Report a cura di Andrea Raffaldini
Fotografie di Enrico Dal Boni
Dal nostro arrivo in quel di Bologna, c’erano tutte le premesse per passare almeno sulla carta una gran bella serata. Il clima favorevole ed una lunga fila di ragazzi e ragazze in attesa dell’apertura dei cancelli ci fa ben sperare, ci sono tutti i numeri per fare il pienone con grande soddisfazione degli organizzatori. Sbrigate le pratiche burocratiche, entriamo finalmente nel locale e non possiamo fare a meno di vedere che i Puddle Of Mudd sono riusciti ad attirare fan di tutte le generazioni, dai più stoici che seguivano la formazione americana già negli anni Novanta ai giovani poco più che ventenni. Mai, con queste premesse, ci saremmo aspettati di far parte di quella che sarà purtroppo ricordata come una serata veramente disastrosa…
GANG BANG
Ad aprire le danze ci pensano i Gang Bang, formazione proveniente da Udine, che propongono un rock cantato in italiano e che, in alcuni brani, possono ricordare i vecchi Timoria. Il gruppo è molto carico e, tra le prime file, può vantare una schiera di ammiratori e ammiratrici che alla fine di ogni canzone supportano i Nostri lanciando un numero esagerato di capi di biancheria intima, con reggiseni e mutandine che fioccano come funghi. Quella che in condizioni normali verrebbe ricordata come una performance senza infamia e senza lode, tenendo conto del disastro combinato dagli headliner, diventa la prova più riuscita della serata!
PUDDLE OF MUDD
Durante il cambio palco il pubblico è carico, si addensa sotto lo stage e quando la band si presenta, in modo sobrio e tranquillo, gli applausi partono fragorosi. Rimaniamo subito perplessi quando un roadie porta uno sgabello proprio dietro al microfono e di stucco quando il leader della band, Wes Scantlin, fa il suo ingresso, zaino in spalla, con passo lento ed incerto, scavato in faccia e con lo sguardo ‘da cernia’, occhio pallato perso nel vuoto. In poche parole, strafatto o ubriaco o entrambe le cose. Queste premesse non sono nulla a confronto dello show patetico e tristissimo a cui abbiamo dovuto assistere. Se la sezione strumentale dei Puddle Of Mudd suona in modo impeccabile, con particolare menzione per il potente batterista Shannon Boone, Scantlin è assolutamente inguardabile ed inascoltabile. Si pianta davanti al microfono e non si muove, perché se ci prova barcolla, tanto da arrivare a doversi appoggiare allo sgabello posto vicino a lui. Quando canta, la voce è visibilmente alterata dalle sostanze che ha assunto: va e viene ad intermittenza e soprattutto, durante i ritornelli dei brani in cui il pubblico è chiamato a cantare, il buon Wes ancora una volta cerca di fare il furbo a forza di ‘lip syncing’ (ovvero il mimare con la bocca il testo del brano, senza però cantare effettivamente, per conservare quel poco di voce marcia che aveva), stratagemma che da anni lo rende oggetto di pesanti critiche. Durante “Control” la band attacca un medley, partono le note di “War Pigs” dei Black Sabbath ed il pubblico va in delirio. Evitiamo commenti sulla prova canora di Scantlin, Ozzy a confronto pare Pavarotti! I classici del rock firmato Puddle Of Mudd vengono suonati uno dietro l’altro, da “Psycho” a “Nothing Left To Lose” ad “Away From Me”. C’è anche spazio per un pezzo inedito, che finirà sul nuovo disco (Scantlin manco si ricorda il titolo e chiede aiuto al suo chitarrista): “Uh Oh I Fucked It Up Again” sembra quasi una filastrocca, le melodie sono anche gradevoli, la voce meno. Tra un brano e l’altro, Scantlin sembra spegnersi, ogni volta una pausa (qualche fischio inizia a arrivare) di una manciata di secondi, per poi riaprire gli occhi ‘da triglia’ e ripartire con l’agonia. “Old Man” e “Spaceshift” vengono accolte benevolmente dai presenti, seppur la performance continui a rasentare il patetico. Terminata “Spaceshift”, la band si congeda velocemente e si prende una decina di minuti di pausa nel backstage. Ancora qualche fischio ed ecco uscire il batterista per tranquillizzare i presenti e sparare le solite frasi fatte sul rock’n’roll. I Puddle Of Mudd ritornano quindi sul palco per gli ultimi tre pezzi, con il finale affidato all’hit “Blurry” e a “She Hates Me”. Per la prima volta in tanti anni di concerti vissuti, chi scrive non vedeva l’ora che un tale strazio finisse, un’ora e una manciata di minuti che sono sembrati non terminare mai. A concerto finito, tra lo sgomento e la delusione dei presenti, non possiamo sentirci altro che un po’ presi per i fondelli, non tanto dalla band – i musicisti hanno fatto del loro meglio e i loro sguardi imbarazzati la dicevano lunga – bensì dal fatto che Wes Scantlin si stia autodistruggendo e non sia più in grado di suonare dal vivo. Le domande sorte spontanee sono ovviamente queste: riuscirà il vocalist a portare avanti tutto il tour senza collassare? Ha senso continuare a farlo suonare ridotto in uno stato penoso? Perché, se da una parte i fan si preoccupano della salute del loro beniamino, più cinicamente dall’altra ci si sente anche derubati dei soldi del biglietto.