Report a cura di Chiara Franchi
Il Revolver Club di San Donà di Piave porta, di tanto in tanto, una sana ventata di metal estremo anche nelle lande desolate del nebbioso Nord-Est. Dopo aver bissato i Gorgoroth nel novembre scorso, la venue dà oggi spazio ad un evento dedicato al death metal d’annata con i redivivi Pestilence, impegnati in una tournée che celebra gli albori della loro carriera. La storica band olandese, fautrice di resurrezioni doppie che neanche Nostro Signore e reduce da incalcolabili cambi di lineup, ha infatti deciso di riportare sui palchi il poker d’album che la rese celebre tra il 1988 e il 1993, con buona pace dell’imminente “Hadeon”. Una scelta che dice parecchio sulle aspettative di band e fan rispetto al ritorno discografico di Mameli e soci, per altro disponibile on line da settimane nonostante l’uscita ufficiale sia fissata per i primi di marzo. I Pestilence non sono, tuttavia, l’unica band in cartellone ad aver attraversato lo Stige al contrario: anche Gravestone e Rebaelliun sono infatti reduci da pause più o meno lunghe. Relativamente freschi di formazione, invece, gli altri due gruppi che prevedono di allietare le orecchie del Veneto Orientale, ovvero Psychotomy e Distillator. Ripariamoci dunque dal gelo della serata addentrandoci nel tepore del Revolver Club!
PSYCHOTOMY
Invitare i deathster veneziani Psychotomy ad aprire la serata è stata sicuramente una mossa intelligente, perché alle 19:30 la sala del Revolver è già abbastanza popolata. L’esibizione è graziata da un sound discreto, opportunamente supportato dalla buona sezione ritmica della band. Meno ‘supportata’, soprattutto in termini di groove, è la parte delle chitarre, imbracciate dalla metà femminile della band – Irene Brazzalotto e Lorenza De Rossi, che tiene banco anche dietro il microfono col suo growl cavernoso. La proposta della combo nostrana non è sicuramente rivoluzionaria e, alla lunga, finisce per arenarsi in un generico calderone di ‘già sentito’, su cui spiccano tuttavia alcuni gradevoli intermezzi che riportano alla memoria le glorie degli anni Novanta. Un’esibizione non sgradevole ma priva di particolari highlight.
GRAVESTONE
Come dicevamo in apertura, i Pestilence non sono gli unici revenant della serata: i capitolini Gravestone, infatti, sono da poco tornati sulle scene, dopo oltre vent’anni di silenzio, con un EP che ha mietuto non pochi consensi tra i fan dell’horror metal all’italiana. Oggettivamente troppi su un palco troppo piccolo, i sei romani ci immergono in un mix di progressive, death e inserti sinfonici che fatichiamo a non definire kitsch, o quantomeno sovrabbondante. L’esecuzione è oggettivamente buona (David Folchitto alla batteria, tanto per dire), ma da parte nostra, forse per una mera questione di gusto, ci sentiamo sopraffatti da un ginepraio di note, idee, atmosfere, soli, tastiere e growl un po’ disorientante. L’impressione è che in questa serata i Gravestone siano una band che per genere, sound e location risulti fuori dal suo contesto ideale, tanto più che queste proposte musicali, se non accompagnate da un’ottima resa sonora e, possibilmente, da un minimo di contorno scenico, tendono a perdere un pizzico del loro fascino.
