02/10/2016 - PENTAGRAM + MOTHER’S CAKE + DOOMRAISER @ Lo-Fi - Milano

Pubblicato il 07/10/2016 da

Report a cura di Simone Vavalà

Primi freddi o quasi, prime brume che salgono dai campi – ma questo è facile, nell’estrema periferia ove si trova il Lo-Fi. Fatto sta che l’atmosfera è quella giusta per farsi trascinare dai padri del doom, di ritorno in Italia dopo tre anni esatti. A scaldare gli astanti, non numerosissimi ma decisamente partecipi, i nostrani Doomraiser e la “novità” Mother’s Cake, band austriaca che ha preso il posto degli Atomic Bitchwax al fianco dei Pentagram in questo lungo tour europeo. Preparate i crocifissi, gli stivaletti e un filo di mascara nero: doom or be doomed!

 

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DOOMRAISER
Raccontare l’esibizione dei capitolini Doomraiser è, in fondo, raccontare il buonissimo stato di forma della scena doom italiana: compatti, trascinanti, magnetici. Cos’altro desiderare? Solo, forse, che in una serata come questa si possano vedere centinaia di spettatori, anche se il lunedì alle porte è purtroppo un dissuasore comprensibile; perché i Doomraiser sono in grado, con soli quattro brani e quaranta minuti a disposizione, di preparare il terreno alle leggende del doom a testa alta, devastando l’audience come da loro abitudine. Chi vi scrive non li vedeva da un po’, e nonostante qualche vicissitudine dalle parti della seconda chitarra, il combo macina riff e miasmi assassini sul pubblico senza requie, pescando equamente da tutti i quattro full length finora pubblicati. Cynar rovescia effetti lisergici e il suo cantato abrasivo fin dall’iniziale “Dio Inverso”, mentre minuto dopo minuto BJ e Pinna triturano sassi con naturalezza, risputandoceli in faccia con violenza; e le due chitarre, nel frattempo, non infiorettano certo melodie di fiori e palloncini: Montagna e il rientrante Beppe sciorinano i loro impasti grassi e avvincenti con maestria, col risultato finale di un perfetto mix di intensità e ignoranza (quella buona!) che ci si aspetta in questi casi. Particolarmente piacevole la restituzione della lunga e ipnotica “The Age Of Christ”, solida come un pugno in faccia ma con la giusta dose di ossessività, perfetta per scuotere la testa a occhi chiusi. La doomenica musicale è partita alla grande, insomma.

Setlist:
Dio Inverso (Reverse)
Another Black Day Under The Dead Sun
The Age Of Christ
Like A Ghost

MOTHER’S CAKE
Nota da tempo la defezione degli Atomic Bitchwax quale band di supporto di questo tour, attendiamo con curiosità l’esibizione degli austriaci Mother’s Cake, di cui francamente non abbiamo mai ascoltato nulla. Il trio si presenta scanzonato e brioso già durante il veloce soundcheck, durante il quale il cantante e chitarrista scherza col pubblico in (scarso) italiano; e lo spirito del terzetto resta lo stesso durante i tre quarti d’ora di esibizione: nessuna posa, niente fronzoli, sei canzoni di sano rock psichedelico pesantemente mediato da un’attitudine alternative ben amalgamata, ma probabilmente poco adatta alle cadenze ben più monolitiche della serata. Il chitarrista si spende efficacemente in dilatazioni che riportano quasi alla mente i Motorpsycho, sebbene molto più contenute nella durata, mentre la sezione ritmica fa esattamente quello che si può sperare, con il basso di Benedikt particolarmente in evidenza, soprattutto durante i momenti più “contaminati” di cui sopra. Bella anche la prova vocale, sporca a sufficienza, ma capace di ricordare quasi un Perry Farrell quando l’atmosfera lo merita; per esempio sulla conclusiva “Creation’s Finest”, vero highlight dello show, che ben riassume tutte le acide potenzialità espressive della band. Peccato solo lo scarso coinvolgimento del pubblico, purtroppo comprensibile dati i due macigni musicali che precedono – e soprattutto seguono – l’esibizione della band tirolese.

PENTAGRAM
Quante volte avete sentito definire i Pentagram i Black Sabbath americani, con tutta la consueta serie di luoghi comuni associati? Sicuramente pochi riffmaker hanno il titolo per entrare quantomeno nella stessa stanza di Tony Iommi, e Victor Griffin è tra questi; che dire, poi, di Bobby Liebling? Incontrato a passeggio per il Lo-fi prima del concerto dimostra novant’anni e la lucidità di mio nonno, proprio come Ozzy; chiacchierando si autodefinisce “hallowed”, ma sul palco si trasforma in un frontman eccezionale. E in questo, davvero, il confronto si chiude in netto vantaggio. Iconico per le sue mossette quasi glam, lo sguardo ipnotico e folle à la Marty Fieldman, Bobby entra sulle note di “Too Late”, allorché sia Griffin che Greg Turley al basso si sono inseriti sulla breve intro. L’esibizione del quartetto di Washington D.C. è decisamente un unicum commovente e trascinante; pochissime le pause, durante le quali il frontman prova a raccontare aneddoti sui brani o altre amenità francamente incomprensibili, ma a parlare è, come giusto, la musica. Come d’abitudine la scaletta prevede come colonna spinale molti brani dell’omonimo album di esordio, un capolavoro assoluto da cui  vengono estratti ben sette brani; se sulle inziali “Death Row” e “All Your Sins” si resta quasi solo incantati a godere della capacità di non invecchiare (tanto dei brani che della band), sulla doppietta “Sign Of The Wolf” e “Sinister” il pubblico impazzisce letteralmente. Riff che sono scolpiti nella testa di qualunque metalhead che si rispetti, e il ritornello della prima viene cantato a squarciagola da tutti i presenti. E l’entusiasmo collettivo cresce ancor di più quando viene annunciata “Forever My Queen”, pezzo non così frequente in scaletta e – ricordiamo – primo singolo della band nel lontano 1972. Cosa dire? La sezione ritmica, compreso il neo-arrivato Pete Campbell, regala un tappeto grasso e cupo quanto basta, mentre i due membri storici regalano brividi, equamente spartiti tra una sei corde da lacrime e un’ugola, davvero, dorata. Sembra incredibile, ribadiamo, vedere questo scricciolo apparentemente malfermo e parecchio malsano tenere il palco con questa sicurezza, ma ancora di più dipingere note da bardo o quasi blues su pezzi come “Dying World” o “Last Days Here”. Un plauso particolare va, poi, agli estratti del recente “Curious Volume”: la title-track o “Devil’s Playground”, per citarne un’altra, entrano di diritto nella scaletta della band, con una cadenza sinuosa che mostra continuità senza alcuna nostalgia. Alla fine, esausti ma sorridenti, abbiamo ricevuto un’ora e mezza di cascata lavica oscura, heavy ed affascinante, in cui i due Signori Oscuri (non ce ne abbiano i comprimari) non solo incantano, ma sembrano come sempre divertirsi. Dopo quasi quarantacinque anni di travagliatissima carriera, non ci pare cosa da poco.

Setlist:
Intro/Too Late
All Your Sins
Close The Casket
Sign Of The Wolf/Sinister
Forever My Queen
The Tempter Pusher
When The Screams Come
Dead Bury Dead
Curious Volume
Dying World
Devils Playground
Relentless/Broken Vows

Last Days Here
Be Forewarned
20 Buck Spin

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