13/06/2015 - PRIMUS @ Carroponte - Sesto San Giovanni (MI)

Pubblicato il 25/06/2015 da

A cura di Giovanni Mascherpa

Sono passati circa tre anni dall’ultima capatina in Italia degli squinternati funk-quello che ne avete voglia-rocker Primus. Nel frattempo Tim Alexander, al netto di problemi di salute non di poco conto – un infarto – si è rimesso al suo posto dietro il drum-kit, così da ricostituire con il mastermind Les Claypool e Larry Lalonde il trio delle meraviglie che ci diverte, ci tiene col fiato sospeso e ci fa sfasciare di risate a ritmi turbinanti da inizio Anni ’90. Eccentricità, sarcasmo, genio zappiano, confluenze di virtù strumentali, un gusto arguto per dipingere e scolpire a colpi di note di basso beffarde il lato positivo e ridanciano dell’esistenza, sono virtù mai venute meno a questo manipolo di giullari dall’elevatissimo quoziente intellettivo. E se lo spirito avanguardistico, il tocco di esuberanza efferata degli albori non possono più dirsi rivoluzionari e hanno ceduto il posto a un brillante manierismo, un rassicurante affresco cartooneggiante della demenza estetica più strafottente, godersi un live dei tre americani resta un’esperienza di elevatissimo interesse. Perché proprio prevedibili e scontati i Primus non potranno mai esserlo del tutto, e per i fan europei, rimasti un po’ perplessi dalla rilettura fin troppo calligrafica della colonna sonora di “Willy Wonka E La Fabbrica Di Cioccolato”, sono bastate le foto degli show statunitensi, con le visioni di una scenografia sgargiante e la presenza dei The Fungi Ensemble (Sam Bass e Mike Dillon, i due musicisti aggiuntivi intervenuti in “The Primus & The Chocolate Factory With The Fungi Ensemble”) per farsi venire nuovamente l’acquolina in bocca e pregustare uno spettacolo unico nel suo genere. La band si è presentata in Italia per un’unica data in quel di Sesto San Giovanni, nell’accogliente cornice del Carroponte. Una manifestazione che, pur lontana nella maggior parte degli appuntamenti proposti dai normali target di Metalitalia.com, rimane degna di considerazione per come riesce a coniugare varie anime e culture musicali in un ambiente adeguato al bacino d’utenza, scenografico (il palco posto all’interno di un’ex linea di montaggio della Breda è manna dal cielo per gli appassionati di archeologia industriale) e con una serie di stand alimentari davvero ottimi, quasi una rarità per la media degli eventi live italici. Con i soli Primus a presenziare nella fresca e nuvolosa (poi non scenderà una goccia di pioggia, ma le previsioni alimentavano paure di catastrofi) serata, i cancelli si aprono con un po’ di ritardo, senza per questo pregiudicare il riempimento completo dello spazio antistante il palco prima dell’approdo on-stage del gruppo.

 

