Report a cura di Luca Pessina
Foto di Thomas Lotze – Metalvisions.de
Gli anni passano, ma il Party.San Open Air resta una sicurezza. Nell’ultimo decennio tanti eventi simili sono esplosi o caduti in rovina, ma questo festival nella Germania centro-orientale è rimasto identico sia nelle dimensioni che nel target. È cambiata la location – non più la cittadina di Bad Berka, ma un piccolo aereoporto situato presso l’altrettanto piccola e anonima Schlotheim – tuttavia la disposizione di palco, tende e stand è rimasta identica. Non si può insomma dire che agli organizzatori piaccia cambiare e osare. Ma, d’altra parte, a che pro? Ogni anno l’affluenza di pubblico è più che buona (verso le 10’000 persone), così come sono altamente positivi i riscontri da parte della critica e delle band. Chiunque ormai identifica il Party.San in un festival estremamente bene organizzato e a misura d’uomo, lontano dagli eccessi e dalle dimensioni imponenti dei vecchi cugini Wacken e Summer Breeze. Un solo palco, tempi medio-abbondanti per ogni gruppo, un bill tendente all’estremo ma comunque di sicura presa, con nomi storici o affermati mescolati a realtà più underground e a qualche cosiddetta chicca per intenditori; infine – cosa da non sottovalutare affatto, soprattutto di questi tempi – dei prezzi davvero modici per un festival tedesco di questa grandezza: €2,50 per una birra e €5 per un intero stinco di maiale arrosto, tanto per fare degli esempi. A contorno – immancabile per i festival metal vecchia scuola – un tendone per la “metal disco” e alcuni show “minori”, più un “metal market” degno di questo nome, con etichette e mailorder arrivati persino da Francia e Italia per la gioia di tutti i veri collezionisti. L’unica cosa che quest’anno ha reso l’evento nel suo insieme un po’ meno vivibile del solito è stata la temperatura a dir poco inusuale per questa zona della Germania: anche in pieno agosto, 37 gradi non erano mai stati registrati! Ciò ha comportato un lieve calo nell’affluenza davanti al palco durante le ore del pomeriggio, nonostante la possibilità di portare acqua e ombrelli all’interno dell’area festival. Calura devastante e qualche ritardo nell’inizio delle esibizioni a parte, possiamo comunque affermare che il Party.San 2015 sia stato un grande successo sia dal punto di vista organizzativo che da quello artistico. I tedeschi sono da sempre abilissimi nell’allestire un festival, se poi le dimensioni di quest’ultimo vengono volutamente contenute e la filosofia è “fare poco, ma farlo bene”, allora il risultato finale non può che essere prestigioso. Avanti così e speriamo di rivederci l’anno prossimo!
DEGIAL
I Degial non sono una band particolarmente adatta ad esibirsi sul palco di un grande festival, figuriamoci poi se il loro concerto è previsto nel pieno del pomeriggio di un giorno caldo e assolatissimo. Abbiamo avuto modo di vederli sulle assi del compianto Kill-Town, in un ambiente chiuso e di piccole dimensioni, alcuni anni fa e ancora ricordiamo con piacere quella feroce esibizione. Quest’oggi, invece, gli svedesi soffrono irrimediabilmente atmosfera e location: il trucco e le pose truci fanno meno effetto e il suono si disperde un po’. Pazienza… da qualche parte i ragazzi dovranno pure iniziare per arrivare poi a conquistare slot importanti (e serali) come quelli che ormai toccano ai loro amici Watain. In ogni caso, non si può certo dire che il gruppo suoni male: aggressività e convinzione non sono mai mancate ai Degial e, almeno le prime file, quelle dove stazionano i loro veri fan, non possono fare a meno di riconoscerlo nemmeno quest’oggi. La lunga “Death’s Striking Wings” anche in un simile contesto riesce a mietere le sue vittime e, a fine set, nessuno nega un applauso sentito ad Hampus Eriksson e compagni.
