Report a cura di Marco Gallarati
C’era una volta, fino a due giorni prima dell’evento in questione, il Malessere Fest prima edizione, manifestazione nata dall’amicizia e dallo spirito collaborativo fra le quattro compagini italiane underground coinvolte, promossa da House Of Ashes Prod. ed Eagle Booking ed in programma all’attrezzato-ma-sperdutissimo Dagda Live Club di Retorbido, nel profondo Oltrepò Pavese. Poi, al momento dell’abbattersi dello tsunami chiamato Annullamento del Colony Summer Fest 2018, ecco accadere l’imprevedibile: gli irlandesi Primordial, band ormai di culto anche dalle nostre parti, non solo all’estero, vengono annunciati quali nuovi headliner di questo festival, vogliosi di mostrare la loro attitudine senz’alcun compromesso al grido di ‘no cancellation, no remorse!’. Stessa cosa fanno quasi in contemporanea i norvegesi Carpathian Forest, che saranno presenti il giorno dopo allo Slaughter Club di Paderno Dugnano (MI), in recupero di quello che doveva essere uno show all’aperto e con qualche migliaio (!!) di spettatori presente. Ma non è questo che conta, evidentemente e meno male, per queste due formazioni, che con tali mosse repentine e ‘di pancia’ hanno certo guadagnato la stima e l’imperituro affetto di anche tanti metallari che, sicuramente, non li conoscono o non li conoscevano. Tornando a concentrarci sul concerto al Dagda, vale la pena ricordare che non è stato neanche aumentato il prezzo d’ingresso, ovvero un ultra-onesto 5 Euro + eventuale sottoscrizione della tessera ACSI. Quattro le band, come previsto in un primo momento, a calcare il palco del locale e che nell’arco di 48 ore si sono trovate di fronte l’arduo onere e l’alto onore di aprire per un colosso di professionalità e fervore estremo quali i musicisti di Dublino. Nonostante il gig cada di sabato sera, per ragioni logistiche non riusciamo, purtroppo, ad arrivare in tempo per la performance dei milanesi Vide, che comunque avremo modo di valutare con calma fra qualche tempo, quando gli stessi apriranno il warmup party al nostro Metalitalia.com Festival, con anche gli Scheletro, per le due leggende nostrane Raw Power e Cripple Bastards. Degli I Am Lethe, sempre provenienti dal capoluogo lombardo, ci siamo gustati gli ultimi due pezzi, invece, in grado di evidenziare un gruppo preparato musicalmente e che cerca di reinterpretare in maniera moderna il suono doom-gothic metal degli anni ’90: a tratti ricordanti i Lacuna Coil, a tratti i Madder Mortem di inizio carriera, sarebbe facile etichettare la loro musica, soprattutto giudicandola in breve tempo e con suoni non certo celestiali, come onesta ma ancora poco personale: vogliamo quindi almeno mettere in risalto la bella voce e alcune linee apprezzabili della cantante Elis. I cambi palco si susseguono alla velocità della luce, ovviamente per non far finire il tutto a orari da afterhour, ed è dai successivi In-Sight che possiamo seguire con più attenzione la serata…
IN-SIGHT
Tutte lombarde le band apripista del Malessere Fest: gli In-Sight hanno una storia decisamente tormentata, che li vede nascere addirittura nel 1996, sfornare tre full-length nell’arco di ventidue anni, dei quali l’ultimo è “From The Depths” del 2012, edito da logic(il)logic Records, passare attraverso una corposa serie di cambi di formazione ed infine giungere ad oggi in versione quintetto con sola voce maschile, quella di Maurizio Caverzan, peraltro in possesso di un ottimo e versatile growl. Come accaduto fin qui, i suoni proposti dagli ampli del Dagda non fanno giustizia alla bravura e all’impegno profuso dei musicisti all’opera e nel caso degli In-Sight, autori di un melodic death metal furibondo e tellurico, la cosa purtroppo inficia maggiormente l’esito finale della performance. Poco delineati i fraseggi di chitarra, fondamentali in un genere come quello in questione, e batteria con la cassa persa nel marasma, per una mezzora di ‘caos sonoro’ utile a divertire e sudare copiosamente forse sì, ma poco utile a farci avere una seria idea del valore di questi ragazzi. Non a caso ci ha colpito in modo favorevolmente positivo la lenta e più pacata “Black Horizon”, che con la sua vena malinconica ha spezzato l’assalto all’arma bianca portato avanti nelle altre tracce. Da rivedere in un contesto diverso e magari con più tempo per settare meglio il tutto.
