Report a cura di Claudio Giuliani
Evidentemente, per non far torto al nuovo sindaco della Capitale, i Red Fang si dimostrano diplomatici e apolitici, tornando a Roma dopo poco più di un anno per rinnovare quella love story nata con l’incendiario show del 2012. Fu amore a prima vista fra l’energico stoner degli americani – simpaticissimi – e il pubblico locale. La No Sun Music e il Traffic Live non si sono lasciati sfuggire l’occasione di riportare a Roma la band, per un nuovo show sold-out. Gli odori dell’estate oramai sono padroni della Capitale e il Traffic, con i suoi spazi all’aperto, se ne giova riuscendo a diventare punto di aggregazione al di là degli show. Succede quindi che c’è il tutto esaurito con oltre 300 persone (e al Rock In Roma suonavano i Korn!) dentro il locale, per esaltarsi sulle note dei quattro, per l’occasione accompagnati dagli inglesi Black Moth, gruppo stoner di stampo melodico, e dai nostrani The Ophelia’S Revenge, altra band poco conosciuta ai più. Noi non potevamo mancare alla celebrazione di questo amore e vi raccontiamo com’è andata.
THE OPHELIA’S REVENGE
L’apertura dello show, forse per le tanto di moda quote rosa, è affidata a questa band nostrana formata da tre ragazze e da un baldo giovane che si occupa della batteria. Suonano post-hardcore, sono agli inizi e quindi non si pretende molto da loro che non sia un onesto riscaldamento dell’atmosfera. La struttura ritmica dei brani è perlopiù abbastanza lenta, con dei riff ripetuti all’ossesso che esaltano il lavoro di basso. Le addette agli strumenti a corda, due, non si muovono parecchio; ma ci pensa la cantante, visibilmente emozionata, a intrattenere il pubblico. In altri brani il gruppo arrangia con una vena melodica, per un effetto che viene assorbito dalle urla della singer, più a suo agio su queste tonalità. In una mezz’ora scarsa di fronte a una buona presenza, si chiude lo show dei The Ophelia’s Revenge. Ora si può fare sul serio.
BLACK MOTH
Un solo album all’attivo per i Black Moth, “The Killing Jar”, pubblicato nel 2012 e dunque inevitabilmente oggetto di saccheggio. La cantante sembra abbastanza sbronza e sorseggia il suo cocktail fra una canzone e l’altra, ammiccando al pubblico che le tributa un amore a prima vista. Addirittura c’è proprio chi sale sul palco, le grida “I love you!” e la bacia con affetto sulla guancia. Lei sorride, felice. Intanto c’è però da mandare avanti uno show. Lo stoner del gruppo è abbastanza classico, melodico, con qualche breve accenno di durezza. Va detto che le loro canzoni bilanciano abbastanza bene questi due stili differenti e nei vari brani proposti (“Blackbirds Fall”, “The Articulate Dead”, “Banished But Blameless” fra gli altri) l’esecuzione incontra il favore del pubblico. Il momento migliore dello spettacolo arriva con “Spit Out Your Teeth”, uno dei brani vincenti del repertorio, dove la cantante, dai movimenti molto sinuosi durante l’esibizione, dimostra le sue capacità vocali. Riscuote successo anche “Chicken Shit”, pezzo dalla sezione ritmica molto dura, imperniato su un ottimo riff che scalda gli animi. Altri brani risultano un po’ fiacchi, ma alla fine dello show c’è comunque moderata soddisfazione da parte dei presenti.
RED FANG
Quando le sagome degli americani s’impadroniscono del palco il pubblico già urla. Un rapido controllo della strumentazione, il classico scambio di strette di mano formali e cordiali fra loro e si può partire con “Bird On Fire”. L’attesa per questo show viene subito ripagata dall’energia con cui i quattro propongono i loro brani. Arriva subito “Number Thirteen” dove il differente approccio vocale, duro e roccioso quello del chitarrista Maurice Giles, armonico e melodico quello del bassista Aaron Beam, dimostra subito la sua efficacia. Il Traffic è già infiammato e allora meglio rallentare. Arriva “Malverde” da “Murder The Mountains”, seguita da “Crown In Swine”, ultimo singolo del gruppo. Questo pezzo, già buono in studio, dal vivo diventa ancora più coinvolgente. Risulta ancora migliore il il brano che segue, un altro inedito, dove melodia e durezza si mescolano alla perfezione: una bomba di ottimo auspicio per il nuovo album. Lo show prosegue con la lenta e cadenzata “Into The Eye”, mentre il pubblico invoca ‘Hank’. E quindi arriva “Hank Is Dead”, poco più di due minuti tutta rapidità e armonia. Un altro accenno di nuova canzone è il preludio a “Wires”, il brano dal video fantastico che tutti aspettano. Ci sono problemi di suoni sul palco per i musicisti, mentre lo stage diving è già da un po’ diventato coreografia dello show. Nello stacco chitarristico di metà brano si rompe il microfono: Aaron prova a fare il Copperfield della situazione suonando e cercando di ripararlo ma alla fine capitola. Gli altri si fermano e ridono. Sono dei bravi ragazzi e proprio non ce la fanno a fare le rockstar dando la colpa a qualcuno. Il tempo di sistemare il tutto e si riparte con “Wires” rifatta da capo e ancora dalla resa problematica. Si aggiusta tutto nella seconda metà del concerto, quando si contrappongono la rapida “Sharks” alla lenta e catartica “Humans Remains Humans Remains”, esaltando la folla sulle note di “Good To Die” e “Dirt Wizard”, oramai assurte a classici. Non tutti i gruppi riescono ad avere una così folta schiera di fan che urla i ritornelli a memoria, i Red Fang sono ovviamente fra i privilegiati e se ne accorgono durante l’adrenalinica messa in scena di “Prehistoric Dog”, uno dei brani stoner più belli di sempre. Sullo stacco finale, imperniato su un riff durissimo, tutto il Traffic saltella amplificando la portata del brano. È la fine, il gruppo saluta e va a respirare dopo aver alzato la temperatura di un Traffic anche provvisto di aria condizionata. Sono fuori, fanno foto, sorridono, battono cinque. Ma l’eco del cadenzato coro ‘one more song!’ li riporta dentro! Ecco quindi arrivare “Throw Up” per la chiusura definitiva della performance. La luna di miele fra i Red Fang e Roma continua. Se suonassero anche stasera torneremmo tutti quanti. E forse saremmo anche di più.