28/11/2014 - REDEMPTION FESTIVAL 2014 @ Dublin Academy - Dublino (Irlanda)

Pubblicato il 03/12/2014 da

Ad un anno e mezzo dalla prima vittoriosa edizione, Dublino torna ad ospitare il Redemption Festival, l’evento creato dai paladini di casa Primordial per celebrare quella scena underground che da sempre tanto amano. A dispetto di un contratto con la Metal Blade Records e di responsi di critica e pubblico sempre più ampi, la band irlandese ha mantenuto una mentalità da gruppo di nicchia e un forte legame con quel sottobosco che l’ha vista crescere sin dai primi anni Novanta; non a caso, per entrambe le edizioni i gruppi invitati a parteciparvi hanno sempre rappresentato il verbo del vero underground, senza alcun compromesso. Se nel 2013 la manifestazione aveva avuto luogo nella Button Factory, quest’anno questa è stata spalmata su due giorni: il venerdì abbiamo potuto godere di un primo grande evento nell’altrettanto centrale Academy – serata che ha visto i Primordial fare da headliner e presentare il nuovo album “Where Greater Men Have Fallen” – mentre sabato abbiamo fatto il “bis” con The Ruins Of Beverast e una manciata di supporter presso il Voodoo Lounge, locale più piccolo situato lungo il Liffey, il fiume che passa attraverso il centro della capitale. Pur con affluenze diverse, entrambe le serate sono state un assoluto successo, tanto che prevediamo che, nel giro di un anno o di altri diciotto mesi, i Primordial e l’organizzazione proveranno a ripetere nuovamente l’esperienza.

redemption festival 2014

MALTHUSIAN

Rivediamo con piacere i Malthusian, band che dal vivo ci aveva già favorevolmente impressionato l’estate scorsa, quando si era esibita di spalla ai Mystifier a Londra. Questa sera, come gruppo di apertura all’Academy, il quartetto gioca in casa e si vede: la sala è già gremita e molti fra gli astanti sembrano conoscere almeno parte del repertorio. Davanti ad un’audience quindi interessata e partecipe, i Malthusian spargono il loro verbo death-black con inusitata violenza: quest’oggi tutti e tre i membri “di movimento” della lineup si dividono le linee vocali, cosa che amplifica di molto gli sbalzi di umore e il dinamismo dei pezzi, già di per sè piuttosto articolati. Tra fumo, face-paint e un’attitudine davvero malvagia, la band sembra quasi voler rifiutare la nomea di opener, ponendosi davanti al pubblico con una sicurezza e una prepotenza che non lasciano indifferenti. Quello del gruppo è certamente un concerto sopra le righe: cattivo sino al midollo, ma anche lucido nell’esecuzione. Un grande avvio.

DROWNED

I Drowned non vedono il responso della folla calare di intensità: il gruppo è meno noto dei cugini Necros Christos (che hanno dovuto annullare la loro presenza a causa di un infortunio), ma riesce a chiamare a raccolta tutta la frangia prettamente old school dei presenti, che sin dalle prime battute paiono gradire parecchio il death metal di cui il terzetto di Berlino è artefice. Rispetto ai Malthusian, ci si muove su registri maggiormente novantiani, con riff più nitidi e ritmiche più ragionate, ma anche in questa sede appaiono comunque nette quella componente ritualistica e quell’atmosfera magica che abbiamo avuto il piacere di assaporare sull’ultimo “Idola Specus”. I Drowned, inoltre, godono di suoni davvero pieni e compatti quest’oggi, cosa che mette fan e semplici ascoltatori nelle condizioni di gustare e/o decifrare al meglio tutti gli ingredienti di una proposta scarna solo in apparenza. Nessuno bada troppo alla presenza scenica limitata di G.ST e Tlmnn, non vi è un momento nei quaranta minuti del set in cui il pubblico non si dimostri incuriosito, tanto che per alcuni i Nostri saranno la sorpresa della serata, mentre per altri un’ottima conferma. Comunque la si veda, l’esibizione lascia indubbiamente il segno.

