qualche acquazzone che in effetti ha reso la visione di certi concerti un po’ più complicata del previsto. Dato che l’area festival è situata presso il piccolo aeroporto di Schlotheim e che la zona immediatamente antistante al palco è asfaltata, non vi sono stati grandi problemi di fango, ma la pioggia di traverso e il freddo delle ore serali hanno evidentemente scoraggiato parte del pubblico, che in più occasioni ha preferito rintanarsi sotto il tendone della metal disco anzichè seguire gli show da vicino. A parte il meteo poco favorevole, il Party.San si è fatto segnalare ancora una volta come un evento tanto perfettamente organizzato, quanto impassibile davanti allo scorrere del tempo e al succedersi delle mode. Di nuovo, non si può fare a meno di sottolineare come il festival tedesco resti sempre uguale, anno dopo anno, incurante di tutto ciò che accade attorno ad esso: il cartellone continua ad ospitare esclusivamente realtà appartenenti ai mondi death e black metal, con poche eccezioni comunque riconducibili ad una matrice estrema, i prezzi (bassi) del biglietto, del cibo e delle bevande non subiscono grandi modifiche, l’area concerti è sempre allestita nello stesso identico modo e l’affluenza non fa registrare cali o impennate. Chi decide di presenziare al Party.San ogni anno sa esattamente a cosa andrà incontro, senza avere alcun tipo di sorpresa. Non si tratta di un appuntamento per chi cerca varietà nella line-up o altri generi di svago oltre alla musica: il Party.San è un festival vecchia scuola, genuino e senza pretese, che punta solo ed esclusivamente a celebrare la passione per il metal (estremo) e per le bevute in compagnia, esattamente come un Wacken Open Air di fine anni Novanta. Una sorta di mosca bianca fra i grandi festival metal europei, alla quale ci sentiamo sempre di augurare il meglio, vista la serietà con cui ogni edizione viene organizzata e il grande rispetto verso i fan che puntualmente si riscontra.
AZARATH
Dietro al drum-kit degli Azarath sembra non esserci Inferno – d’altra parte il batterista non ha preso parte nemmeno agli ultimi tour dei Behemoth – ma per coloro che non prestano troppa attenzione ai dettagli poco cambia: l’esibizione dei death metaller polacchi è di quelle da ricordare. Il quartetto come prevedibile non va troppo per il sottile quest’oggi, impiegando giusto un brano per aggiustare i suoni per poi fare il carico di ferocia e blasfemia con tracce come “Holy Possession” e “At The Gates Of Understanding”. Anche e soprattutto in concerto non si può fare a meno di notare la scorrevolezza del riffing di chitarra, chiaramente ispirato a primi Morbid Angel, Angelcorpse, Deicide e Krisiun, ma levigato e ispirato a tal punto da restare sempre subito impresso. Questo è un gruppo composto da veterani della scena e il piglio con cui i Nostri occupano il palco non lascia campo a fraintendimenti. Gli Azarath sono una band nata per suonare dal vivo: compatta, determinata e spavalda il giusto. Quando growling e screaming si intrecciano e sovrappongono risulta davvero difficile non prestare attenzione. Complimenti a loro per essere riusciti a imporsi alla grande davanti ad un pubblico che inizialmente sembrava distante e intimorito dalle nere nuvole all’orizzonte.
MISTHYRMING
In tema di esibizioni di qualità, impossibile non menzionare quella dei Misþyrming, ormai una realtà affermata e affidabile, in grado di imporsi anche su palchi di grandi dimensioni. In campo black metal, i giovani islandesi sono una delle rivelazioni degli ultimi anni, ma sinora il loro habitat è sempre stato un locale medio-piccolo oppure un festival indoor come il Roadburn; in questo pomeriggio è quindi un piacere constatare come il loro magnetismo non conosca freni nemmeno in un contesto open air, dove mille variabili possono influenzare la piena riuscita di uno show. Il quintetto di Reykjavík – come sempre agghindato con camicie bianche ricoperte di sangue – affronta l’impegno senza mostrare alcun timore, lanciandosi nella solita performance fisica e serratissima, dominata dal drumming di H.R.H. e dai sempre curiosi riff e dalle dissonanze partoriti dalle chitarre di D.G. e T.Í.. Il pubblico tedesco notoriamente non è molto avvezzo a proposte poco lineari, ma la presenza scenica del gruppo e il vigore con cui le trame vengono imbastite e interpretate cattura quasi immediatamente l’attenzione della platea. I Misþyrming sono giovani e si vede: l’aspetto che più colpisce dei loro concerti è la genuina foga con cui ogni strumento viene percosso, assieme al sentito screaming di D.G.: a volte sembra quasi di trovarsi al cospetto di una band hardcore, tanto l’atteggiamento dei musicisti è coinvolgente e passionale. L’apice del set? “Söngur Heiftar”, come sempre il sunto perfetto della proposta e dell’attitudine di questa gemma nordica.