BLACK RAGE
I monzesi Black Rage, spodestati dal trono di headliner del Malessere Fest, si inchinano umilmente all’importanza dei Primordial effettuando, anche loro, un cambio palco rapidissimo e salendo on stage sulle classiche note del ‘si-può-fare!’ tratto dal film “Frankenstein Junior”. La band sta registrando il successore del debutto “Silent Scream”, ormai datato 2013, un album più che riuscito e piacevole che rende omaggio ai maestri del melodic death metal svedese in modo coinvolgente ed adrenalinico, pur senza inventare assolutamente niente. Oltre a ciò, è la prima volta che vediamo i Nostri nella nuova formazione comprendente Giuseppe Lisi alla seconda chitarra e Federico Leone alla batteria. I suoni sono finalmente più puliti ed educati, con un lieve abbassamento di volumi – forse – che ha aiutato non poco nella resa generale, anche se le seconde voci, usate in qualche frangente, sono risultate non pervenute. Anche a livello di presenza scenica, il quintetto mostra maggiori scioltezza ed affiatamento rispetto a chi li ha preceduti, grazie soprattutto ad un scambio di posizioni costante tra i musicisti. La setlist è purtroppo ridotta e, tra i brani del succitato debutto – hanno spiccato per appeal e tiro “Sinner” e “Six Feet Under” -, hanno trovato posto un paio di estratti dal disco in fase di registrazione: presto per dare un giudizio, ma il materiale ci è parso all’altezza degli ormai assimilati episodi di “Silent Scream”. Dopo aver anche loro speso ettolitri di sudore sul palco del Dagda, i Black Rage si congedano ricevendo dalla buona folla accumulata ai loro piedi un meritato applauso. E mancano dunque gli eroi del weekend, i Primordial…
PRIMORDIAL
Dunque, i Primordial. Già considerata ovunque una band vera, verace, dall’attitudine esemplare, nata underground e piano piano, a furia di dischi-capolavoro pregni di pathos ed epica, assurta a formazione di culto nelle scene black e pagan metal, con una tale mossa vincente, sincera, azzeccata e conveniente per tutti – dai fan agli organizzatori, dagli stessi Primordial ai gruppi di supporto…ecco, un po’ meno per gli organizzatori del Colony Summer Fest! – l’affetto, l’apprezzamento e l’amore dei loro supporter saranno cresciuti a dismisura e, cosa più importante ancora, verranno ricordati nel tempo a venire. Non ci pare di passare per eretici affermando che almeno metà dei presenti al Dagda sia arrivata fin qui, nella sperduta campagna pavese, per rimpiazzare degnamente un weekend andato a male troppo amaramente, oppure per sfruttare il vantaggiosissimo prezzo ed ammirare una formazione di caratura internazionale, oltretutto in fase di promozione del suo ultimo nato, quell’ “Exile Amongst The Ruins” che ad oggi rappresenta una delle migliori uscite estreme del 2018.
