In un gelido mercoledì di inizio dicembre ci attende una piacevole serata ‘revival’ al Legend 54 di Milano, in compagnia di Raven e Girlschool. Questi mastodonti della New Wave Of British Heavy Metal hanno contribuito in maniera determinante a scolpire ed evolvere questo innovativo genere all’inizio degli anni Ottanta. I primi tre long playing di entrambi i gruppi rimangono delle inamovibili pietre miliari, nei quali convergono in maniera praticamente perfetta una miscela di potenza, energia e velocità, bilanciate da un gusto melodico fuori dal comune. Spetta ai giovani Harmonic Generator l’arduo compito di scaldare i motori di un pubblico quasi esclusivamente conservatore, per nulla incline ad accettare un sound moderno o minimamente distante dai canoni quadrati del metal classico…
HARMONIC GENERATOR
“We are Harmonic Generator and we come from Marseille, are you ready to rock?”. Il frontman Quentin Barthes-Villegas presenta la band con un pizzico di spavalderia dinanzi ad un nugolo di curiosi annidati tra le prime file, interessati a testare il polso di questi sconosciuti ragazzi. Già dalle prime battute appare chiaro che i nostri ‘odiati’ cugini d’oltralpe vantano un buon affiatamento collettivo, fuso con una buona padronanza sulle assi del palco, maturata da un’intensa attività dal vivo in Australia. L’implacabile cantante fa esplodere i propri polmoni dal primo all’ultimo secondo, senza lesinare un’oncia di energia, forse incentivata da qualche alterazione chimica. La ricetta sonora proposta dalla giovane band si pone a cavallo tra il classic rock di Led Zeppelin ed Aerosmith (quelli di “Rocks”, per intenderci) imbastardito da centellinate incursioni nel nu metal astutamente radiofonico. Sebbene gli episodi scorrano via senza regalare particolari sussulti, possiamo tranquillamente affermare che il risultato complessivo non è stato affatto malvagio. Il look adottato dai Nostri può essere accostato ai cliché della MTV generation, ma nonostante ciò, gran parte dei presenti non lesina appalusi di incoraggiamento, eccezion fatta per qualche borbottante pentolone di fagioli che non vedeva l’ora di gustarsi il concerto delle Girlschool…
GIRLSCHOOL
Si dice che la pazienza sia la virtù dei forti, sicché dopo un tanto rapido quanto necessario cambio del palco, assordanti sirene di allarme esplodono con irruenza dagli amplificatori, fungendo da preludio alla fragorosa hit “Demolition”. Sin dalle prime battute siamo inconsciamente consapevoli che queste quattro ragazze attempate (OK, usate pure il termine MILF senza alcun problema) daranno sfoggio di tutta la propria energia per circa tre quarti d’ora. Difatti quasi tutti i presenti si lasciano travolgere da un mosh relativamente composto, ma assolutamente trascinante e divertente. Complice un sound sorprendentemente buono per le ridotte dimensioni del locale, i nostri timpani vengono investiti dalle generose scudisciate profuse dagli immortali classici “Hit And Run” e “Screaming Blue Murder”. La voce solida e graffiante di Kim McAuliffe non denota alcun calo di tensione, mentre quella più melodica di Enid Williams fatica a perforare il muro sonoro generato dagli strumenti. La piccola Denise Dufort non perde un colpo dietro le pelli, dando prova di essere un inarrestabile martello pneumatico, Jackie Chambers invece svolge un ruolo di fondamentale rifinitura nelle parti soliste. “I Spy”, dedicata al mai troppo compianto Ronnie James Dio strappa copiosi applausi, l’intramontabile anthem “Race With The Devil” dei The Gun viene cantata a perdifiato da buona parte dei presenti; mentre l’anfetaminica “Emergency” chiude il cerchio, generando una caotica bolgia a ridosso del palco. Le Girlschool hanno dimostrato ancora una volta di essere una macchina composta da meccanismi tra loro perfettamente oleati ed efficienti, dando una gradita lezione di stile ad una parte delle nuove e blasonate leve. Intramontabili.
RAVEN
Sono circa le 23:00, il cervello invia inequivocabili segnali di stanchezza dopo una giornata impegnativa di lavoro (in previsione di quella successiva, che ci attende minacciosa dietro l’angolo), ma affatto rassegnati affrontiamo il concerto dei fratelli Gallagher con l’entusiasmo alle stelle. Ad oggi permane ancora vivido il ricordo della performance eccelsa al Gods Of Metal a Torino nel 2010, non a caso infatti le aspettative di assistere ad un gig stellare sono altissime. Reduce dalla recente pubblicazione del DVD “Rock Until You Drop” ed in previsione di pubblicare un nuovo studio album nel 2014, il trio di Newcastle si presenta sul palco con la consueta dose di ruspante entusiasmo, capace di contagiare chiunque all’interno del Legend 54. Il riff portante del contagioso mid tempo “Take Control”, seguito a ruota dalla terremotante velocità profusa da “Live At The Inferno”, ci mostra una band capace di stendere chiunque si avvicini al loro raggio d’azione. Va rimarcato che la pur trascinante performance collettiva viene leggermente penalizzata da alcuni piccoli ma evidenti sbavature che li pongono un gradino al di sotto delle Girlschool. Possiamo anche chiudere un occhio dinnanzi a un fastidioso problema tecnico all’amplificatore della chitarra, che crea qualche grattacapo a Mark Gallagher, o a qualche comprensibile passaggio a vuoto del batterista Joe Hasselvander; ma non possiamo rimanere indifferenti alle improvvisazioni di chitarra e basso, peraltro neanche ben riuscite, trascinate stancamente per quasi dieci minuti (accompagnate dalle impagabili smorfie di Mark) dopo l’esecuzione della evergreen “Rock Until You Drop”. Cosa sia passato nella testa dei ‘lunatics’ non lo sapremo mai, ma sta di fatto che tale perdita di tempo ruba spazio ad almeno due brani. Di tali dettagli il pubblico non se ne cura più di tanto, sempre dedito alla causa dell’heavy metal ed entusiasta nel recepire i fendenti al calor bianco emanati da “Speed Of The Reflex”, “Don’t Need Your Money” e “Mind Over Metal”.
Curiosamente, un tizio tra il pubblico ha tenuto sollevato il vinile di “All For One” per quasi tutta la durata dello show; mentre una giovane ed entuasiasta ragazza ha raggiunto il palco per dare un bacio al chitarrista, prima di ributtarsi con foga nella mischia. D’altronde anche questo fa parte del gioco, no?