THE LURKING FEAR
“Out of the Voiceless Grave” è uno dei nostri dischi dell’estate ed è quindi con piacere che andiamo ad assistere al concerto dei The Lurking Fear, la nuova death metal band guidata da Tomas Lindberg. Il quintetto si esibisce all’interno del tendone, forse per calarsi meglio in quell’atmosfera underground che ha cercato di rievocare già con il succitato debut album; tuttavia, come prevedibile vista la caratura dei musicisti, l’affluenza di pubblico è assolutamente massiccia, tanto che ben presto lo show diventa uno dei più seguiti della giornata. Se su disco gli svedesi hanno dato prova di essere già sulla buona strada – presentando un sound sì non rivoluzionario, ma comunque pratico ed incisivo – in sede live l’impressione lasciata dai cinque è anora più favorevole; il loro death-thrash molto diretto acquista ulteriormente di ruvidità, diventando poi più tagliente all’altezza delle parti melodiche, e la voce di Tompa si inacidisce, rendendo la resa complessiva più sporca e brutale. Non vi è spazio per cover di At the Gates o God Macabre: la scaletta consta esclusivamente di materiale proprio, probabilmente per sottolineare ancora una volta come i The Lurking Fear siano una vera band e non un progetto nato tanto per occupare il tempo. “Tongued With Foul Flames” e “Winged Death” gli episodi meglio riusciti.
ULTHA
Abbiamo speso belle parole per gli Ultha, in occasione delle recensioni dei loro due album, ma la loro prestazione dal vivo ci lascia ancora più soddisfatti. Entriamo all’interno del tendone senza particolari aspettative, se non altro perchè sappiamo quanto possa essere complicato riprodurre un certo tipo di black metal atmosferico ad un festival di queste proporzioni, ma agli Ultha bastano davvero pochi minuti per toglierci il fiato. A livello stilistico, il gruppo nato dalle ceneri dei Planks ha evidentemente studiato bene la lezione di realtà come i Wolves In The Throne Room, ma la foga e l’intensità con cui si esibisce arrivano direttamente dal passato crust e hardcore di alcuni dei membri della line-up. Davvero si resta impressionati di fronte al vigore con cui il quartetto si lancia nella sua esibizione: un brano di assoluto valore come “The Night Took Her Right Before My Eyes” dal vivo diventa una cavalcata semplicemente irresistibile, in grado di far venire i brividi anche al più scafato degli ascoltatori. Non a caso, il tendone viene preso d’assalto da un numero di persone ben superiore alle nostre iniziali aspettative: chiaramente non siamo gli unici ad essere stati presi alla sprovvista da una tale verve. E’ una sensazione difficile da spiegare, ma è come se stessimo assistendo ad un evento determinante nella carriera di questa band tedesca: siamo convinti che se a breve i ragazzi firmeranno per una label importante o sforneranno un gran disco, sarà anche conseguenza della carica e dell’entusiasmo respirati in questo concerto.
