Report a cura di Simone Vavalà
Venghino venghino, Signore e Signori! Il grande circo adrenalinico del Persistence Tour è in città per l’ultima data europea, e il richiamo è troppo forte per mancare; ben sette band, di diversa visibilità, certo, ma tutte ad alto potenziale di adrenalina, pronte a scatenare il mosh pit per il numeroso pubblico che presenzia fin dalle quattro del pomeriggio nella cornice dell’O2 Forum. A parte qualche piccolo problema di suoni durante un paio di esibizioni, e la criminale scelta di offrire solo birre lager al bar, la lunga giornata fila via liscia e divertente; forse fin troppo liscia nel caso degli headliner…ma andiamo con ordine!
MIZERY
L’onere e onore di scaldare gli animi spetta ai Mizery, giovane e promettente band californiana che ha rilasciato nel 2016 l’album d’esordio, meritatamente promosso a pieni voti su queste pagine; dal vivo, nonostante solo mezz’ora a disposizione e il sacrificato slot noto come “vedi di sbatterti mentre la gente sta ancora entrando”, i Nostri offrono un ottimo e coinvolgente show, grazie a un crossover metal sicuramente datato, ma suonato con passione e sudore. I richiami principali che ci vengono in mente, anche come energia live, sono probabilmente gli Stuck Mojo, sebbene il cantato in questo caso non ceda al rhyming rappato, risultando quindi decisamente più coinvolgente e adatto ai nostri timpani. Assolutamente promossi.
BURN
Nonostante la posizione sacrificata, i Burn hanno sicuramente preso parte a questa tournée partendo da uno stato di semi-culto; tornati sulle scene l’anno scorso dopo quasi quindici anni di stop, Chaka Malik e soci erano sicuramente molto attesi alla prova live. Ma a parere di chi vi scrive, purtroppo, hanno anche offerto la prova meno coinvolgente del lotto; complice quello che è stato sicuramente il peggior lavoro al mixer dell’intera giornata, il loro suono risulta insieme confuso e piatto, e l’aggressività adrenalinica del carismatico frontman perde così molto appoggio, finendo per fare salti mortali senza rete in almeno un paio di brani. Mezz’ora di esibizione anche per loro, e purtroppo almeno dieci minuti sotto tono non aiutano a imprimerli nella memoria.
DOWN TO NOTHING
È il momento dei Down To Nothing, e l’asticella musicale si sposta in territori decisamente più in the face, grazie alla band più hardcore presente – almeno tra i supporter, dato che i pur attempati Agnostic Front, nel seguito, ricorderanno con facilità al pubblico da dove arrivi il resto del carrozzone. Ma restiamo sul pezzo: la band di Richmond offre un’esibizione compatta, le due chitarre sciorinano riff coinvolgenti e capaci di far scuotere la testa anche a chi non li conosce, e sugli scudi si colloca il bravo David Wood; più che un cantante, data la proposta musicale non proprio da virtuosi, un intrattenitore, ma ben venga: il pubblico si diverte e un’altra mezz’ora è passata con piacere. Ci resterà il dubbio, come nota di gossip, se ci sia stato qualche problema o gelosia, magari in merito alla posizione in scaletta, coi successivi Walls Of Jericho; durante l’esibizione, infatti, come da tradizione hardcore, i DTN ringraziano tutte le band presenti, saltando a pié pari la band di Candace Kucsulain.
WALLS OF JERICHO
…che, indifferente a questa o ad altre potenziali provocazioni, sale sul palco combattiva come suo solito, e infatti gli animi si scaldano sempre più, così come la temperatura interna del locale. Non è certo la varietà il forte dei Walls Of Jericho, tanto che la principale differenza rispetto all’ultima volta che ci è capitato di vederli anni fa sta probabilmente nei sempre più visibili muscoli della rossa frontman. Va detto, comunque, che il loro metalcore, per quanto simile a mille altre proposte, funziona e coinvolge il pubblico alla grande; un pubblico che, evidentemente, è in discreta parte presente specificamente per loro, dato che nonostante la scaletta incentrata principalmente sul recente comeback “No One Can Save You From Yourself” si assiepa e canta (si fa per dire) i brani proposti. Un giro di boa della giornata compiuto con capacità e impatto, sicuramente.