Setlist:
Swarming
Chaos Chant
Death’s Striking Wings
Transgressions Of Impious
MORBUS CHRON
Poco dopo è il turno di un’altra giovane formazione svedese, ovvero i raffinatissimi Morbus Chron. I tempi del tributo agli Autopsy sembrano ormai parecchio lontani: con il superlativo “Sweven” la band di Robert Andersson ha messo in mostra un’evoluzione sorprendente, arrivando a configurarsi come una interessantissima realtà di death metal ricercato e progressivo. Dal vivo, tuttavia, i ragazzi continuano a proporre qualche brano risalente agli esordi, giusto per non tediare troppo gli ascoltatori occasionali e mantenere un impatto costante. Dopo il tour europeo di spalla agli At The Gates dello scorso inverno, si può dire che il gruppo abbia acquistato ulteriore consapevolezza dei propri mezzi: i musicisti non si muovono granchè sul palco, ma l’esecuzione è disinvolta e la resa è sicura e potente. Andersson è senza dubbio quello più rapito dalla performance: il frontman mentre fa headbanging si aggrappa continuamente all’asta del microfono, arrivando persino a danneggiarla, mentre quando è più composto il suo sguardo appare totalmente allucinato. Con pezzi come “Towards a Dark Sky” e “Aurora In The Offing” il set viaggia su binari sicuri ed esaltanti, ma è il conclusivo outro acustico estratto da “Terminus”, sul quale i musicisti abbandonano il palco uno a uno, che i Morbus Chron stendono veramente la platea. Un colpo di classe che pochi si possono permettere.
N.B. L’annuncio dello scioglimento della band è arrivato ad articolo già redatto. R.I.P. Morbus Chron.
MIDNIGHT
Si cambia totalmente registro con l’arrivo dei guerrafondai Midnight, black-thrasher statunitensi diventati rapidamente un nome di culto tra i fanatici underground. I Nostri si presentano incappucciati come nelle foto promozionali e in poco più di mezzora riescono letteralmente a scatenare l’inferno sulle assi del palco del Party.San. Meno groovy e orecchiabili degli amici Toxic Holocaust, i Midnight infervorano soprattutto coloro che proprio non riescono a fare a meno di un regolare e sfrontatissimo omaggio a Venom, Hellhammer e Motorhead. Chiunque abbia un minimo di familiarità con il genere non potrà non avere già sentito da qualche altra parte almeno metà di questi riff, ma la scarsa personalità qui viene compensata da un’ignoranza e da una passione realmente tangibili. I Midnight mettono in mostra una foga che, per ovvi motivi anagrafici, i loro padri ispiratori oggi possono soltanto sognare: se si ama il genere e si mette da parte qualsiasi riflessione sull’effettiva utilità di una formazione come questa, è assai difficile restare impassibili davanti ad un tale dispiegamento di forza bruta e fedeltà alla causa. I Midnight sono un gruppo da festival come pochi altri.
NUCLEAR ASSAULT
Approdiamo su lidi propriamente thrash con l’arrivo dei Nuclear Assault, riesumati per l’ennesima volta da John Connelly e Dan Lilker per un breve tour estivo. La formazione newyorkese ha scritto pagine importanti della storia del thrash metal, ma le sue continue reunion degli ultimi anni non sono state accolte con particolare ardore da fan e addetti ai lavori. In effetti, i Nuclear Assault danno l’impressione di essere ormai un gruppo stanco e senza alcuna ambizione: i classici di “Game Over” e di “Handle With Care” li conosciamo tutti e nessuno osa mettere in discussione il valore di tali pietre miliari, ma quest’oggi la resa appare spenta e approssimativa, come se il quartetto fosse qui giusto per timbrare il cartellino. Certe lunghe pause tra una canzone e l’altra risultano a dir poco inspiegabili, quasi come se la band stesse decidendo cosa suonare e come farlo, e il pubblico, che percepisce un certo imbarazzo, alla lunga sembra sostare nei pressi del palco soltanto per rispetto alla carriera. Forse si tratta solamente di una giornata storta per i Nuclear Assault, ma resta il fatto che la loro esibizione nel complesso si riveli inconsistente. L’età e le dichiarazioni da pensionato di Lilker in questo caso c’entrano poco: cosiddetti mostri sacri come Testament, Exodus e Dark Angel si rendono regolarmente protagonisti di concerti di tutt’altra caratura.
Setlist:
Rise From the Ashes
Brainwashed
New Song
Critical Mass
Butt Fuck
Sin
Betrayal
Died in Your Arms
Analogue Man in a Digital World
When Freedom Dies
F# (Wake Up)
My America
Hang the Pope
Lesbians
Trail of Tears
SECRETS OF THE MOON
Può anche essere che i Secrets Of The Moon non abbiano mai rilasciato un vero e proprio capolavoro nella loro carriera, ma, almeno quest’oggi, la nomea di ottima live band non gliela toglie nessuno. Facile comprendere l’entusiasmo del pubblico del Party.San, che si emoziona non poco nel vedere una band tedesca tenere il palco con tanta personalità e inscenare uno spettacolo dal forte impatto sonoro e visivo. I Secrets Of The Moon possono ricordare ora i Deathspell Omega, ora i Satyricon, ora i più recenti Enslaved… è forse difficile parlare di loro come di una formazione personale, però i brani ci sono e il tiro che questi ultimi acquistano in sede live non è da sottovalutare. sG è un ottimo frontman e la band appare sicura ed affiatata sotto la sua guida. Sorprende la comparsata di Andre Moraweck, ex cantante dei Maroon, alle backing vocals in alcuni momenti, ma è quando il gruppo procede nella sua consueta lineup che riesce a dare il meglio, risultando freddo e quadrato come pochi. “Lucifer Speaks” è il titolo di uno dei loro brani più acclamati e potremmo parafrasarlo per descrivere questa prova della band tedesca; grazie ad essa la prima sera del Party.San 2015 si tinge di rosso e nero.