URFAUST
Slot di grande importanza per gli Urfaust, che si esibiscono in tarda serata appena prima di veterani come Overkill e Abbath. La band olandese è diventata un vero e proprio oggetto di culto nell’underground e, non a caso, oggi può godere dello stesso trattamento ricevuto dai Mgla lo scorso anno, vale a dire una posizione di rilievo in un cartellone colmo di nomi storici. Purtroppo l’esibizione del gruppo coincide con un acquazzone molto violento, ma la massa di persone che accorre davanti al palco è comunque di dimensioni notevoli, segno che la band ha effettivamente fatto breccia nel cuore di tanti appassionati. Certamente un palco grande come il main stage del Party.San non è dei più adatti ad ospitare un semplice duo, il quale sembra quasi scomparire in un contesto così ampio, ma almeno IX e VRDRBR possono usufruire di un impianto devastante e fare sentire la propria proposta a molte più persone del solito. Il black metal intriso di umori seventies e derive doom e prog degli Urfaust possiede effettivamente le caratteristiche per essere apprezzato da varie fasce di pubblico e l’esibizione di questa sera lo conferma: il cantato ridondante e subito riconoscibile di IX spiana la strada a dei riff groovy e circolari che crescono gradualmente di intensità e il pubblico viene presto irretito da questo sound obliquo e sciamanico, come se si trattasse di una chiamata verso un mondo ultraterreno. Il buio e la pioggia di sicuro amplificano certe sensazioni, ma in ultimo è la miscela sonora del duo, tanto asciutta all’apparenza quanto colma di sacralità, a fare il grosso del lavoro. A conti fatti, quello degli Urfaust si rivela lo show più evocativo e atipico di questa edizione del festival: si torna alla tenda completamente bagnati, ma non è il caso di badarci troppo dopo una prova così speciale.
DEMILICH
Quella di venerdì è una mattinata amara per Antti Boman: il leader dei Demilich annuncia infatti che proprio in queste ore sta avendo luogo il funerale di suo padre e che secondo lui il modo migliore per affrontare il lutto sia suonare la propria musica. Questa inaspettata confessione fa assumere al concerto dei death metaller finlandesi un’aura ancora più speciale: gli show del quartetto sono rari e sapere che quello di oggi stia avvenendo in una giornata così particolare fa tanto riflettere quanto infervorare. “Nespithe” ha evidentemente segnato tanti dei presenti fra le prime file davanti al palco e sin dal principio i Demilich vengono sostenuti come poche altre band esibitesi nel corso delle ore pomeridiane; d’altra parte, i quattro stanno suonando come al solito, ovvero divinamente, e le bocche aperte tra gli astanti non si contano. Ad ogni appuntamento live i finlandesi riescono ad entusiasmare con il loro mix perfettamente calibrato di tecnica, follia e groove: si può restare sbigottiti davanti agli arditi cambi di tempo dettati dalla sezione ritmica, così come, poco dopo, saltellare per un riff straordinariamente orecchiabile e pimpante. “Nespithe” è un disco talmente ricco di spunti originali che anche in sede live non si può fare a meno di (ri)scoprire alcuni suoi dettagli. Fra una “The Sixteenth Six-Tooth Son of Fourteen Four-Regional Dimensions (Still Unnamed)” e una “The Echo (Replacement)” si perde il conto dei passaggi memorabili architettati da Boman e compagni. Questa band propone da anni la stessa scaletta, ma puntualmente riesce ad entusiasmare con la sua interpretazione impeccabile. Davanti a cotanta perfezione non si sentirà mai la vera necessità di ascoltare del nuovo materiale.
DEMOLITION HAMMER
E’ trascorso circa un anno da quando i Demolition Hammer hanno messo a ferro e fuoco il palco del nostro Metalitalia.com Festival; da allora gli statunitensi sono stati invitati a prendere parte a numerosi eventi in tutto il mondo e il Party.San è l’ennesima tappa estiva di questa sorta di reunion tour ricco di soddisfazioni. Dal deforme techno-death dei Demilich ci spostiamo sul brutale thrash metal della formazione di New York, che arriva sul palco come sempre molto motivata. Dopo l’ormai scontata apertura con “Skull Fracturing Nightmare”, il gruppo si concentra sul debut “Tortured Existence”, dal quale vengono estratte in rapida successione “Neanderthal”, “Crippling Velocity”, “Infectious Hospital Waste” e “Hydrophobia”. I suoni a tratti risultano un po’ confusi, ma la foga della band mette comunque d’accordo tutti: del resto, non è il caso di badare ai dettagli quando davanti a noi vi è una formazione che chiaramente vuole abbattere ogni cosa gli si pari davanti. I Demolition Hammer velocizzano il più possibile l’esecuzione, limitano al massimo le pause e non perdono occasione di chiedere al pubblico di dare e fare di più; addirittura il buon Steve Reynolds viene canzonato da una fetta della platea per il suo continuo e smodato uso di ‘fuck’ e ‘fucking’ nei brevi discorsi tra un brano e l’altro. Lo stesso bassista/cantante ci ride sopra, non prima però di avere dispensato altre due mazzate del calibro di “Human Dissection” e “.44 Caliber Brain Surgery”. Un altro grande concerto.