DEAD CONGREGATION

Gli autori di quello che molto probabilmente è il disco death metal dell’anno non si fanno attendere molto. I Dead Congregation sono un gruppo di notevole sostanza anche sotto questo aspetto: non necessitano di soundcheck eterni o particolari introduzioni per aprire una voragine all’interno dei locali che li ospitano. Questa sera non fa eccezione: i greci si preparano a suonare e si presentano senza alcuna cerimonia, consapevoli che appena partirà il primo riff nessuno avrà più voglia di parlare. Il gruppo ha da sempre il pregio di riuscire a conferire al classico suono di matrice Incantation/Immolation un alone di mistero a dir poco contagioso, il quale viene però sempre supportato da una buona pulizia nei suoni e da un’esecuzione limpida e precisa. I Nostri vengono spesso accostati ai Grave Miasma, ma se questi ultimi dal vivo preferiscono rendere la performance una bolgia infernale, dove urla, drumming e chitarre si confondono tra loro, irretendo alcuni ma magari annoiando altri, i Dead Congregation, dal canto loro, sembrano rivendicare una più spiccata affinità con la cosiddetta vecchia scuola; ciò significa che i riff e i brani tutti riescono sempre a farsi distinguere e che l’esibizione non è solo vorticosa, ma anche potente  e letale, tanto nei suoni quanto nell’interpretazione. All’ultimo Kill-Town Death Fest i ragazzi di Atene avevano lasciato tutti a bocca aperta con una prova praticamente perfetta e in quel di Dublino la storia si ripete: in campo death metal, quest’anno non ricordiamo show altrettanto intensi.

PRIMORDIAL

Dopo tre death metal band una più agguerrita dell’altra, c’è quasi il rischio che i “melodici” Primordial facciano la figura del cosiddetto pesce fuor d’acqua proprio al loro festival! Ipotesi divertite che ovviamente non trovano alcun riscontro una volta che il quintetto irlandese irrompe sul palco: questo è il loro evento, la loro festa e il pubblico accorso è prima di tutto qui per Nemtheanga e compagni, i quali come previsto vengono accolti da trionfatori. Abbiamo ormai perso il conto di tutte le volte che abbiamo visto il gruppo dal vivo: solitamente, più passano gli anni, più ci ritroviamo a fare i conti con un velo di noia; non è però il caso degli show targati Primordial, che, anzi, col tempo ci sembrano diventare sempre più appassionanti. Sarà per la caratura dei dischi rilasciati nell’ultimo decennio, per il maggiore affiatamento in seno alla lineup o per la definitiva esplosione del succitato Nemtheanga nel ruolo di frontman e guida… resta il fatto che non ci ritroviamo stanchi neanche quando la lancetta segna due ore dall’inizio del concerto. Eravamo entusiasti un anno e mezzo fa e lo siamo anche questa sera, tanto che in questa sede potremmo quasi arrivare a riciclare le parole usate per descrivere lo spettacolo di allora. Come ovvio, la scaletta dello show è però diversa: molti sono gli estratti dal nuovo “Where Greater Men Have Fallen”, a partire dalla title track, che apre l’esibizione confermandosi uno degli episodi più immediati e corali del repertorio dei Nostri. Irresistibile il suo ritornello, tanto che ci tornerà alla mente anche più in là nella serata. Ma chiaramente non mancano all’appello altre vecchie e nuove perle: finalmente torniamo a gustare “Sons Of The Morrigan”, assente dalle setlist degli ultimi tour, mentre si conferma una garanzia “As Rome Burns”: “Sing, Sing, Sing to the Slaves, Sing to the Slaves that Rome Burns…” sibila il cantante e il pubblico tutto lo segue immediatamente con un coro da brividi. Alla sorpresa di “Autumn’s Ablaze” – a dir poco antica se paragonata al resto dei pezzi proposti – risponde quindi “The Coffin Ships”, ormai diventato un assoluto classico, che da qui alla fine della band difficilmente verrà escluso dalle scalette. In due ore riusciamo ad assaporare tutta la gamma di impronte del suono Primordial, da quella più epica e “da stadio” a quella più cupa, underground e maggiormente memore del background extreme metal. In tutto questo veniamo condotti da un Nemtheanga un filo più cordiale del solito: se a volte in passato dal suo modo di stare sul palco emergevano soltanto risentimento e aggressività, quasi come se il Nostro non fosse del tutto in pace con sè stesso, oggi il cantante irlandese appare più sereno, come se fosse il primo a vedere il concerto come una grande festa. Una cosa, quest’ultima, che lo porta ad avvicinarsi ulteriormente ai grandi frontman metal del passato, dei quali sembra sempre più un degnissimo erede. Alla fine dei conti, l’impressione lasciata dai Primordial al termine della prima serata di questo Redemption Festival 2014 è quindi altamente positiva: oltre a sfornare grandi album, i cinque di Dublino sono ora sempre più capaci di dar vita a concerti profondi e curatissimi. Non manca loro nulla per affermarsi definitivamente nell’olimpo metal.