Primus - locandina Carroponte - 2015

In leggero ritardo rispetto al programma originario, che prevedeva l’inizio per le 21, Les Claypool e i suoi due sodali fanno il loro ingresso, con quella flemma oramai abbastanza nota tra i fan. L’atteggiamento attuale è molto rilassato, placido, verrebbe da dire “da uomini maturi” se la definizione non facesse a cazzotti con la musica non-sense del terzetto. Però l’impressione visiva mansueta, avvalorata anche da un palco spoglio di qualsiasi orpello estetico, e con il solo maxischermo sullo sfondo a fungere da scenografia con filmati all’insegna del surreale e del folle, lascia intendere che i californiani col passare degli anni abbiano riposto nel cassetto la verve più zuzzurellona, per concentrarsi quasi esclusivamente sull’esecuzione del proprio materiale in maniera attenta e rigorosa. L’attacco è affidato a “Those Damned Two Collars Tweekers” e i primi minuti vanno a comporre un quadro un po’ disorientante e non del tutto positivo. I suoni escono infatti molto bassi dalle casse, crediamo per imposizioni in tema di acustica del comune di Sesto San Giovanni, e l’impatto generale del brano è quindi molle, poco incisivo, con le sole circonlocuzioni del basso di Les a farci smuovere, mentre chitarra e batteria pervengono a noi inconfondibili ma con insufficiente vigore. Chi ha i problemi maggiori a mettersi in mostra è Lalonde, che ha sempre dovuto dosare le scintille chitarristiche per non fare a pugni con l’istrionico basso di Claypool, ma stavolta viene proprio imbrigliato dai volumi a dir poco moderati. Per fortuna l’insieme è equilibrato, e non ci sono ulteriori interferenze nel godimento del concerto, che passa in rassegna un ampio spaccato della discografia dei Nostri. “Wynona’s Big Brown Beaver” fa esplodere i primi boati, il suo incedere country/western/demenziale fa dimenare quasi tutti, mentre scorrono a scatti e loop le immagini dell’esilarante video dell’epoca, dove i tre personificavano degli strambi cowboy, con fattezze plasticose e pupazzesche. Claypool infiocchetta ogni canzone con jammate, scapestrate divagazioni strumentali, brevi stravolgimenti degli andamenti conosciuti. Una delizia in alcuni momenti, in altri anche un limite, perché una certa durezza che caratterizzava comunque le composizioni del gruppo si scioglie in una melassa psichedelica non sempre così sensazionale. Il frontman, nei suoi abiti che lo fanno assomigliare a un vecchio professore stralunato di gusto ottocentesco, è in buona forma anche dal punto di vista vocale, e di umore seraficamente disposto ai lazzi e frizzi: non siamo stati in grado di capire perfettamente ogni sua parola, ma vi assicuriamo che anche tra un pezzo e l’altro Les ha regalato giocate di classe, dispensando il suo umorismo cabarettistico senza economie. All’altezza di “Lee Van Cleef”, dedicata all’omonimo attore, uno dei Cattivi per antonomasia della cinematografia western, il livello di assurdità raggiunge vertici epocali: la filastrocca saltellante presente nel penultimo “Green Naugahyde” provoca il mal di testa in accoppiamento alle immagini di contorno, dove si alternano spezzoni del video originale – uno splendido cartone animato con Van Cleef in versione zombie – e quelli di alcuni film in cui era impegnato il famoso attore. “My Name Is Mud” e “Jerry Was A Race Cat Driver” fanno calare il sipario sul primo set: lo stage viene quindi celato alla nostra vista, affinché possa essere preparato per diventare una fedele trasposizione della “Chocolate Room” che tanti bambini di ieri e di oggi immaginano nelle loro fantasie incontrollate. Saranno passati dieci minuti-un quarto d’ora quando si torna in scena, e sembra di essere in un altro mondo: caramelle e funghi giganti, Alexander vestito da Oompa Lumpa, Claypool in versione Willy Wonka, impegnato tra violoncello elettrico e basso; e poi Sam Bass al violoncello vestito come fosse in teatro, Mike Dillon ad irrorare di ulteriore estro percussionistico la musica e tampinare le nostre orecchie fanciullesche con uno xilofono, e infine scene dell’opera filmica del ’71 a girare frenetiche sul maxischermo, andando avanti e indietro, avanti e indietro, avanti e indietro…. Una tale libagione per gli occhi enfatizza contenuti sonori che, in questa sede, fanno ben altra figura che su disco; una colonna sonora senza immagini perde una parte, talvolta enorme, di appeal, e lo stesso si può dire dell’ultima fatica in studio dei Primus. Infatti, al Carroponte “Primus & The Chocolate Factory….”, suonato integralmente, pare tutt’altra cosa, con “Candy Man”, “Golden Ticket”, “I Want It Now” a spadroneggiare giocose e ridanciane, tasselli di un musical appassionante, fedele alle atmosfere originarie della pellicola e impregnato di emozioni bambinesche, genuine e smodate come i comportamenti di adulti e fanciulli alle prese con quantità abnormi di dolciumi. Nelle parentesi coi canti degli Oompa Lumpa due figuranti con enormi testoni, come quelle degli operosi nanetti danzerini, si piazzano a centro palco, mani sui fianchi, muovendosi a tempo piegando le ginocchia; l’elemento più pittoresco del set. Le note malinconiche di “Farewell Wonkites” pongono termine anche alla seconda parte di show, la più esaltante a parere di chi scrive, che rimane quindi favorevolmente colpito dall’innalzato tasso energetico dell’encore. Per il trittico di chiusura, arrivato a strettissimo giro, i Primus hanno tenuto qualche cartuccia di quelle grosse, e giovando anche del miglioramento dei suoni provocano pure piccoli accenni di mosh: “Too Many Puppies”, “Southbound Pachyderm” e “Pudding Time” sono suonate con piglio più deciso del lotto di canzoni in apertura e contribuiscono ad aumentare la nostra valutazione complessiva del concerto. Quantitativamente il gruppo ha dato tanto, suonando una buona selezione degli album “regolari” e concedendoci uno spettacolo nella parte centrale che molto difficilmente ci sarà concesso di rivedere. Qualitativamente le esecuzioni sono state formalmente impeccabili e con quei piccoli cambiamenti in corsa che in pochi possono permettersi senza compiere degli errori grossolani. Nella nostra ottica di ascoltatori frequentanti di norma contesti dai suoni più duri e massacranti, avremmo gradito un po’ più di grinta, ben presente nelle esibizioni di qualche lustro fa. Però ci rendiamo conto che la dimensione attuale dei Nostri questa è al giorno d’oggi, e ci accontentiamo più che volentieri.

 

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