NILE
La recente separazione da Dallas Toler-Wade ha gettato qualche ombra sul futoro dei Nile, ma Karl Sanders sa comunque come rassicurare i fan, almeno in concerto. La prestazione di stasera dei death metaller statunitensi lascia infatti soddisfatti: la popolarità del gruppo è forse complessivamente in calo, ma nei giovani Brad Parris (basso e voce) e Brian Kingsland (chitarra e voce) Sanders ha trovato due spalle affidabili e piene di entusiasmo, tanto che l’esecuzione dei vecchi cavalli di battaglia infiamma la platea proprio come ai vecchi tempi. Non è il momento di fare esperimenti, bisogna andare subito al sodo per coinvolgere i tanti sostenitori accorsi davanti al palco e il quartetto giustamente opta per una scaletta colma di hit; non scopriamo certo oggi il valore di episodi come “Sacrifice Unto Sebek”, “Kafir!” e “Unas Slayer of the Gods”, tuttavia fa piacere constatare il già notevole affiatamento raggiunto da questi “nuovi” Nile, intenti a suonare con ritrovata umiltà e con quella foga che solo delle forze fresche – e un batterista sempre eccellente come George Kollias – possono garantire. Almeno per il contesto live, Sanders sembra insomma avere scelto bene i suoi nuovi compagni di avventura; adesso c’è da sperare che la formazione non subisca ulteriori scossoni e che il gruppo possa ritrovare una buona stabilità pure in studio. Forse c’è ancora tempo per un altro grande album.
DEW-SCENTED
Vi è stato un momento, nei primi anni Duemila, in cui si pensava che i Dew-Scented potessero diventare un nome di prima grandezza nella scena europea. Le cose però sono poi andate diversamente: qualche album poco riuscito e un disinteresse sempre più accentuato attorno alle sonorità thrash-death hanno tarpato le ali alle ambizioni della band, la quale, alla lunga, ha dovuto accettare il suo ruolo di semplice veterana e mestierante. In ogni caso, nessuno ha mai messo in discussione l’efficacia di parte del repertorio del quintetto: i Dew-Scented oggi non sono popolari quanto gli Arch Enemy, ma dal vivo spaccano ancora che è un piacere. In questo venerdì sera la band si esibisce all’interno della tenda e la scelta si rivela azzeccata visto che i Nostri possono fare ancora più “muro” ed entrare facilmente a contatto con gli astanti. Non ci è più ben chiaro chi suoni oggi nel gruppo, ma il buon Leif Jensen è sempre al microfono e fa piacere constatare come la sua presenza scenica sia rimasta quella di un tempo. Avvincente anche la scaletta, con le tracce più riuscite degli ultimi due lavori alternate a hit vecchia scuola come “Turn To Ash” e “Soul Poison”. Un set senza pretese, ma concreto e divertente.
