Da tempo nostalgia e conservatorismo imperano nella scena death metal, tanto che la celebrazione di un passato glorioso ma remoto può arrivare ad avere la precedenza sulla promozione di un nuovo album in procinto di essere pubblicato. Ne sanno qualcosa i Pestilence, riesumati per l’ennesima volta dal loro leader Patrick Mameli nel corso del 2016, entrati in studio per registrare il comeback album “Hadeon” nel 2017 e ora, a disco in dirittura d’arrivo, impegnati in un tour europeo che lo ignora totalmente. La band di origine olandese sceglie di rilanciarsi davanti al pubblico con una scaletta old school, incentrata esclusivamente sui primi quattro apprezzati full-length, accantonando quindi tutte le successive prove in studio, in vero mai davvero fortunate. Una mossa forse un po’ ruffiana, ma anche una vera gioia per i fan – compreso chi scrive – che tendono ad identificare i Pestilence solo con lavori come “Consuming Impulse” o “Testimony of the Ancients”. Il fattore nostalgia paga quasi sempre e in effetti il pubblico lombardo, in questo freddo sabato di febbraio, risponde alla grande: davvero notevole sin dalle prime ore della serata l’affluenza in quel di Rozzano, ancora di più se si pensa che il tour prevede ben quattro date italiane, quasi uno sproposito per un nome tutto sommato di culto come quello dei Pestilence. Quando arriviamo davanti all’Elyon, la fila fuori dal locale è corposa e procede lentamente, anche e soprattutto a causa della procedura per compilare le famigerate tessere Acsi. Pur essendo giunti sul luogo in orario per l’apertura delle porte, ci ritroviamo insomma ad attendere a lungo sul marciapiede, finendo per perderci la maggior parte dell’esibizione degli Hellish God, death metal band in cui spicca Tya, ex frontman degli Antropofagus. Una volta entrati, ci sembra che il gruppo abbia in pugno la situazione, ma un brano e mezzo non sono esattamente sufficienti per esprimere un giudizio sulla loro prova…
SUDDEN DEATH
Riusciamo invece ad assistere all’intero concerto dei Sudden Death, formazione che negli ultimi anni avevamo completamente perso di vista. Ci ricordavamo del gruppo capitolino come una realtà death metal dal retrogusto thrash, vagamente sulla falsariga dei Malevolent Creation, tuttavia oggi il sound sembra vertere su un riffing di chitarra più pesante e cadenze maggiormente ossessive, che possono ricordare i Dying Fetus. Il quintetto è in attività da parecchio tempo e i vari cambi di line-up susseguitesi negli anni non paiono avere influito molto sul suo affiatamento. Il nuovo frontman Luis Maggio, ad esempio, sembra trovarsi perfettamente a suo agio nel proprio ruolo, anche davanti ad un pubblico che a questo punto pare studiare la performance, più che godersela. In effetti, la proposta dei Sudden Death non risulta particolarmente coinvolgente, nonostante i musicisti si stiano chiaramente impegnando. I brani sono spesso giocati su cambi di tempo molto marcati, ma il lavoro di chitarra, macchinoso o semplicemente derivativo, non sempre lascia il segno.
DISTILLATOR
Torniamo al 1988 con l’arrivo dei Distillator, giovane realtà prettamente old school thrash metal che si muove all’ombra di primi Destruction e Slayer. Di nuovo, niente di particolarmente personale, anzi, ma la verve del trio olandese è innegabile e a questo punto il pubblico inizia ad avvicinarsi al palco e a rispondere agli incintamenti dei musicisti. Con due full-length all’attivo e un’esperienza live già invidiabile, i Distillator sono una realtà affermata per i cultori del circuito thrash underground e la loro sfrontatezza nel calcare il palco e nell’interpretare i pezzi è sotto gli occhi di tutti. Si tratta di una band che vive nel passato, ma che al tempo stesso sa dove mettere le mani per costruire brani ficcanti e di facile presa. In effetti i Nostri potrebbero persino avere qualcosa da insegnare agli ultimi Destruction in questo senso. Difficile gridare al miracolo al termine del loro show, tuttavia è innegabile che in molti si siano divertiti.
