18/09/2006 - Porcupine Tree + Paatos @ Rolling Stone - Milano

Pubblicato il 21/09/2006 da
A cura di Carlo Paleari
 
L’Italia ha sempre avuto un rapporto particolare con i Porcupine Tree, supportando la loro musica fina dalle origini più psichedeliche e floydiane, fino alle più recenti incursioni della band in territori più duri e vicini al prog metal: non è un caso, d’altra parte, che il loro primo live ufficiale sia stato registrato proprio nella nostra capitale. Benché negli ultimi mesi la band di Steven Wilson sia passata più di una volta dalle nostre parti (il sottoscritto ha potuto gustarsi ben tre loro tour dall’uscita del loro ultimo album “Deadwing”), il pubblico partecipa numeroso a questa nuova data milanese e, lentamente, riempie tutto il Rolling Stone.

PAATOS

Quando il sottoscritto riesce a entrare nel locale, i Paatos hanno appena iniziato la loro esibizione. Il pubblico resta in ascolto della musica e bisogna dire che gli svedesi riescono a conquistarsi ben presto numerosi sostenitori. La loro proposta, fatta di un progressive rock etereo ed arioso, ben supportato dalla voce leggera di Petronella Nettermalm. Certo, i Landberk erano su un altro livello, ma comunque i Paatos si difendono bene regalando ai presenti una prova variegata, dalle atmosfere liquide date dalle tastiere, fino alle saltuarie scariche di energia rock fornite dalle chitarre elettriche. Naturalmente non si tratta di musica immediata e di facile ascolto, ma il pubblico dei Porcupine Tree sa essere attento alle sonorità più difficili e alla fine dello show regala alla band un caloroso applauso. Promossi.

PORCUPINE TREE

Sono circa le 21 quando sul palco entrano i Porcupine Tree tra gli applausi del pubblico. Subito dalle prime note si capisce che questa serata sarà decisamente particolare e non il ‘solito’ concerto dei Porcupine Tree: la canzone di apertura, infatti, è un inedito e sarà lo stesso Wilson a spiegare come tutta la prima parte del concerto sarà dedicata proprio al materiale proveniente dal prossimo album della band. Il cantante spiega come la band abbia deciso di proporre le nuove canzoni al pubblico prima ancora di entrare in studio a registrarle, in modo da ricevere una sorta di ‘feedback’ dal pubblico e quindi poter lavorare al meglio sui nuovi pezzi. Data la particolarità della cosa, questo report si concentrerà principalmente su questo aspetto della serata, trasformandosi in una sorta di ‘listening session’ del nuovo album. Purtroppo non ci è dato di sapere i titoli delle canzoni, dato che la band ha mantenuto il totale riserbo riguardo a tutte le informazioni relative ai nuovi brani, tuttavia possiamo cercare di inquadrare un po’ quella che sarà la nuova direzione musicale dei Porcupine Tree. Il primo brano presentato è quello che, potenzialmente, potrebbe rivelarsi un buon singolo: nonostante la durata abbastanza elevata (quasi 8 minuti) il pezzo sembra leggermente più arioso e meno cupo rispetto a quanto proposto dalla band negli ultimi due album. Detto questo, comunque, chi auspica un ritorno alle sonorità di “The Sky Moves Sideways” rimarrà deluso, dato che il materiale resta ancora saldamente legato a quanto fatto recentemente dalla band. Il secondo pezzo, invece, vede Wilson abbandonare la chitarra per affiancare Richard Barbieri alle tastiere: il brano è triste e malinconico, giocato principalmente sul piano e sulle tastiere, riportando in vita la vena più intimista della band. Con il terzo brano, invece, i Porcupine Tree realizzano una lunga composizione estremamente sfaccettata: la struttura è quella di “Arriving Somewhere (But Not Here)”, ovvero una suite che si aggira intorno ai 15 minuti, parecchio complessa e con una grande predominanza delle parti di chitarra che, mai come questa volta, si avvicinano davvero a sonorità metal. Assolutamente da applausi la performance dietro le pelli di Gavin Harrison, che regge davvero tutto il pezzo con le sue ritmiche ricche di dinamica. Quasi senza dubbio, questo pezzo sarà l’highlight del nuovo album. Si continua con un nuovo brano lento e malinconico, che richiama le atmosfere languide di “A Smart Kid”; seguita poi da un altro pezzo con Steve Wilson alle tastiere: partendo da una base di pianoforte, il brano si sviluppa in un energico crescendo elettrico. Con gli ultimi due brani, invece, tornano le atmosfere più pesanti e metalliche: il primo è un pezzo decisamente tirato, con un pregevole intermezzo per basso e sintetizzatore che ricorda alcune parti psichedeliche di scuola floydiana; mentre il secondo inizia su un loop elettronico su cui si appoggia il cantato di Wilson, per poi salire in una ennesima scarica di controllata furia elettrica. Terminata questa prima fase del concerto, la band si prende una brevissima pausa, per poi ritornare sul palco con una selezione di brani dagli ultimi due album: abbiamo così la possibilità di gustarci “Open Car”, “The Sound Of Muzak”, “Buying New Soul”, “Arriving Somewhere (But Not Here)”, “.3”, “Start Of Something Beautiful” e la sempre ottima “Trains”. Come bis, invece, vengono suonate “Halo” e “Blackest Eyes”. Inutile dire come l’esecuzione sia stata perfetta sotto ogni aspetto e il pubblico abbia apprezzato alla grande, però bisogna dire che chi vi scrive, più legato alla fase precedente a “In Absentia”, avrebbe avuto piacere di riascoltare qualche brano dal vecchio repertorio: una “Fadeaway”, una “Radioactive Toy” o anche qualcosa tratto da “Stupid Dream”. Detto questo, comunque, il bilancio non può che essere positivo, soprattutto alla luce del nuovo materiale che sembra essere davvero promettente. Aspettiamo e vediamo cosa sapranno tirare fuori questi grandi musicisti dal loro cappello magico.

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