CANDLEMASS
Ci concediamp una parentesi più classicheggiante con i Candlemass, realtà che da sempre può vantare un seguito di tutto rispetto anche in ambienti extreme metal. La leggendaria doom metal band svedese ha di recente portato sul palco la sua pietra miliare “Nightfall” per intero, ma lo show di questa sera è di quelli “normali”, con i musicisti a regalare anche qualche hit estratta dagli altrettanto seminali “Epicus Doomicus Metallicus” e “Ancient Dreams”. Pare che il viaggio dei Candlemass verso il festival sia stato particolarmente turbolento e che la compagnia area utilizzata abbia perso buona parte dei loro strumenti, ma, grazie a del materiale prestato loro da altre band, i Nostri riescono a calcare il palco e ad esibirsi come da copione. Non si notano infatti rimaneggiamenti nell’esecuzione e nello spettacolo offerto dagli svedesi: l’assenza del leader Leif Edling – ritiratosi, almeno per il momento dall’attività live – è ormai cosa nota, ma il gruppo vanta comunque un notevole affiatamento; semmai ci colpisce ancora una volta la prestanza del veterano Mats Levén, cantante a lungo sottovalutato, ma dotato di un’ugola davvero potente e versatile. Certo, a livello scenico la presenza di un Messiah Marcolin è difficile da offuscare, ma Levén compensa con una tecnica di prim’ordine e un’umiltà ammirevole. Rispetto alla prima sera la temperatura è anche meno rigida, quindi non vi sono scuse per non assieparsi sotto il palco e farsi cullare dalle note avvolgenti di pezzi come “Mirror Mirror”, “Bewitched” o “A Cry from the Crypt”!
AUTOPSY
E’ sempre un piacere assistere ad un concerto degli Autopsy. Il gruppo è molto attento a non auto-inflazionarsi e a rendere ogni sua sortita live un evento esclusivo. Non vedremo mai gli Autopsy suonare nello stesso luogo a sei mesi di distanza dall’appuntamento precedente: questo è un gruppo che suona principalmente per passione e che non intende scendere a compromessi con il mercato. Ogni volta che i californiani calano in Europa, la data selezionata assume i connotati di un avvenimento speciale nella loro storia ed è con questo spirito che anche noi ci accingiamo a godere, ormai per l’ennesima volta, delle loro barbarie. Come di consueto, Chris Reifert e compagni non ci pensano su due volte e trasformano subito il loro show in un esaltante “best of” sin dalle primissime battute: “Twisted Mass of Burnt Decay” apre le ostilità e da qui in poi si fatica a contare tutte le hit snocciolate dal gruppo. “Pagan Saviour”, “Ridden with Disease”, “In the Grip of Winter”… praticamente più metà scaletta è occupata da degli estratti da “Severed Survival” e “Mental Funeral”, ovvero due delle colonne portanti dell’intera storia del death metal. Con un repertorio di questo calibro da cui attingere non si può che vincere facile e ciò è proprio quello che i californiani vanno a fare, lasciando ai comunque apprezzabili “Acts of the Unspeakable” o “Tourniquets, Hacksaws and Graves” le briciole. Nulla da dire sulla qualità dell’esecuzione – suonando così poco, la band non è certo logora, nonostante l’età media dei musicisti sia ormai alta – ma ci preme sottolineare l’ottimo supporto dato allo show dagli uomini al mixer: i volumi e l’impatto degli Autopsy questa sera sono davvero devastanti. Un’altra missione compiuta per gli ultimi veri signori della morte.
MOURNING BELOVETH
La posizione in scaletta non è delle più felici per i Mourning Beloveth: non si augura a nessuno di suonare sul palco principale prima dell’ora di pranzo dell’ultimo giorno di un festival, quando parte del pubblico sta già facendo i conti con una sbornia doppia e i vari sintomi della stanchezza. Se poi si suona doom-death metal, il compito di svegliare quei pochi già in piedi può essere ancora più arduo. Per fortuna gli irlandesi possono vantare un buon numero di fedelissimi da queste parti, così come una proposta elegante e tutto sommato dinamica, essenziale per imporsi in ogni situazione. Musicisti molto esperti, i Mourning Beloveth mettono da parte il loro stesso hangover e si lanciano in una prestazione breve ma sentita e coinvolgente, basata essenzialmente sul loro ultimo “Rust & Bone”. Il retrogusto irish delle backing vocals fa venire i brividi quando accostato al growl di Darren Moore, così come la spinta epica delle melodie, ormai sempre più vicine a quelle di una realtà come i Primordial che a quelle dei “soliti” My Dying Bride. E’ forse per questo motivo che qualcuno in più del previsto esce dal letargo e si avvicina al palco, applaudendo convinto le trame della band: vi è un che di arioso e di eroico nella proposta dei Nostri che non passa assolutamente inosservato. Insomma, senza dubbio li abbiamo visti in contesti migliori, ma anche oggi questi irlandesi riescono a farsi segnalare come una formazione adorabile.