VANHELGD
La giornata di venerdì per noi si apre con il concerto dei Vanhelgd e a grandi linee ci sembra di rivivere quello dei loro connazionali Degial del giorno prima: anche il quartetto si esibisce sotto un sole allucinante e su un palco forse troppo grande per i suoi gusti. La prova, tuttavia, non dispiace affatto: vi è una componente di crust hardcore / old school death metal bastardo nel suono dei Vanhelgd che non sempre è facile percepire su disco; dal vivo, invece, il gruppo riesce a farla affiorare pesantemente, sia nell’interpretazione sul palco che nella scelta dei suoni. Il cantante/chitarrista Mattias “Flesh” Frisk dà infatti l’impressione di sentirsi a capo di una band come Wolfbrigade o Disfear tanto è sguaiato e scalmanato sul palco, mentre gli altri incitano continuamente la folla a mostrare le corna e a muoversi. Insomma, i Vanhelgd non si fanno assolutamente intimidire e la loro esibizione finisce per lasciare il segno molto più del previsto. L’esecuzione di “Dödens Maskätna Anlete” resta tutt’ora uno dei nostri momenti preferiti dell’intero festival.
AETERNUS
Gli Aeternus sono da sempre un gruppo per pochi: la loro storia non è delle più lineari e il passaggio dal black al death metal avvenuto a metà carriera ha lasciato l’amaro in bocca a più di un fan. L’idea di vederli dal vivo, tuttavia, a quanto pare stuzzica parecchia gente in questa seconda giornata del Party.San Open Air; del resto, non si sta parlando di una formazione che ama particolarmente farsi vedere in giro, quindi si tratta a tutti gli effetti di saper cogliere una delle poche occasioni per assistere ad uno show del quartetto. Quartetto che, dal canto suo, non sfigura affatto sul grande palco dell’evento: i suoni sono ottimi e la scaletta prova ad accontentare tutti, con pezzi estratti da quasi ogni disco. In particolare, il cantante/chitarrista Ares appare assai spigliato: la sua presenza scenica è tutto fuorchè pretenziosa e i dialoghi con il pubblico denotano grande affabilità. Evidentemente, per questi norvegesi non c’è bisogno di calcare troppo la mano su pose da dannato quando brani come “Sworn Revenge” o “There’s No Wine Like the Bloods Crimson” danno già il massimo in termini di malvagità. Insomma, le aspettative non erano troppo elevate, ma questi Aeternus hanno molte più frecce al proprio arco del previsto.
SOULBURN
Il revival old school death metal degli ultimi anni ci ha restituito anche i Soulburn, ovvero la band che verso la fine degli anni Novanta veniva vista come la nuova incarnazione degli Asphyx. Sappiamo tutti come la carriera di questi ultimi si sia poi evoluta, ma intanto ciò non ha impedito agli ex membri Eric Daniels e Bob Bagchus di riesumare questo progetto e di incidere un altro album per Century Media (“The Suffocating Darkness”, 2014). Non possiamo dire di stare morendo dalla curiosità di vedere dal vivo i Soulburn, ma dobbiamo ammettere che il quartetto quest’oggi si presenta sul palco del Party.San con un piglio davvero autoritario, tanto da arrivare ad esibirsi davanti ad un pubblico decisamente nutrito e partecipe. In questa sede gli influssi black presenti nell’ultima fatica vengono offuscati dall’onnipresente base death metal, che, almeno a livello ritmico, spesse volte sfocia totalmente in formule Asphyx. D’altronde, non possiamo dimenticare che il debut album “Feeding On Angels” venne concepito in origine come un nuovo capitolo discografico della band madre e che solo in seguito venne presa la decisione di pubblicarlo sotto un monicker diverso. La folla, comunque, segue curiosa e apprezza: per ovvi motivi non arriva una “Last One On Earth”, ma le varie “Hellish Entrapment” e “Under the Rise of a Red Moon” fanno comunque scapocciare a più riprese. Serviva una prova così massiccia per dimenticarsi del caldo.
