Report a cura di Matteo Cereda, foto di Francesco Castaldo
L’interesse che i Porcupine Tree suscitano presso il popolo “metal” è cresciuto costantemente negli ultimi anni, la collaborazione di Steven Wilson in alcune produzioni degli Opeth prima ed un evoluzione sonora più heavy che ha attirato l’attenzione di una label come la Roadrunner poi, sono le più probabili cause di tale esplosione. Basta confrontare la partecipazione di pubblico con la data che la band anglosassone fece sempre all’Alcatraz per il tour del precedente “Fear Of A Blank Planet” per rendersi conto della costante crescita di affezionati: allora il locale era predisposto in versione ridotta e di spalla c’era un gruppo blasonato come gli Anathema, ciò nonostante Wilson e soci in questa occasione si permettono di sfruttare l’arena in tutta la sua grandezza potendo contare su un’affluenza di spettatori degna di nota. Con queste premesse risulta ancor più interessante andare a testare il polso del quintetto londinese alle prese con la promozione del nuovo, bellissimo “The Incident”.
DEMIANS
Il concerto inizia subito con il piede giusto, perché ad aprire le danze ci sono i Demians. La band transalpina si è fatta notare lo scorso anno con la pubblicazione dell’ottimo debutto “Building An Empire”, concentrato di progressive metal/rock dal gusto moderno che non lesina influenze alternative. Nonostante le parti di tastiera siano interamente campionate il trio francese mostra una buona compattezza e riesce a riprodurre in maniera positiva le atmosfere cariche di phatos presenti sul disco di debutto. Il singer-chitarrista Nicolas Chapel si dimostra sin dalle prime battute l’anima della band interpretando al meglio le canzoni. Solo una mezz’ora abbondante a disposizione risulta sufficiente ai Demians per confermare il ruolo di promettentissima realtà della scena progressive, grazie soprattutto all’esecuzione di tre pezzi fantastici quali “Naive”, “Sapphire” e “The Perfect Simmetry”.
PORCUPINE TREE
L’attesa è tutta per i Porcupine Tree e la band inglese non si fa attendere irrompendo sul palco dell’Alcatraz intorno alle 21. La partenza è soft con le note dell’intro “Occam’s Razor” e della successiva “The Blind House” tratte dall’ultimo album in studio. Il tempo di ammirare l’ottimo impianto luci e il mega-schermo sullo sfondo che vomita immagini a ripetizione e rimaniamo subito colpiti dalla resa cristallina e potente dei suoni in grado di supportare al meglio per tutta la serata l’esibizione dei nostri. Wilson si concede un timido saluto alla platea e subito annuncia l’intera esecuzione della maxi-canzone “The Incident”, composta da ben quattordici tracce, mandando in visibilio il pubblico. La nuova release mostra dunque tutto il suo valore anche dal vivo, grazie comunque ad una band in grado di riprodurre con fedeltà spaventosa non solo la musica ma anche le atmosfere del disco. Wilson si dimostra impeccabile alla voce ed alla chitarra, concedendo soprattutto nella prima parte pochissime parole al pubblico per evitare di interrompere il climax creato dalle canzoni. Il resto della truppa tuttavia non è da meno con una sezione ritmica impressionante a livello tecnico formata dal drummer Gavin Harrison e dal bassista Colin Edwin, il sempre prezioso Richard Barbieri in consolle e il sorprendente turnista John Wesley alla chitarra in grado, con un ottimo cantato, di dare una marcia in più alle parti vocali. Fra le tracce di “The Incident”, apprezziamo particolarmente l’energica “Drawing”, la sintetica titletrack e la conclusiva “Drive The Hearse”, senza dimenticare “Time Flies” che a giudicare dall’eccellente responso del pubblico si è già guadagnata un posto da futuro classico della band. Al termine della già citata “Drive The Hearse” i Porcupine al completo si prendono una pausa di dieci minuti ed infatti, annunciati da un countdown sullo schermo, il gruppo si ripresenta sul palco con straordinaria puntualità per dar vita ad una seconda parte di spettacolo più libera ma egualmente emozionante. Si parte con “The Start Of Something Beautiful”, si prosegue con “Way Out Of Here”, passando in rassegna dei classici immortali come “Russia On Ice” e “Stars Die”, ma anche composizioni più recenti quali la criptica “Bonnie The Cat” e la pesantissima “Anesthetize”, suonata per l’occasione in una versione ridotta. Prima dell’ultima pausa c’è anche tempo per una splendida versione di “Normal”, tratta dall’EP “Nil Recurring”. Finale annunciato con due pezzi da “In Absentia”: “The Sound Of Muzak” e l’immancabile “Trains”, in cui il coinvolgimento del pubblico raggiunge l’apice. Favoriti da una resa sonora stupefacente, i Porcupine Tree hanno confermato doti eccelse come interpreti e compositori, potendo contare su una vastissima scelta di canzoni che rappresentano, incorporando una moltitudine di stili e atmosfere, le mille facce di una band senza mezzi termini superlativa. Senza dubbio uno dei concerti dell’anno.