Fra tanti concerti metal, più o meno estremi o underground, chi scrive ogni tanto sente il bisogno di staccare e di aprirsi ad altro. Se poi in città arriva un carrozzone comprendente tre cosiddetti pesi massimi del panorama punk e hardcore, allora tanto meglio. Così, in un mercoledì pseudo-primaverile (molto pseudo e poco primaverile), ci rechiamo presso l’Electric Ballroom di Camden Town, a Londra, per assistere all’attesa data da headliner dei Propagandhi; i Nostri sono freschi reduci dal grande successo di critica e pubblico del nuovo “Failed States” e per questo primo tour europeo di supporto al disco hanno avuto la bella idea di farsi accompagnare da Comeback Kid e Shai Hulud, formazioni un po’ più giovani, che sono solite richiamare altre fasce di pubblico. Avendo dovuto svolgere un’intervista con gli Shai Hulud nei pressi del locale, riusciamo ad entrare nello stesso solo quando gli opener War On Women sono ormai in procinto di terminare il loro set, che comunque ci pare molto energico (soprattutto per merito della frontgirl Shawna Potter), anche se poco seguito…
SHAI HULUD
Da queste parti siamo soliti vedere gli Shai Hulud in veste di headliner o di supporto diretto, ma anche in un bill più corposo come quello di stasera la band statunitense riesce a fare la sua figura e ad attirare un po’ di die-hard fan. Questi sono i vantaggi dell’essere un gruppo di culto. Al basso non vediamo lo storico Matt Fletcher, bensì uno che gli somiglia parecchio, e nel ruolo di frontman vi è l’ennesima recluta dell’ultima ora (Chad Gilbert è rientrato nel gruppo solamente per registrare il nuovo “Reach Beyond The Sun” e per tenere un paio di show negli USA); tuttavia, alla chitarra solista e al timone troviamo come sempre Matt Fox, che rassicura immediatamente gli astanti e inizia a dettare i tempi del concerto. Mezzora scarsa a disposizione del quintetto, che opta giustamente per una carrellata di classici abbinata a qualche nuova traccia. Il pit si anima con crowd surfing e singalong all’altezza di “Solely Concentrating…” e “My Heart Bleeds The Darkest Blood”, ma è l’intero set a coinvolgere e a lasciare una bella impressione, incuriosendo, almeno in apparenza, anche chi è qui solo per gli headliner. Dopo tutto, la vena prog degli Shai Hulud, davanti ad un pubblico come quello dei Propagandhi, ha sulla carta le potenzialità per destare interesse.
COMEBACK KID
I Comeback Kid inizieranno a breve un tour per celebrare il decennale della pubblicazione del debut “Turn It Around”, nel quale proporranno esclusivamente materiale datato. Questa sera, tuttavia, lo show rientra nel programma “regolare”, con pezzi (in verità non molti) estratti anche dalle ultime pubblicazioni. I canadesi sono da sempre un’ottima live band e non perdono occasione di dimostrarlo nemmeno quest’oggi, sfoderando una prestazione maiuscola sotto ogni punto di vista. Andrew Neufeld questa sera ha voce e il resto della lineup lo segue a ruota, suonando e tenendo il palco con un’aggressività che, almeno inizialmente, pare spiazzare un po’ alcuni fan accorsi per gli headliner. Non c’è molto spazio per i toni un poco più rilassati di un “Broadcasting…”: oggi i Comeback Kid danno pieno sfogo ai loro istinti hardcore, saccheggiando “Wake The Dead” e proponendo quasi esclusivamente il proprio materiale più diretto. Schiaffo dopo schiaffo, anche i più scettici si lasciano convincere e il finale, affidato come ormai da tradizione alla title track del suddetto secondo album, coinvolge tutti in cori da stadio. Le prove generali per l’imminente tour commemorativo non avrebbero potuto andare meglio.
PROPAGANDHI
Il concerto dei Propagandhi viene anticipato/introdotto da un discorso curato da un paio di esponenti di Sea Sheperd. Ancora una volta, quindi, i canadesi non smentiscono il loro impegno politico e umanitario, facendo sì che la loro musica e tutto ciò che vi ruota attorno vengano utilizzati come piattaforma dal quale lanciare un messaggio. L’intervento dura pochi minuti, poi tocca ai quattro e ai loro strumenti farsi vedere e lo spettacolo prende finalmente vita. La platea a questo punto è molto singolare: scorgiamo punk, indie, metallari… c’è veramente un po’ di tutto e si ha la definitiva conferma che, almeno negli ultimi anni, il verbo Propagandhi sia riuscito a far breccia nel cuore degli ascoltatori più disparati, facendo leva su una proposta sempre più adulta e cangiante, così come su un’attitudine ed un messaggio che invitano costantemente alla riflessione. Hannah si rivela in forma, sia alla chitarra che – cosa più importante – dietro al microfono: non si vedono i soliti trucchetti da punk attempato che lascia cantare il pubblico nei momenti più concitati. Il gruppo ha fatto passi da gigante a livello tecnico ed esecutivo nel corso degli anni e questa sera ne abbiamo una nuova dimostrazione: il suono è pieno e curato, la performance attenta e l’impatto complessivo è quello di una grande band. Il bassista Todd Kowalski questa sera gode di grande importanza nel mixaggio e rende molto corposo il suono del quartetto, che spinge parecchio sul materiale più recente e metal-oriented, pescando a piene mani da “Failed States”, “Supporting Caste” e sul platter della svolta, “Today’s Empires, Tomorrow’s Ashes”. Più di metà della setlist è incentrata su questi pezzi dal taglio più heavy e ricercato, ma qua e là i Nostri non mancano di dispensare rimandi al punk maggiormente schietto degli esordi, facendo chiaramente la felicità del pubblico, che in più di un’occasione si dimostra molto nostalgico. L’evoluzione dei Propagandhi e il loro continuo oscillare tra punk, hardcore e metal mettono lo spettacolo nelle condizioni di piacere un po’ a tutti e noi siamo i primi a gradire i passaggi fra, ad esempio, una “Less Talk, More Rock” ed una “Night Letters”, prima che nel finale si punti tutto sulla vena old school con la datata “Stick The Fucking Flag…”. I Propagandhi si divertono e divertono sul palco dell’Electric Ballroom, apparendo spesso e volentieri come tutto fuorchè un gruppo che ha mosso i primi passi negli anni Ottanta. La band in carriera ha continuamente cercato nuove sfide e anche lo show di questa sera ne è una dimostrazione, nel suo proporre brani particolari e nel cercare costantemente il confronto con la folla, che non viene accontentata solo con i prevedibili classici, come invece tante formazioni coetanee dei canadesi tenderebbero a fare. Lo show, insomma, si rivela interessante per svariati motivi, rimanendo teso e vitale sino all’ultimo. Da dei veterani così atipici potevamo aspettarcelo, ma sperimentare il tutto sulla propria pelle è stato un vero piacere.