Setlist:
Apotheosis Infernali
Under the Rise of a Red Moon
Absinthesis
In Suffocating Darkness
Claws of Tribulation
Hymn of the Forsaken
Hellish Entrapment
I Do Not Bleed from Your Crown of Thorns
Feeding on Angels
Eden’s Last Sigh
AGALLOCH
Detto che è sempre preferibile assistere ad un concerto degli Agalloch in un locale, magari di dimensioni ridotte, dobbiamo dire che quest’oggi sole e afa non riescono minimamente a danneggiare la prova degli statunitensi. Fa impressione vedere quanta gente accorra davanti al palco per il quartetto, se non altro perchè gli Agalloch da sempre non possono contare su chissà quali campagne promozionali a supporto dei loro dischi; tuttavia, la qualità dei vari “The Serpent & The Sphere” e “Marrow Of The Spirit” e la facilità con cui oggi il passaparola viaggia tramite internet hanno evidentemente dato i loro buoni frutti. Se aggiungiamo poi che il gruppo oggi può contare su dei suoni ottimi, allora è facile comprendere perchè si arrivi a definire quello degli Agalloch uno dei migliori show di questa edizione del Party.San. A dispetto della grandezza del palco, John Haughm e soci denotano una buona presenza scenica e il valore del materiale fa il resto: “Into The Painted Grey” è la cavalcata perfetta per infiammare gli animi e per concludere un concerto in uno strepitoso crescendo di emozioni, ma nella scaletta di quest’oggi riesce a fare una bellissima figura anche la più datata “Hallways of Enchanted Ebony”, che con il suo agile midtempo offre un gradito break maggiormente ritmato ed easy listening. Trascendendo black metal, folk, doom e gothic metal, gli Agalloch sono da tempo riusciti a trovare uno stile proprio e facilmente riconoscibile, ma è anche grazie ad esibizioni impeccabili come questa che la loro fama sta aumentando: questo vuol dire sapere sfruttare al meglio le occasioni.
Setlist:
The Astral Dialogue
Vales Beyond Dimension
Limbs
Hallways of Enchanted Ebony
Dark Matter Gods
Into the Painted Grey
BLOODBATH
Uno degli ultimi “botti” di venerdì è il concerto dei Bloodbath, che arrivano al Party.San dopo essersi esibiti al ceco Brutal Assault la sera prima. Lo show di questa sera è più breve del solito (quarantacinque minuti anzichè un’ora abbondante) ma il gruppo ovviamente non sottovaluta l’impegno. Anzi, si può dire che i Bloodbath oggia siano particolarmente in forma: tra tutti i loro concerti a cui abbiamo avuto modo di assistere, questo è senz’altro il più compatto e coinvolgente. “Old” Nick Holmes, oltre a condire ogni pausa con pillole di british humour, urla con una ferocia che sinora non avevamo mai sperimentato, mentre il resto della band, evidentemente rodata dalla serie di show estivi, è un vero tritacarne. I Bloodbath questa sera non sbagliano nulla: dall’esecuzione alla scelta dei pezzi, sino ad arrivare all’ormai immancabile sangue di scena, tutto è appropriato. Il pubblico è per gran parte tedesco e ormai si sa quanto a quest’ultimo piacciano le trame semplici e dirette, sulle quali è facile fare headbanging: “Like Fire” e “Eaten”, poste in chiusura in rapida successione, in questo senso sono la proposta perfetta per tutti i fan assiepati sotto il palco. Purtroppo è ormai buio, ma non fatichiamo ad immaginare centinaia di chiome muoversi su è giù, come tante ondate. Peccato appunto che il set duri poco, ma per noi è sempre meglio una prova breve e di qualità piuttosto che un’esibizione più lunga e con qualche calo di tensione.