MUNICIPAL WASTE
La band di Richmond si presenta sul palco nel ruolo di vero e proprio trait d’union tra le sonorità più old school e certi modernismi – nei limiti di una giornata piuttosto omogenea –, grazie alla loro divertente e accattivante proposta thrash-core; lo stato di forma di Tony Foresta, purtroppo, non è dei migliori, e l’organizzazione ne approfitta per recuperare il piccolo ritardo accumulato nel corso dei vari cambi di palco. C’è così spazio per soli sette pezzi, suonati però con tutte le energie a disposizione, un’allegria contagiosa e l’inevitabile attacco al neo eletto Trump: che campeggia in formato cartoon e suicida sulle casse, e che viene “celebrato” con l’allora profetica “I Want To Kill The President”. I Municipal Waste sono sicuramente in grado di tenere il palco più a lungo e di far partire mosh pit più intensi di quanto visto oggi, ma tanto di cappello allo sforzo fatto, ripagato dai numerosi applausi e incitamenti del pubblico.
AGNOSTIC FRONT
Si torna su binari puramente hardcore con gli assoluti padrini del movimento, e nonostante l’età si faccia sentire sicuramente, Vinnie Stigma, Roger Miret e soci regalano un’esibizione calda e molto coinvolgente; l’attempato e sempre minaccioso chitarrista passa più tempo a mostrare la chitarra con il suo nome stampigliato a lettere e a incitare il pubblico, mentre Miret si prende più di una pausa per rifiatare, offrendo anche il palco a Chaka Malik dei Burn durante “Gotta Go”, ma poco importa: i cinquanta minuti proposti dal quintetto newyorchese sono un pugno in faccia di assoluta efficacia e capace di riportare le lancette dell’orologio indietro di trent’anni senza patetismi durante pezzi come “Victim Of Pain” o “Police State”; per quest’ultima il microfono viene ceduto a un membro del pubblico, apparentemente un amico della band. Gran finale, come da tradizione, affidato alla cover di “Blitzkrieg Bop” e all’adunanza di buona parte delle band presenti nel corso della giornata. This is New York HardCore, baby!
SUICIDAL TENDENCIES
Che l’attesa per il ritorno sul palco dei Suicidal Tendencies fosse palpabile è indubbio, e del resto Mike Muir sottolinea più volte durante lo show il piacere di ritrovarsi in Terra d’Albione dopo circa dieci anni; nulla da dire sull’energia riversata dal combo californiano, che sciorina una scaletta autocelebrativa di forte impatto, ma il limite che abbiamo riscontrato nel complesso sta proprio nelle chiacchiere del carismatico frontman: inizialmente divertenti e in grado di scaldare gli animi, acuiscono nel corso degli ottanta minuti on stage la sensazione di trovarsi davanti a uno splendido circo, come detto nell’introduzione. Niente di male in assoluto, e sicuramente la scena hardcore ci ha abituato a questo: ma la decina appena abbondante di pezzi proposti, intervallati ogni volta da tre/quattro minuti di free speech su,bisce continui cali di ritmo, testimoniati dall’espressione talvolta sorniona (leggasi: annoiata) di Dave Lombardo, appoggiato ai gomiti per almeno venti minuti buoni. Certo, risentire brani come “You Can’t Bring Me Down”, “War Inside My Head” o “Pledge Your Alliance”, quest’ultima accompagnata dall’ininterrotto coro “ST-ST” del pubblico e dalla (seconda) invasione di palco, scalda i cuori di tutti i presenti; eppure la sensazione che l’ultimo, piacevole album meritasse magari di essere proposto con qualcosa in più della sola “Living For Life” e che la band di Venice potesse contribuire in maniera più corale a far crescere l’adrenalina del pubblico resta. Promossi, certo: ma dopo almeno tre lustri di attesa, ci sarebbe piaciuto uscire euforici dalla loro esibizione.