I Pig Destroyer calano nel Regno Unito per presenziare al sempre più noto Damnation Festival di Leeds, ma, prima di arrivare nello Yorkshire, si concedono un paio di date di riscaldamento, fra cui una nella capitale britannica. Il venerdì è la serata per eccellenza per la cosiddetta nightlife di Londra, di conseguenza non c’è troppo da stupirsi nel vedere il capiente Garage pieno per larga parte. Inoltre, non va nemmeno sottovalutato l’appeal del gruppo statunitense, che, oltre a suonare live assai di rado, ha appena pubblicato “Book Burner”, prima release dopo oltre quattro anni di relativa pausa. A godere del rinnovato entusiasmo creatosi attorno a Scott Hull e soci ci sono, una volta tanto, anche le support band della serata: entrambe non fanno esattamente gridare al miracolo sotto il profilo della proposta musicale, ma sia i Dripback – quintetto guidato da ex membri di Labrat e Ted Maul artefice di una potente miscela di death’n’roll e varianti hardcore – che Blacklisters (gruppo dal taglio maggiormente noise, spesso omaggiante i Melvins) si ritrovano ad esibirsi davanti a una folla piuttosto calorosa e partecipe, che segue da vicino le loro performance anzichè bighellonare dalle parti del bar o del merchandise…
PIG DESTROYER
La vera esaltazione, tuttavia, esplode, come previsto, per gli headliner, che non si fanno attendere a lungo prima di calcare il palco. Il soundcheck è rapido e indolore, ideale per non spazientire una folla che, a quanto pare, ha atteso trepidamente questo momento per diversi anni. Il quartetto non si fa annunciare nè si atteggia da messia; al contrario, tutti sembrano molto contenti di potersi esibire davanti a un pubblico tanto nutrito ed entusiasta. Hull e compagni si pongono di fronte ai fan con spiccata umiltà e nel giro di pochi minuti iniziano a macinare grindcore e thrash metal come nella loro migliore tradizione. Giusto lo screamer J.R. Hayes appare un po’ timido, ma forse è solo il confronto con Blake Harrison a generare questa impressione; l’addetto ai sample della band è infatti sostanzialmente un frontman aggiunto: di rado rimane fermo nella sua posizione, non tocca spesso i suoi apparecchi e, anzi, passa la maggior parte del tempo a saltare sul palco e ad aizzare gli astanti, i quali, dal canto loro, rispondono con un pogo vecchia scuola e lanci di birre da un estremo all’altro delle prime file. Impeccabile, invece, la prova di Adam Jarvis alla batteria: il Nostro anche in questa sede riesce a mettere in mostra tutta la sua velocità e precisione, come più volte già dimostrato nelle sue calate con i Misery Index. Purtroppo il vero neo della serata è rappresentato dal volume della chitarra di Scott Hull, la quale non riesce mai a ritagliarsi un ruolo da vera protagonista, rimanendo tutto sommato sul livello degli altri strumenti. Chi ha dimestichezza con il sound dei Pig Destroyer, sì frenetico ma basato spesso volentieri su dei gran riff e sul groove, è consapevole che questa sia una pecca non da poco, capace di tarpare le ali o comunque di limitare il tiro di parte del repertorio del quartetto. Tocca accontentarsi e godersi in ogni modo la prestazione energica dei Nostri, che senz’altro non si risparmiano sulle assi del palco del Garage, offrendo un set serratissimo che lascia i fan più esagitati allo stremo delle forze. Di questo buon concerto, ci ricorderemo soprattutto la dinamica setlist, che ha incluso tracce estratte da vari capitoli della discografia; tra gli episodi più apprezzati: “Cheerleader Corpses”, “Hyperviolet”, “Pretty In Casts” e “Sis”. Speriamo di rivederci a breve, Pig Destroyer!