DISTILLATOR
Spandex, scarpe da baseball, gilet con toppa degli Slayer e chitarra Ltd d’ordinanza. Sì, è come pensate: i Distillator fanno thrash metal alla vecchia maniera, riportandoci di prepotenza nella metà migliore degli Eighties. Un vero e proprio power trio, caricato a pallettoni per far scatenare il Revolver Club a colpi di riff tanto vintage quanto taglienti. La proposta della combo di Enschede pesca a piene mani dalla più blasonata tradizione del genere, sia del Vecchio che del Nuovo Continente, risultando tuttavia convincente e mai banale. Insomma, anche se non siamo particolarmente fan di chi ripete ai giorni nostri quanto è stato detto trent’anni fa con inarrivabile efficacia, dobbiamo riconoscere ai ragazzi olandesi di saperci fare, sia a livello compositivo che in termini di presenza live. E proprio l’innegabile carisma della band è l’ingrediente segreto che, a nostro avviso, ha reso l’esibizione dei Distillator la più divertente della serata.
REBAELLIUN
Oltre a Pestilence e Gravestone, i terzi risorti della serata sono i Rebaelliun, cult band della scena death brasiliana. La formazione sudamericana è uscita infatti nel 2016 da una pausa durata ben tredici anni, tornando sugli scudi con un disco acclamato dalla critica e, a quanto vedremo stasera, in grandissima forma live. Come le ultime foto ufficiali avevano fatto intuire, la band si è ridotta ad un trio e si presenta mutilata di una chitarra. Purtroppo chi vi scrive non ha un termine di paragone per giudicare quanto questo abbia inciso sulla resa live dei Rebaelliun, ma può altresì garantirvi che la performance è stata comunque di alto livello. Fabiano Penna e Lohy Fabiano portano a termine con maestria l’arduo compito di fare con due mani ciò che ne richiederebbe sei, senza far perdere smalto all’inesorabile malignità della loro musica. Alle loro spalle, Sandro Moreira non perde un colpo, rafforzando le evocative muraglie sonore della band brasiliana con i suoi drum fill. Uno show perfettamente riuscito, a cui gli eventuali vuoti, creati dalla mancanza di un elemento, hanno dato un valore aggiunto di autenticità.
PESTILENCE
“Minchia, sembra uscito da Gomorra!”. Così, accanto a noi, viene salutato l’ingresso trionfale di Patrick Mameli e della sua capigliatura ossigenata sul palco del Revolver Club. Tamarro come pochi, armato di una delle chitarre più brutte che abbiamo mai visto, mister Pestilence appare comunque in buona forma, sia fisica che musicale. Stoffa immutata proprio come lo spirito dei suoi primi album, che invade la sala fin dalle prime note di “Malleus Maleficarum / Antropomorphia”: death metal puro e crudo, con tanta sostanza e pochi complimenti. Brano dopo brano, l’ultima incarnazione della combo olandese fa rivivere tutte le sfumature, i colori e le atmosfere di tanta storica discografia, regalando uno spettacolo che tecnicamente non presenta alcuna sbavatura – salvo forse la voce di Mameli, che a tratti ci ha dato l’impressione di accusare leggermente lo sforzo. L’unica cosa che ci lascia perplessi è come, a venti minuti abbondanti dall’inizio del live e dopo una gragnola di brani tratti dalle release seminali della band, ancora non si sia visto nemmeno un accenno di pogo, per quanto il pubblico sia numeroso ed entusiasta. Finalmente ci sembra di vedere qualcosa smuoversi quando al microfono viene annunciata “Twisted Truth”, settimo pezzo di una scaletta finora spietata, seguita da un’implacabile “Land Of Tears”. Complice forse la crescente complessità dei brani, il sound risulta via via più pastoso, rendendo alcuni virtuosismi poco intellegibili. Sul piano della presenza scenica tutto, proprio come i pezzi proposti, appare minuziosamente studiato, con Mameli che accenna in italiano qualcosa di più che i soliti riferimenti zoomorfici al Superno e introduce i brani con siparietti ad hoc. La superlativa “Presence Of The Dead” ci porta verso la chiusura, affidata a dei veri pezzi da novanta come “Reflections” e “Out Of The Body”, sulle cui note vediamo finalmente il Revolver acclamare degnamente questo glorioso momento revival. Se questi sono i risultati, non c’è che dire: Pestilence, buona (anche) la terza.