Setlist:
Let the Stillborn Come to Me
Mental Abortion
So You Die
Breeding Death
Anne
Weak Aside
Like Fire
Eaten
CANNIBAL CORPSE
Se si è fan di questa musica anche solo da pochi anni, è difficile non avere avuto la possibilità di assistere ad un concerto dei Cannibal Corpse almeno una volta. Da tempo Alex Webster e compagni seguono un rigoroso schema “album – tour mondiale – album”, prendendosi pochissime pause e arrivando a visitare le stesse zone anche più di una volta in un anno. La band evidentemente è la prima a rendersene conto e per questo tour europeo estivo ha deciso di mischiare un po’ le carte, preparando una scaletta un po’ meno ovvia del solito. Ovviamente classici vecchi e nuovi come “Hammer Smashed Face” e “Make Them Suffer” non possono essere toccati, ma, per il resto, sorprende sentire appena due tracce dall’ultimo “A Skeletal Domain” e, soprattutto, colpisce imbattersi in alcuni brani che sino ad oggi sembravano essere stati accantonati del tutto. “Sentenced To Burn” ha sempre avuto un gran tiro e questa sera fa sbattere centinaia di teste, idem la linearissima e feroce “Disposal Of The Body”, della quale, in tutta onestà, ci eravamo quasi dimenticati. I tardi anni Novanta non sono stati un periodo molto fortunato per i Cannibal Corpse, ma solo a livello di popolarità e presa sul pubblico: anche dischi poco celebrati come “Gallery Of Suicide” contengono infatti alcune perle che meritano di essere (ri)scoperte. “The Wretched Spawn” è un’altra traccia per noi inattesa, ma, naturalmente, le ovazioni maggiori il quintetto le raccoglie con le vere e proprie hit. In generale, comunque, la prova degli statunitensi è sempre solidissima: l’età obbliga a prendersi qualche pausa in più e a rallentare qua e là, ma quando i Nostri partono non ce n’è per nessuno. Una simile compattezza si raggiunge solo dopo migliaia di concerti e per la maggior parte delle death metal band in attività è ancora oggi impensabile raggiungere questi livelli di potenza e coesione. Davanti ai sovrani c’è solo da inchinarsi.
Setlist:
Scourge of Iron
Demented Aggression
Evisceration Plague
Stripped, Raped and Strangled
Disposal of the Body
Sentenced to Burn
Kill or Become
Sadistic Embodiment
The Wretched Spawn
Unleashing the Bloodthirsty
I Cum Blood
Make Them Suffer
A Skull Full of Maggots
Hammer Smashed Face
Devoured by Vermin
KRISIUN
I leoni Krisiun non temono alcun tipo di avversità atmosferica. È dal lontano 1990 che i brasiliani lottano nell’underground, facendosi largo a spallate, e un po’ di sole in faccia non può certo rappresentare un problema per loro. Alex Camargo e soci (anzi, fratelli) ci credono da sempre e non devono assolutamente sforzarsi per risultare credibili in questo pomeriggio di sabato. A volte si può avere l’impressione che il gruppo stia suonando nuovamente lo stesso pezzo, ma la potenza del set è fuori discussione. I Krisiun sono sinonimo di quel death metal puro e onesto che non tramonterà mai. Non sono dei mostri di varietà, ma picchiano come pochi altri e di rado sbagliano nell’esecuzione, strappando sempre più consensi minuto dopo minuto. Il pubblico si assiepa sotto il palco e non può che apprezzare l’integrità e la franchezza della formazione brasiliana: “Combustion Inferno”, “Ravager” e la nuova “Ways of Barbarism” ricevono applausi tanto quanto i continui incintamenti e i ringraziamenti di Camargo, che non perde mai occasione per esprimere riconoscenza per il supporto tributato alla sua band e a tutti gli altri gruppi esibitesi sin lì. Ad un festival di questo genere è sempre un piacere imbattersi nei cari vecchi Krisiun.
Setlist:
Ominous
The Will To Potency
Combustion Inferno
Descending Abomination
Ways of Barbarism
Ravager
Scars of the Hatred
Vicious Wrath
Kings of Killing
TOXIC HOLOCAUST
Joel Grind quest’oggi suona il basso anzichè la chitarra, ma la sostanza non cambia: i Toxic Holocaust sono da sempre una live band terremotante e i quaranta minuti del concerto al Party.San non fanno altro che confermare quanto si è sempre detto su di loro. La scaletta è ormai collaudatissima e il pubblico evidentemente sa già cosa aspettarsi: i ghigni stampati sui volti si contano a centinaia e i circle pit – cosa rara a questi eventi underground tedeschi – iniziano ad occupare gran parte dello spiazzo davanti al palco. “666”, “War Is Hell”, “In the Name of Science” e, ovviamente, “Nuke the Cross” e “Bitch” sono solo una piccola parte dei brani che il terzetto snocciola quest’oggi; i Toxic Holocaust potrebbero anche procedere con maggiore calma, ma a quanto pare non è proprio nella loro natura temporeggiare. Lo show è una fucilata thrash-hardcore che scuote e rintrona gli astanti come nessun altro set della giornata. La ferocia e la strafottenza degli statunitensi sono palpabili è tutti siamo ben felici di farci investire da cotanta ignoranza. Ci si dimentica di tutto – sete, fame, caldo, stanchezza – e ci si spella le mani per applaudire, canzone dopo canzone. Grandissimo concerto da parte di una delle migliori live band in circolazione.
