Report di Simone Vavalà
Per essere una band simbolo degli anni Ottanta, di cui spesso si ricordano (con troppa leggerezza) solo i primi dischi, i Public Image Ltd. dimostrano di non invecchiare affatto male, anzi.
Il recente “End Of World” è un disco solido, non privo di elementi nostalgici, ma assolutamente moderno, e non è poco da parte di un manipolo di ‘vecchietti’, e il sold-out della data milanese mostra che il pubblico non ha smesso di amare John Lydon & soci. Certo, l’età media è più vicina a quella dei musicisti che alla pubertà, ma l’atmosfera all’interno dei Magazzini Generali è rovente, e i presenti ballano per buona parte del concerto.
Iniziando già, a dire il vero, durante il dj-set curato da Ringo, il cui amore per una certa epoca non è un mistero, e non a caso sembra quasi emozionato di aprire per una band così iconica. Ma tralasciamo il caldo, il sudore e l’eccessivo assiepamento – purtroppo sappiamo che la conformazione del locale non è proprio il massimo per godere dei concerti, quando le sue quattro mura sono troppo piene – e passiamo alla musica.
Sono da poco passate le 21 quando i quattro salgono sul palco, con il loro look elegantemente squinternato: Lu Edmonds in giacca da paggio bianca e basco sembra un menestrello, sensazione consolidata dalle sue chitarre custom, che ricordano come forma la sua passione per i saz ottomani; Scott Firth in completo dal colore improbabile, Bruce Smith, per quanto nascosto dalla batteria, opta a sua volta per un candido bianco, mentre un John Lydon, sempre più massiccio, sfoggia un abito gessato talmente fuori misura da farlo sembrare un clown.
Ovviamente sardonico e sprezzante, come si confà a uno dei padri assoluti del punk, che non ha mai perso la sua vena provocatoria, stasera il cantante appare peraltro da subito in gran forma, meno sguaiato rispetto ad altre occasioni, ottimo nel variare registro tra i pezzi più aggressivi e i momenti quasi ‘spoken’ che da sempre caratterizzano i PIL.
Anche il resto della band mostra un gran piglio; Edmonds e Firth non sono Keith Levene e Jah Wobble, ma sarebbe anche ingiusto basarsi sempre sul confronto con i mostri sacri che composero gemme come “First Issue” o “Metal Box”: la verità è che le chitarre ultraeffettate di Lu sono perfettamente funzionali a costruire un sound ipnotico, su cui John può arringare le folle come un pazzo dello Speaker’s Corner (e non a caso le parole di stima e gli anni di permanenza nella band confermano il suo valore), mentre la sezione ritmica costruisce un affascinante tappeto dal sapore dub costante, avvolgente e perfetto per far ballare a occhi chiusi. La scaletta è eccellente, con grande spazio, ovviamente, per il succitato “Metal Box”, ma anche per ben quattro brani tratti dall’ultimo LP, tra cui spicca quello che è uno dei loro brani migliori di sempre: “Being Stupid Again” racchiude infatti al meglio le chitarre rarefatte, le ritmiche incalzanti e l’approccio sfrontato di Lydon, in una chiara invettiva verso le idiozie del mondo moderno, a cavallo tra politically correct di pura facciata e fake news.
A proposito di politicamente corretto, le posizioni prese da Lydon negli ultimi anni su svariati temi sono note, spesso reazionarie, eppure stasera alza due volte il pugno ricordando che sul palco si trovano degli eterni guerrieri (inevitabilmente, una delle occasioni è durante “Warrior”) e sottolinea il suo approccio da working class e amore per la gente vera insultando diversi (deficienti, diciamolo una volta per tutte) che hanno passato buona parte del concerto a guardarlo attraverso lo schermo del loro telefonino, invitandoli ad andare a frasi fottere.
I classici e i singoli di dovere vengono suonati tutti; ci ha inizialmente colpito l’assenza di “Hawaii”, primo estratto da “End Of World”, ma tutto sommato è stata anche una scelta rispettosa dell’intimo tema trattato, essendo il brano dedicato da John alla moglie, recentemente scomparsa.
Come accennato nell’intro, l’unica pecca è stato il clima quasi invivibile all’interno del locale, troppo stretto e troppo accalcato per un migliaio di persone, ma con fatalismo possiamo dire che è stato adeguato per rivivere un certo ambiente post-punk, e del resto, ormai, a Milano non resta molta scelta per questa dimensione di afflusso.
Setlist:
Penge
Albatross
Being Stupid Again
This Is Not a Love Song
Poptones
Death Disco
The Room I Am In
Flowers of Romance
Memories
Car Chase
The Body
Warrior
Shoom
Public Image
Open Up (Leftfield cover)
Rise