E’ un appuntamento da non mancare per nessun motivo al mondo quello che vede i Primordial esibirsi da headliner nel nostro paese per la prima volta in carriera. L’ascesa degli irlandesi nel panorama metal continentale si è concretizzata a piccoli passi, tramite la pubblicazione di album sempre di alto valore e con l’apertura nel tempo a suoni meno estremi di quelli degli esordi. La macchina da guerra dublinese abbraccia tutto il meglio di folk, pagan, epic e doom metal, generi rielaborati e compenetrati in modalità senza eguali in circolazione. Punto di forza del combo, su disco come dal vivo, la voce quintessenza della drammaticità bellica in musica, quella di Alan Nemtheanga, animale da palco e trascinatore indiscusso della propria compagine. L’idea di vedere finalmente gli autori di “To The Nameless Dead” senza i rigidi limiti di orario dei grandi festival è un’occasione ghiottissima, inutile nasconderlo. Visti i brividi che fanno provare anche con solo mezz’ora a disposizione, come accaduto all’ultimo Hellfest per problemi di trasporto aereo, non stentiamo a credere che stavolta, con un’ora e mezza a loro destinata, possa accadere qualcosa di indimenticabile. Ad accompagnarli, tre entità nostrane di estrazione molto differente e per la verità non molto in linea con gli headliner, fatto che non ci rende di certo schizzinosi, guardando normalmente di buon occhio ai bill molto eterogenei come può essere quello di questa sera.
LUNARSEA
Persi gli Shores Of Null, entriamo nella venue in tempo per i Lunarsea, formazione laziale di solidi trascorsi, l’anno passato autrice del terzo album “Hundred Light Years”. Siamo immediatamente travolti dai suoni bombastici del quintetto, delineati alla perfezione da chi sta dietro al banco del mixer, consueta nota lieta per i concerti alla Rock’n’Roll Arena. I romani per certi versi fanno fare un tuffo nel passato, dato che si riscontrano quelle stimmate death melodico che furoreggiavano in tutto il continente nella seconda metà anni ’90. Tali sonorità sono interpretate con uno spirito assolutamente non nostalgico, anzi, sono rinverdite con un approccio moderno e futuristico, che ha le sue pietre angolari nel solismo da shredder e nel rincorrersi di riff che fanno scontrare ed emulsionare il power più velocizzato e il death meno ruvido. Viene posta grande enfasi sul doppio confronto voce growl-pulita, con quest’ultima abbastanza da rivedere e un po’ incerta, mentre senza far strappare le orecchie dalla delizia quella sporca si difende decisamente meglio. I tempi sparati e il bagaglio tecnico non indifferente tengono desta la sparuta audience già all’interno del locale, anche se è difficile estrapolare un qualcosa di veramente esaltante dalla performance dei cinque. I Lunarsea in ogni caso non sfigurano, sono musicisti che insieme funzionano bene e sanno tenere in piedi un concerto senza tentennamenti: gli applausi che ricevono durante e alla fine dello show sono del tutto meritati.
CADAVERIA
Il programma vede ora on-stage i Cadaveria, formazione che da progetto di transfughi degli Opera IX si è trasformata in una creatura dalla vita duratura, con ormai circa 13 anni di carriera sulle spalle. Chi scrive non aveva mai avuto modo di sentire nulla del loro operato, e ammette di essere rimasto piacevolmente sorpreso dalla cangiante proposta dei Nostri. Come chi li ha preceduti, si ritrovano a esibirsi davanti a un numero di persone tutt’altro che soddisfacente, ma rispetto ai Lunarsea è tangibile che sono molti di più coloro che sono accorsi apposta per essere trafitti e avvelenati dagli autori di “Horror Metal”. Nelle prime file ci sono alcuni aficionados con uno striscione dedicato alla band, e oltre a questo zoccolo duro di fan anche il resto dei presenti non stenta a farsi coinvolgere in una musica fin dalle prime note stuzzicante e accattivante, come un frutto proibito che ti si pone davanti in maniera seducente. La grande ammaliatrice è lei, Cadaveria, segaligna e con lo sguardo da Medusa, ora strega, ora incantatrice, oppure sacerdotessa, dea pagana, semplicemente musa gotica e peccatrice. Al netto di tutte le deviazioni gotiche, piccole inserzioni di ritmiche industrial, erudite rievocazioni di dark rock ottantiano, quello che abbiamo dinnanzi è né più né meno che una rappresentazione estesa, ragionata e riuscita delle anime cupe del metal classico, sebbene contaminato da influenze esterne al genere. La capacità di giostrare tra sonorità cattive confinanti col metal estremo e altre debordanti nel gothic rock, magari pure all’interno della stessa canzone, rendono interessante il concerto in tutta la sua durata. Il magnete che ci attrae è senza alcun dubbio la voce e la presenza della frontwoman, ma anche gli altri musicisti sanno il fatto loro e pur mantenendosi sulle loro posizioni senza darsi a un coinvolgimento esagitato non sbagliano un colpo. Prova positiva per una band che dal vivo sa farsi ampiamente valere.