Setlist:
Wild Dogs
666
I Am Disease
Death Brings Death
Reaper’s Grave
Awaken the Serpent
War Is Hell
In the Name of Science
The Lord Of Wastedland
Gravelord
Hell on Earth
Acid Fuzz
Metal Attack
Nuke the Cross
Bitch
ROTTING CHRIST
Per un motivo o per un altro, i Rotting Christ non sono mai riusciti ad esibirsi al Party.San prima di oggi. Strano, perchè la band ellenica ha suonato praticamente ovunque in carriera, ma, evidentemente, a volte è più semplice organizzare tour in luoghi remoti piuttosto che rimediare uno slot adatto ad eventi sulla bocca di tutti come quello in questione. In ogni caso, il gruppo è oggi nel pieno di un tour estivo che lo sta portando nei maggiori festival europei: la formazione è senza dubbio rodata, ma Sakis Tolis appare un po’ stanco. La voce, in particolare, manca di potenza più che in altre occasioni e anche il movimento sul palco sembra essere ridotto al minimo. Per fortuna da un paio d’anni la band può contare su Vagelis Karzis al basso e George Emmanuel alla chitarra, due membri sempre molto attivi e partecipi, che riescono a compensare non poco le mancanze odierne del frontman. I due non perdono mai occasione per scambiarsi le posizioni e per incitare la folla e quest’ultima pare apprezzare parecchio questa loro verve prettamente mediterreanea. Anche se un po’ acciaccati, i Rotting Christ sono tutto fuorchè timidi e alla fine il pubblico si lascia conquistare dalla loro passione. Paradossalmente, l’episodio che oggi raccoglie i consensi maggiori è una cover – “Societas Satanas” dei Thou Art Lord – ma dal canto nostro ci sentiamo di ricordare anche “Transform All Suffering Into Plagues” e “In Yumen-Xibalba”, canzoni che lasciano sempre il segno, anche in giornate “storte” come quella di oggi.
DEATHRITE
Sono i Deathrite il primo gruppo del palco minore (situato nel tendone della cosiddetta metal disco) che ci interessa vedere in questa edizione del Party.San. Abbiamo già avuto modo di saggiare la potenza live del quartetto tedesco – all’olandese Bloodshed Fest di un paio di anni fa – e oggi siamo molto curiosi di vedere come il “loro” pubblico saprà accoglierli in un evento tanto importante. La risposta arriva dopo appena una canzone: i Deathrite sono destinati a diventare un nome di culto da queste parti, vista la calorosissima risposta dei numerosi presenti sotto al tendone. I tedeschi amano il death metal anni Novanta, a maggior ragione se condito da cadenze lineari, su cui è facile fare headbanging, e i Deathrite propongono esattamente tutto ciò. Certo, qua e là si sentono alcune influenze crust hardcore o grind, ma l’impianto base del sound del quartetto è innegabilmente Entombed/Dismember. La chitarra motosega infiamma gli animi e le dozzine di teste intente a scapocciare finiscono per alzare un polverone che porta alcuni astanti ad arretrare verso il bancone del mixer. “Revelation of Chaos” è uscito da poco e i ragazzi basano gran parte della scaletta su pezzi estratti dal nuovo album, ma è la più datata “The Golden Age” a scatenare definitivamente la platea: impossibile resistere davanti ad un brano così ignorante. Bravi Deathrite, una live band sempre più efficace.
OPHIS
A livello di numero di brani in scaletta, quello degli Ophis può apparire sicuramente come lo show più breve di questa edizione del festival. Chi ha familiarità con il materiale della doom-death metal band teutonica non farà tuttavia fatica a immaginare quanto il quartetto sia effettivamente rimasto sul palco sotto il tendone. Insomma, gli Ophis in questo tardo pomeriggio di sabato propongono solo due composizioni… ma si sta parlando di quasi mezzora di musica! Il cantante/chitarrista Philipp Kruppa arriva persino a scherzarci sopra – salutando i fan e annunciando “l’ultimo pezzo della serata” dopo quella martellata di “Somnolent Despondency” – e il numeroso pubblico non riesce a trattenere le risate. A dispetto della difficoltà della proposta, negli anni gli Ophis sono riusciti a costruirsi un notevole seguito da queste parti e oggi danno a tutti gli effetti l’impressione di essere estremamente a proprio agio sul palco e davanti ad una folla così corposa. Il Main Stage probabilmente non si sarebbe rivelato adatto al loro sound, ma in questa cornice più raccolta i ragazzi riescono a dare il meglio, riuscendo a ricreare quelle stesse atmosfere soffocanti che più volte abbiano avuto modo di saggiare nei piccoli club. Peccato solo che non ci sia il tempo di proporre un pezzo dall’apprezzatissimo debut “Stream of Misery”, ma si sa che in tali circostanze è necessario scendere a compromessi. Per quanto ci riguarda, quello degli Ophis resta nonostante tutto uno degli highlight di quest’oggi.