INQUISITION
La popolarità raggiunta degli Inquisition è ormai simile a quella di qualsiasi grande nome della scena black metal scandinava: ogni volta che il duo colombiano-statunitense cala in Europa, si contano sempre più persone sotto al loro palco e sempre più t-shirt vendute al banco del merch. Da realtà affermata, che non ha più nulla da dimostrare, Dagon e Incubus calcano il palco con estrema disinvoltura, riuscendo ad infiammare il pubblico con pochissimi cenni di intesa. Come sempre non si può fare a meno di restare stupiti davanti alla compattezza e alla profondità del sound del duo: con una sola chitarra e una batteria, gli Inquisition sono in grado di far impallidire tante band ben più “costruite”. Chiaramente il grosso del lavoro è nelle mani di Dagon: se il suo screaming “anfibio” non fa ormai più notizia, la sua capacità di tessere continuamente riff sempre più ingegnosi e catchy lascia sempre sorpresi. Siamo al cospetto di uno dei musicisti più talentuosi partoriti dal panorama black metal nell’ultimo decennio, un vero esempio di acume e professionalità. Vederlo dominare da solo un palco tanto grande fa sempre un certo effetto, esattamente come il constatare l’elevata qualità media del repertorio Inquisition: ad ogni tour la scaletta del concerto subisce qualche modifica, eppure l’impatto e la risposta del pubblico sono sempre di prim’ordine. Nella prova di questo pomeriggio sottolineiamo la piena riuscita di “Dark Mutilation Rites”, “Ancient Monumental War Hymn” e “A Magnificent Crypt of Stars”.
BLOOD OF SEKLUSION
I giovani Blood Of Seklusion sono l’unica band italiana presente in cartellone e quello di quest’oggi è addirittura il release show per il loro nuovo album “Servants of Chaos”, rilasciato dalla tedesca F.D.A. Records. E’ un buono slot, quello concesso ai ragazzi emiliani, i quali hanno modo di esibirsi nel contesto più intimo della tenda nel tardo pomeriggio, davanti ad un pubblico che è nel pieno delle sue forze. Bravi poi i Blood Of Seklusion a puntare sui loro brani più diretti e aggressivi: muovendosi fra vecchio death metal svedese e spunti più vicini alla scuola britannica (Benediction, Napalm Death dei primi anni Novanta), il quintetto fa scapocciare le prime file con una lunga serie di riff dritti e facilmente memorizzabili, uptempo e pastosi rallentamenti. Già rodati da un’attività live mirata e costante, i ragazzi non mostrano alcuna incertezza e per mezzora intrattengono la platea con la giusta intensità, evitando discorsi e pause inutili. Un concerto di sostanza che lascia gli avventori soddisfatti e incuriositi.
NECROPHOBIC
Le ultime esibizioni live dei Necrophobic – così come l’ultimo album “Womb of Lilithu” – non sono stati molto soddisfacenti e, in generale, la band svedese non è riuscita a convincere come quartetto, vista la chiara incapacità di replicare in concerto numerosi brani del suo vecchio repertorio. Fortunatamente la cosa è stata notata anche dal leader Joakim Sterner, il quale ha prima licenziato Fredrik Folkare e poi richiamato i chitarristi Sebastian Ramstedt e Johan Bergebäck, ovvero i responsabili di album fortunati come “Hrimthursum” e “Death To All”. Oggigiorno la line-up dei Necrophobic comprende insomma diversi personaggi chiave della sua storia (oltre ai suddetti chitarristi anche il frontman originale Anders Strokirk) e lo show del Party.San è l’occasione perfetta per saggiare le potenzialità di questa nuova unione. Neanche a dirlo, gli svedesi si rendono protagonisti di una prova maiuscola, capace di mettere in risalto tutti i loro classici marchi di fabbrica: dai continui intrecci di chitarra all’impatto velenoso di pezzi come “Darkside” e “Blinded by Light, Enlightened by Darkness”. Vi è anche spazio per un nuovo brano, “Pesta”, singolo che conferma come Sebastian Ramstedt non abbia affatto perso il suo tocco luciferino in questi anni di assenza dalle scene; davvero un ottimo pezzo, affilato e melodico al punto giusto, che fa risalire di parecchio le quotazioni dei Necrophobic. Se il gruppo riuscirà a ritrovare l’affiatamento di un tempo e a mantenere il songwriting su questi livelli, il prossimo album potrà rivelarsi assai interessante. Nel frattempo oggi incassiamo un’esibizione di tutto rispetto, fra le migliori di questa ultima giornata del festival.