DREAD SOVEREIGN

La seconda giornata del festival si apre in verità con gli show di Vircolac e Wizards Of Firetop Mountain, ma non riusciamo ad entrare nel Voodoo Lounge in tempo per assistere alle loro prove. Ci danno invece il benvenuto i Dread Sovereign, side-project di Nemtheanga dei Primordial, che propone un doom classico tra Reverend Bizarre, Trouble e, ovviamente, Black Sabbath. Il debutto “All Hell’s Martyrs” è uscito qualche mese fa e ha ottenuto discreti riscontri nell’underground, cosa che trova conferma nella performance di questa sera, seguita da molti con inaspettato entusiasmo. Il frontman in questo contesto decide di cantare con una voce più nasale ed è impegnato anche al basso, mentre alla chitarra e alla batteria troviamo rispettivamente Bones dei suddetti Wizards… e Simon O’Laoghaire dei Primordial. Il cosiddetto power-trio non manca di presenza scenica, con Nemtheanga che pare divertirsi particolarmente nel ruolo di bassista, ma anche l’esecuzione non lascia campo a dubbi. Al massimo, si potrebbe dire che la proposta in sè non sia più di tanto sconvolgente, ma i brani – che sembrano avere pochi punti deboli a livello formale – comunque divertono il pubblico e alla fine del set nessuno osa lamentarsi.

BOLZER

Quest’anno abbiamo visto i Bolzer praticamente ovunque e solo in quel di Londra il duo non è riuscito a convincerci del tutto (in gran parte a causa di suoni lungi dall’essere ottimali). Questa sera, in veste di pre-headliner della seconda serata del Redemption Festival 2014, è invece ancora il caso di spendere buone parole nei confronti di KzR ed HzR, che ormai anche dal vivo interpretano la loro particolare miscela di black e death metal con una disinvoltura inaudita. Ancora una volta, sembra che i Nostri siano almeno tre sul palco: il suono è corposo e assolutamente naturale e KzR abbina ad una stazza imponente – che annulla qualsiasi problema di “presenza scenica” – una indubbia cura dal punto di vista dell’esecuzione vocale e strumentale. Non siamo al livello di “È come sentire il disco a casa”, ma in certi momenti la differenza non è poi tanto grande. Speriamo che un full-length o un altro EP sostanzioso arrivino presto, perchè la scaletta che il duo propone gira e rigira è ormai sempre la stessa, visto il repertorio ancora limitato, ma lungi da noi fissarci troppo su questo aspetto: dopo tutto è e sarà sempre un piacere ascoltare una “Entranced by the Wolfshook” o una “Steppes” suonate con questa precisione e questo ardore.

THE RUINS OF BEVERAST

La fornace dell’arena esterna dell’ultimo Maryland Deathfest non ci aveva permesso di apprezzare in pieno il concerto dei The Ruins Of Beverast, ma questa sera è tutta un’altra storia: al chiuso, con il favore delle tenebre e dei suoni più curati, i black-doom-death metaller tedeschi fanno assolutamente la loro figura. Non ci stancheremo mai di ripeterlo: certe band non possono suonare di giorno, per giunta in un parcheggio. Il Redemption Festival ha invece messo i The Ruins… nelle condizioni di potersi esprimere al meglio. In un contesto come questo, quasi non si bada al fatto che i brani della formazione abbiano una durata media di dieci minuti e siano spesso ancorati a ritmiche doom. Al contrario, li si apprezza proprio per la loro profondità e maestosità; ci si lascia affascinare dai solenni tappeti di tastiera, ci si fa schiacciare dalle partiture più heavy ed opprimenti e, in generale, si assapora il particolare gusto compositivo di Alexander von Meilenwald, mastermind di questo progetto, musicista che in circa un decennio è riuscito a creare un mondo dove gotico ed estremo convivono con grande classe e compostezza, senza mai scadere in quella ampollosità che è spesso marchio di fabbrica di parte della scena black o “sinfonica”. Chiaramente, coloro in cerca di musica “da headbanging” non potranno mai gradire più di tanto una band come i The Ruins…, ma l’avventore medio del Redemption Festival pare essere sulla stessa lunghezza d’onda dei tedeschi, visto che, dopo tutto, anche gli stessi Primordial non sono certo la formazione più easy listening della scena metal. Il concerto si dipana quindi senza alcun intoppo, regalando giusto una manciata di brani, che però arrivano ad occupare quasi un’ora. Suggestive luci azzurre avvolgono la band per quasi l’intero show, che si conclude con una “Malefica” da applausi. Avevamo fatto bene a sospendere il giudizio sulla resa live dei The Ruins… dopo lo scempio del Maryland Deathfest: questa è a tutti gli effetti una realtà in grado di impressionare tanto su disco quanto sul palco, se messa nelle giuste condizioni.

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