Setlist:
Somnolent Despondency
The Halls Of Sorrow
KATAKLISM
I Kataklysm sono un’altra band particolarmente seguita e apprezzata in Germania. Abbandonato del tutto il death metal ultra frenetico degli ormai lontani esordi, la formazione canadese è da tempo riuscita ad imporsi con un mix di groove e melodic death metal tanto quadrato quanto di facile assimilazione. Negli ultimi anni il quartetto si è forse auto-citato un po’ troppo in studio, ma dal vivo resta comunque una realtà che sa intrattenere, grazie in primis alle cadenze pachidermiche di molte delle cosiddette hit recenti e poi alle capacità di frontman del “nostro” Maurizio Iacono. Oggi assistiamo insomma ad un classico show dei Kataklysm, nel quale il pubblico segue alla lettera le direttive del cantante – wall of death, pugni al cielo, headbanging, ecc – mentre il resto del gruppo martella incessantemente, calcando come sempre la mano su riff ignoranti e midtempo marziali. La setlist non presenta alcuna sorpresa: le varie “As I Slither”, “The Ambassador of Pain” e “In Shadows & Dust” fanno parte di ogni show dei canadesi da tempo immemore e quest’oggi vengono accolte con la consueta passione; la nuova “The Black Sheep” rappresenta invece la novità di questo tour estivo: qualcuno ha parlato addirittura di death-core davanti a questa traccia, ma a nostro avviso non si tratta di altro che di una lieve estremizzazione dello stile caro alla band da diversi album a questa parte. Difatti, il pubblico pare gradire e non si avverte alcun calo di tensione nell’aria. Per i Kataklysm è un’altra piccola vittoria.
Setlist:
To Reign Again
If I Was God… I’d Burn It All
As I Slither
At the Edge of the World
The Black Sheep
Push the Venom
The Ambassador of Pain
Thy Serpents Tongue
In Shadows & Dust
Crippled & Broken
MANTAR
Dopo il mattone Kataklysm, ci tuffiamo in una pozza di imprevedibilità con il concerto dei Mantar, i quali si esibiscono nella sempre più frequentata tenda. Il duo di base ad Amburgo ha letteralmente bruciato le tappe dalla pubblicazione del debutto “Death by Burning” ad inizio 2014: le apparizioni a festival di prestigio si sono sprecate, così come i tour negli USA e nel Vecchio Continente. Non stupisce quindi che i Mantar si rivelino una realtà rodatissima e devastante, abile interprete di una proposta multi-sfaccettata, che parte dallo sludge per sfociare nell’hardcore e persino nel black metal. Come sempre senza basso, il duo composto da Hanno (chitarra e voce) e Erinc (batteria e voce) non perde tempo per zittire gli scettici, erigendo subito un muro di suono grave e densissimo, sul quale gli astanti hanno modo di scatenarsi nei modi più disparati, dal classico headbanging ad un pogo vecchia scuola, sino ad arrivare a qualche stage dive (pratica abbastanza inusuale al Party.San). Hanno appare spiritato per tutta la performance – procede per il palco con scatti nervosi e più volte sembra quasi intento a stuprare la propria chitarra – mentre Erinc pare spesso sul punto di collassare; ad ogni pausa il batterista si alza e sembra guardarsi attorno con un’espressione disorientata. Uno spettacolo nello spettacolo, questa esibizione dei Mantar, che, a conti fatti, arrivano quasi a proporre “Death by Burning” per intero, tranciando segmenti qua e là, ma suonando con una foga doppia rispetto al disco. Ottima prova.