PRIMORDIAL
Un bardo su una collina guarda la desolazione del campo di battaglia sotto di sé. Vede chiaramente tutti i segni della mattanza e dà voce ai propri sentimenti con un toccante canto a cappella. Il bardo potrebbe essere benissimo Alan Nemtheanga, sono sue le parole del canto, versi che ci toccano sul vivo mentre la band scende le scale dal camerino al palco e veniamo introdotti a quella che sarà una meravigliosa rappresentazione della tragicità delle azioni umane e delle loro catastrofiche conseguenze. Gli irlandesi, su un palco dall’allestimento scarno il cui unico abbellimento è un ampio drappo a fondo stage col nome della band, raggiungono le proprie posizioni in silenzio. Gli strumentisti hanno il ruolo dell’orchestra per la pièce teatrale a un solo elemento che andrà a tenersi. Nemtheanga è ad oggi una delle figure più carismatiche della scena estrema, con pochi eguali per quanto riguarda la somatizzazione delle liriche, il raggiungimento di una specie di trance nelle parti più intense e drammatiche, l’energia con cui richiede al pubblico di seguirlo negli assalti vocali più veementi. Trucco irregolare in faccia, cappuccio della felpa tirato sulla testa a nascondere il cranio calvo, Alan assume le sembianze di un guerriero di altri tempi intento a combattere una cruenta battaglia per la vita e per la morte. Gli incipit in chitarra pulita, dai forti accenti celtici, aprono alla narrazione di vicende fosche, tristi e sanguinose, senza alcun lieto fine. Il lancinante trasporto emotivo delle versioni in studio rimane intatto nella dimensione live, la fedeltà esecutiva è massima e si ha la netta impressione che la band proceda come un sol corpo, coesa e granitica, coinvolta in quello che sta facendo anche se visivamente non dà segni di tradire emozioni. Queste si convogliano nella voce e nella gestualità di Alan, che, travolto da tanta rovente passione, lo troviamo spesso in ginocchio con lo sguardo sbarrato, o a guardare spiritato tra la folla a cercare un segno sui volti dei presenti. La band non trova di certo giovamento nel vedere una folla smisurata ai suoi piedi, però chi c’è non è qui per caso, e acclama il gruppo dall’inizio alla fine, sgolandosi e alzando le braccia a rispondere alle richieste di supporto provenienti dal palco. Si vede genuino rapimento e scambio di energia sulle note di “Godless To The Gods”, “Journey’s End”, “The Coffin Ships”. Ogni canzone è benedetta da urla di approvazione, si nota che tutto il repertorio è celebrato da un consenso plebiscitario e non c’è un periodo della carriera dei Nostri che non vada a genio agli intervenuti. Il dialogo con il pubblico è un esempio di come si dovrebbero annunciare i pezzi e interagire con chi sta ascoltando, le presentazioni delle canzoni preparano benissimo il terreno all’esplosione sonora e non ci si perde in chiacchiere inutili. L’assenza quasi completa di pause non lascia scendere il livello di pathos, che raggiunge l’apice nel sussurro in crescendo nel mezzo di “As Rome Burns”, e nell’inno colmo di sconforto “Empire Falls”, suonato se possibile con maggior forza del resto della set-list e posto in chiusura di un concerto ineccepibile sotto ogni punto di vista e che crediamo abbia lasciato pienamente soddisfatti tutti quanti, band inclusa.