HUMILIATION
La serata di domenica regala un inatteso divertissement con l’arrivo sul palco della tenda dei malesi Humiliation, piccola ma intraprendente realtà underground arrivata in Europa per una serie di date estive. Il quintetto di Kuala Lumpur è poco più di una cover band dei Bolt Thrower – in alcuni brani gli “omaggi” sono talmente chiari da sfiorare il plagio – ma in un contesto festivaliero, per giunta al Party.San, dove i suoni old school regnano sovrani, anche una proposta così derivativa può far divertire. Difatti, la tenda si riempie quasi subito e, nel giro di un paio di brani, veniamo circondati da dozzine di headbanger genuinamente coinvolti dal death metal quadrato e marziale dei ragazzi malesi. Chi ha a cuore la discografia della leggenda britannica non può proprio fare a meno di sorridere davanti alle melodie e alle ritmiche su cui si basa la stra-grande maggioranza del repertorio Humiliation: addirittura, ad un certo punto si ha davvero l’impressione che i Nostri stiano suonando una cover di “Inside the Wire”, ma, qualche secondo più tardi, notiamo come strofa e bridge siano un filo diversi… certo che il riff portante del pezzo è identico, però! Insomma, se da un lato si fatica a comprendere l’utilità di un tributo così fedele, dall’altro non si può fare a meno di battere le mani e lasciarsi andare, anche perchè i ragazzi hanno certamente più fervore e ritmo dei Memoriam, data la più giovane età. Altro che “metal disco”, quindi… nel concerto degli Humiliation abbiamo trovato il vero party dell’ultima serata!
TRIPTYKON
Come tanti altri festival europei, anche il Party.San ha dovuto fare i conti con la cancellazione del tour estivo dei Morbid Angel. Il rimpiazzo last minute che l’evento teutonico è riuscito ad assicurarsi risponde al nome di Triptykon, la creatura con cui Tom G. Fischer porta avanti la pesante eredità dei Celtic Frost. Quello del gruppo svizzero-tedesco può essere in effetti visto come uno show-tributo alla storica band di Fischer: almeno questa sera, il repertorio Triptykon assume infatti un ruolo di contorno per fare spazio a tanti classici estratti da “Morbid Tales”, “To Mega Therion” e “Monotheist”. Il concerto parte addirittura con una cover – suonata decisamente al rallentatore – di “Procreation (of the Wicked)”, mentre bisogna attendere metà set per ascoltare la prima canzone marchiata Triptykon, la sempre brillante “Goetia”. Ultimamente il frontman non ha fatto mistero di non essere più molto soddisfatto dell’ultimo full-length del gruppo, “Melana Chasmata”, quindi non sorprende udire soltanto “Tree of Suffocating Souls” da questo sottovalutato lavoro. Tuttavia, non si può dire che il pubblico si dimostri contrariato davanti a questa selezione: la platea del Party.San è notoriamente old school, quindi il quartetto vince facile con tracce come “Circle of the Tyrants” e “Morbid Tales”, anch’esse proposte in una veste un poco più lenta e “ordinata” rispetto alle originali, ma pur sempre abrasiva come da tradizione. Norman Lonhard è all’ultimo concerto con la band e la sua prova ai tamburi non conosce sbavature, ma lo stesso si può dire per il resto della formazione, che, avvolta da luci fredde, si esibisce con il suo consueto carisma. Fischer non è più l’animale da palco di una volta, ma il suo magnetismo è fuori discussione: il cantante/chitarrista potrebbe persino evitare di parlare fra un brano e l’altro e la sua capacità di suggestionare resterebbe comunque intatta. “The Prolonging”, come sempre posta in chiusura, è la chiosa perfetta per questa sontuosa esibizione: il freddo inizia a farsi sentire, ma il cuore pulsa forte dopo questa abbuffata di grandi classici.