MY DYING BRIDE
Squisita, come prevedibile, è poi anche la performance dei My Dying Bride. I leggendari gothic-doom metaller britannici stanno per pubblicare il nuovo “Feel The Misery”, ma questa sera non vi è spazio per anteprime nel loro set. Al contrario, ci viene somministrato un piccolo, graditissimo, “best of” incentrato soprattutto sulla parte centrale della loro carriera. Senza nulla togliere al capace Hamish Glencross (oggi nei Vallenfyre), fa piacere ritrovare Calvin Robertshaw in lineup, proprio come ai cosiddetti vecchi tempi. È forse anche per questo motivo che una “Turn Loose the Swans” questa sera ci fa venire ancora più brividi del solito: con Aaron Stainthorpe e Andrew Craighan, abbiamo davanti buona parte della formazione storica e la mente viaggia agli anni Novanta, quando chi scrive muoveva i primi passi in questa scena e assaporava per la prima volta certe pietre miliari. Va poi aggiunto che i My Dying Bride nel loro genere sono da sempre una delle live band più solide: difficile restare indifferenti davanti ad un loro concerto, a maggior ragione se questo ha luogo di sera ed è avvolto da un gioco di luci tra i più suggestivi di questo Party.San 2015. Stainthorpe è come sempre mattatore – seducenti e inconfondibili le sue movenze sul palco – ma oggi la maggior parte dell’attenzione va alla band nel suo insieme e al muro di suono che essa riesce ad innalzare; “She Is the Dark”, in particolare, si dimostra potentissima e fosca come non mai, mentre “The Cry of Mankind” è quella solita, estenuante, esperienza catartica che non può assolutamente mancare in una scaletta live degli inglesi. Per intensità e pathos, quello dei My Dying Bride è naturalmente il concerto migliore della giornata: per la verità, in pochi nutrivano dubbi sul quintetto, ma è sempre giusto rimarcare l’impeto emotivo che questo gruppo è in grado di generare ogni volta che si esibisce. Maestri.
Setlist:
Your River
A Kiss to Remember
Catherine Blake
Turn Loose the Swans
She Is the Dark
The Cry of Mankind
SAMAEL
Spiace parecchio affermarlo, ma dopo la prova autoritaria dei My Dying Bride, lo spettacolo dei Samael finisce per lasciare un po’ di amaro in bocca. In primis si segnala come parte del pubblico lasci l’arena subito dopo il concerto dei britannici, evidenziando un colpevole disinteresse nei confronti di una formazione che ha fatto la storia del metal estremo europeo; tuttavia, va poi sottolineato come anche gli svizzeri e il loro fonico ci mettano del loro. Anche questa sera la band celebra il ventennale della pubblicazione del fenomenale “Ceremony Of Opposites” e, di conseguenza, l’attacco viene affidato a “Black Trip”; basta questo brano a palesare alcune notevoli pecche nell’impianto alla base dello show: i volumi sono troppo bassi, quasi innocui, e l’interpretazione appare vuota e stanca. In particolare, non si comprende per quale motivo i Samael decidano di interpretare un album datato con i suoni tipici della loro produzione più recente: la batteria è campionata e le chitarre sono lontane dal graffiare come su quel disco. Onestamente ci aspettavamo che per l’occasione il gruppo rispolverasse la strumentazione tradizionale, per rendere piena giustizia al proprio passato e per ricreare al meglio le atmosfere di quel leggendario lavoro. La sensazione, invece, è quella di trovarsi al cospetto di un gruppo che ha allestito questa “celebrazione” giusto per risollevare un po’ le proprie quotazioni e per accattivarsi nuovamente le simpatie di qualche nostalgico. L’intera parte del concerto dedicata a “Ceremony…” lascia quindi freddi e addirittura infastiditi, a tratti. Non vedevamo l’ora di ascoltare la succitata “Black Trip” o “Baphomet’s Throne” dal vivo, ma ben presto ci ritroviamo a seguire il quartetto con distacco e diffidenza. Per fortuna, i cosiddetti “bis” regalano una prova di tutt’altra pasta: la drum machine e le tastiere di Xytras hanno il loro perchè in tracce come “Rain” o “My Saviour” e pure Vorph appare più coinvolto, quasi a fare intendere che, una volta sbrigata la pratica revival, è questo il materiale dei Samael che preferisce. Insomma, questo lungo finale, grazie anche ad una inaspettata “Rebellion”, si fa ricordare ben più della prima parte. Poteva essere un’esperienza epocale, invece gli svizzeri hanno tutto sommato deluso. Un peccato, in definitiva, chiudere un evento fortunato come questo Party.San 2015 con uno show sottotono e con un’area concerti vuota per metà: per tornare a sorridere è meglio pensare al resto del weekend appena trascorso o all’edizione 2016, attualmente in allestimento.
Setlist:
Black Trip
Celebration of the Fourth
Son of Earth
Till We Meet Again
Mask of the Red Death
Baphomet’s Throne
Flagellation
Crown
To Our Martyrs
Ceremony of Opposites
Jupiterian Vibe
Rain
Of War
Rebellion
Slavocracy
Shining Kingdom
The Truth Is Marching On
My Saviour