REBAELLIUN
Si cambia nuovamente genere con i Rebaelliun, band che non ha certo bisogno di presentazioni fra i veri cultori della scena death metal. I brasiliani, ormai pienamente attivi dopo numerosi anni di pausa, sono compagni di etichetta dei Pestilence, ma la posizione di pre-headliner è giustificata anche da una discografia più che solida e celebrata. Purtroppo, al momento del loro arrivo sul palco, notiamo che i Nostri siano solo un terzetto in questo tour: con la sola chitarra del leader Fabiano Penna chiamata a tessere il grosso delle trame, qualcosa inevitabilmente finisce per perdersi rispetto alla resa su disco; lo notiamo subito all’altezza del primo assolo di Penna, dove l’impatto si smorza del tutto e la sezione ritmica viene lasciata nuda. Quando invece la band si muove compatta, il risultato è sicuramente più apprezzabile: grandi riff, tempi schiacciasassi e una barbarità tipicamente sudamericana. Pezzi come “Spawning the Rebellion” o “The Path of the Wolf”, d’altronde, rendono bene in ogni situazione. Resta un po’ di amaro in bocca per qualche passaggio a vuoto, conseguenza di un assetto non idoneo per l’esecuzione di certi brani, tuttavia i Rebaelliun riescono comunque ad ottenere un buon successo.
PESTILENCE
E’ passata mezzanotte e finalmente tocca agli headliner. Senza troppe cerimonie, Mameli e compagni si presentano sul palco e attaccano con una delle loro primissime hit, “Malleus Maleficarum / Antropomorphia”, opener del loro debut album. Sicuramente il gruppo ha avuto modo di curare meglio il sound check e i suoni risultano quindi più chiari ed equilibrati rispetto a quelli di cui hanno potuto godere i vari supporter. La risposta del pubblico è molto calorosa sin dalle prime battute, certamente più per il valore e la rilevanza storica del repertorio che per l’effettivo trasporto con cui quest’ultimo viene interpretato. A ben vedere, Mameli non è esattamente un animale da palco e la sua nuova line-up, composta da turnisti provenienti da vari paesi, suona in maniera impeccabile ma oggettivamente fredda. Scarsissimo il movimento sul palco, intermittente l’interazione con le prime file, incerto anche l’entusiasmo davanti ai cori intonati dalla platea. Il palestrato frontman ringrazia e invita a divertirsi, ma appare distaccato e poco incline a lasciarsi andare. In ogni caso, quando partono brani come “Parricide”, “Dehydrated” o “Twisted Truth”, c’è poco da criticare: siamo davanti alla storia del death metal e la resa complessiva è magnifica, sia in sede ritmica che solista. La setlist si sviluppa in ordine cronologico, passando dai pezzi di “Malleus…” a quelli di “Consuming Impulse”, per poi arrivare al materiale più elaborato targato “Testimony of the Ancients” e “Spheres”. Con il passare dei minuti l’esibizione perde quindi gradualmente di impatto per acquistare in ricercatezza, finendo per soddisfare praticamente tutti i palati. Fra gli episodi meglio riusciti, segnaliamo “Mind Reflections”, davvero una perla di techno-death anni Novanta. Scorrendo la scaletta, si nota come manchi uno dei maggiori classici della band, quella “Out Of The Body” da sempre vista come il connubio perfetto fra violenza e perfezione formale. Dopo i soliti finti saluti, il quartetto torna infatti sul palco e, rompendo l’ordine sin qui seguito, ci riporta al 1989 per una riproposizione della suddetta hit che toglie il fiato. Si chiude insomma in crescendo, con pogo, corna alzate e di nuovo un coro “Pestilence – Pestilence” che strappa più di un sorriso a tutti i musicisti. Poteva esserci più coinvolgimento da parte della band, ma l’esecuzione del repertorio storico ha lasciato chiunque soddisfatto. Operazione nostalgia pienamente riuscita.