Al cambio di palco tra Black Rage e Primordial già si capisce che l’upgrade è forte, con tutto il rispetto per i nostri validi gruppi: lungo, lunghissimo il settaggio di suoni e spie, tanto da far spazientire lievemente gli astanti, arrivati tra sudore e zanzare fino alle 23.40 e vogliosi di sano e crudo pagan metal, per quanto in realtà altamente raffinata sia la proposta di A.A. Nemtheanga e soci. Qualcosa finalmente si sblocca ed ecco, giusto per irretire ancor più gli astanti, iniziare un intro a base di cori gregoriani della lunghezza-monstre di oltre cinque minuti… Al sorgere dei primi fischi, come per incanto appaiono in veloce successione i nostri Eroi avvolti dal ghiaccio secco, ed allora sì che parte un concerto completamente in discesa ed esaltante, un vero e proprio rito pagano di celebrazione e unione d’intenti, inaugurato da “Nail Their Tongues”, opener dai due volti del succitato album da poco edito: dalle casse esce un suono più che accettabile e potente, con tutte le frequenze sufficientemente udibili e coperte e i Nostri, con Nemtheanga a guidarli quanto mai battagliero, agghindato e pittato come suo standard, sono concentratissimi ed impegnati a fornire il loro miglior spettacolo. Spettacolo che non consta di chissà quale artificio, poi: presenza scenica solida e di basso profilo per gli strumentisti, un mattatore ferale ma anche bonario come Alan Averill a ‘pazzeggiare’ con la sua incredibile voce e a divertirsi con il parterre, e poi un repertorio con praticamente nessun calo o passo falso, per cui diverse band firmerebbero carte false.
La setlist viene, come prevedibile, incentrata su “Exile Amongst The Ruins”, dal quale vengono eseguite ben cinque canzoni sulle otto presenti: l’opener è addirittura risultata quella meno convincente, perchè poi gran risposta hanno ottenuto l’adrenalinica “To Hell Or The Hangman” – presentata con tanto di cappio al collo dal frontman – e l’altrettanto ottima “Upon Our Spiritual Deathbed”; mentre la titletrack ha fatto il paio con la crepuscolare e angosciosa “Stolen Years” nel rallentare per qualche minuto la velocità del gig. Battimani, corna al cielo e cori ‘Pri-mor-dial, Pri-mor-dial!’ si sono susseguiti durante tutti i pezzi, per un’approvazione di massa forse scontata, ma anche sicuramente piacevole da vivere per questi cinque irlandesi dal piglio fin troppo serio. Poche concessioni in setlist al passato del gruppo, si voglia per la lunghezza dei brani dei dublinesi – che comunque hanno suonato per un timing totale di un’ora e quaranta minuti! – si voglia per la volontà di dare spazio alla bellezza del nuovo lavoro. Sintomatica l’assenza di episodi prelevati dal penultimo “Where Greater Men Have Fallen”, lasciato in disparte per preferirgli alcuni classici ormai immancabili dai concerti Primordial, come ad esempio “No Grave Deep Enough”, “As Rome Burns” – splendido l’intermezzo di centro-brano in cui tutti hanno cantato la strofa ‘sing, sing to the slaves, sing to the slaves that Rome burns’ -, “The Coffin Ships” e “Bloodied Yet Unbowed”, assolutamente significativa del modus operandi di tali professionisti dell’intrattenimento metallico. E’ stato però all’altezza della vecchia “Gods To The Godless” che il responso è stato a tratti entusiastico, secondo solo a quello dell’immortale “Empire Falls”, proposta in chiusura e partecipata da davvero tutti, all’interno del locale. Con ben dodici bottiglie di Valpolicella – delle quali una generosamente fatta girare tra le prime file – recuperate con stupore ‘nel bel mezzo del nulla’ (citiamo Alan), i Primordial hanno salutato rapidamente e sono scesi dal palco, consapevoli di aver lasciato un segno indelebile nel cuore di chiunque é stato presente alla venue. Un segno di rispetto, passione, volontà ferrea e attitudine; oltre ogni interesse, oltre ogni polemica. All’Inferno, altrimenti dal boia.
Setlist:
intro
Nail Their Tongues
No Grave Deep Enough
Exile Amongst The Ruins
Gods To The Godless
To Hell Or The Hangman
As Rome Burns
Upon Our Spiritual Deathbed
Stolen Years
The Coffin Ships
Bloodied Yet Unbowed
Empire Falls