Introduzione a cura di Giovanni Mascherpa
Report a cura di Davide Romagnoli
Fotografie di Francesco Castaldo
“Freedom”, libertà. C’è un motivo se l’ultimo disco dei Refused ha questo titolo. I Refused sono un inno alla libertà, ne fanno un vessillo, oggi come ieri. A diciassette anni dal capolavoro epocale “The Shape Of Punk To Come”, hanno avuto il coraggio di riproporsi sotto una veste molto diversa, nella quale vi è comunque ancora traccia di quell’irrequietezza, quello sprezzo delle convenzioni e quella spinta rivoluzionaria che ne ha reso leggendario il percorso artistico. “Freedom” non è stato accolto con calore dai fan della formazione svedese, solo una minoranza ne ha accettato il messaggio, la nuova ricetta musicale è forse troppo frammentaria e distaccata dal passato per consentire un parere positivo su larga scala. Pazienza. Restano i live, terreno congeniale ai Refused ancora più delle prove in studio. Chiunque abbia avuto la fortuna di rivedere Dennis Lyxzén e compagni all’opera tre anni fa, quando ripresero a suonare costantemente sui palchi, sa cosa aspettarsi e non vede l’ora di ripetere l’esperienza. Chi ha visionato solo qualche filmato su Youtube, un’idea se l’è fatta. E freme per avere una conferma delle positive vibrazioni emanate da quelle immagini. Il Live di Trezzo, date le premesse, gode quindi di un’affluenza più che discreta in quest’occasione. Precorrendo quella che sarà la fedele cronaca e il commento della serata, una volta avuta contezza dell’attuale stato di forma dei ragazzi di Umeå, vi confidiamo che se non avete partecipato al concerto perché poco convinti dall’ultimo album, avete commesso uno degli errori peggiori di questo 2015. Quindi leggete con attenzione, mangiatevi le mani e sperate che i Refused ripassino a breve dall’Italia. Vi abbiamo avvertito.
LOVE IN ELEVATOR
Un gruppo stile Aerosmith prima dei Refused? Ma dai. Per fortuna, per chi non conosceva i Love In Elevator, si tratta solo di un vizio di forma. Il nome della band prende invece dagli acid rocker Love di Arthur Miller e gli psichdelici 13th Floor Elevators di Ricky Erikson. Retaggio anni ’60 per un progetto tutto al femminile fondato da Anna Carazzai, Michela Modesto e Anna Giulia Volpato, che stasera però presenta la formazione a trio con Anna (voce e chitarra), Michela (basso) e Andrea (batteria). Il suono dei Nostri si avvicina molto alle sonorità più anni Novanta che a quelle degli anni ’60, come il nome tenderebbe a suggerire: quelle di Juliette Lewis, Babes In Toyland e dei Sonic Youth, per essere più precisi. Brani come “Oh Di Vuh” dall’intrigante album “Re Pulsion” del 2008 (da riscoprire), sembrano riportare a quel sound grezzo e grunge che ha fatto la fortuna anche in territorio italico (Afterhours e Verdena), ma che ricordano anche un qualcosa di più aggressivo à la Lydia Lunch. I ‘ragazzi dell’ascensore’ sembrano non soffrire troppo la situazione da gruppo-spalla e offrono una bella prestazione, convincente ed interessante, probabilmente abituati a gestire situazioni di questo tipo, visti gli ormai dieci anni di attività e le presenze a numerosi festival (come l’All Tomorrow’s Parties) e le date con Mudhoney, Meat Puppets e molti altri. Piacevole sorpresa.
REFUSED
“Siamo felici di vedere finalmente qualcuno che capisce chi siamo e che non ci guarda come sconosciuti. Nelle date coi Rise Against mi guardavano tutti come se fossi una sorta di GG Allin”. Così Dennis Lyxzén ispira la platea di un Live Music Club non stracolmo, ma comunque contenente lo zoccolo duro dei fan della band di Umea. Molti infatti hanno deciso di dimenticarseli: dopo la loro fine, dopo il loro ritorno di qualche anno fa e dopo soprattutto un album di comeback discografico come “Freedom”. I Refused di questa sera sembrano però scrollarsi di dosso tutte queste considerazioni come se fosse polvere da una vecchia giacca elegante tenuta nell’armadio. Rimossa questa polvere con qualche pacca, ecco che diviene obbligatorio ridare a Cesare ciò che è di Cesare. E ai Refused ciò che gli appartiene di diritto. Applausi. La band è straordinariamente in forma e mischia nel suo cocktail esplosivo i grandi brani di “The Shape Of Punk To Come” e quelli del nuovo “Freedom” come se nulla fosse, come se fossero solo passati pochi anni l’uno dall’altro. E’ vero che si è esaurita l’alchimia della rabbia di anni fa, della genialità, della schizofrenia, dell’energia, dell’hardcore da pogo e stage diving, della lotta al capitalismo attraverso sudore e sputi e sangue e amplificatori spaccati, ma è anche vero che sono finiti quei sette anni di vita della band negli anni Novanta. Al Live Music Club c’è un’alchimia nuova, una rabbia programmata, un’energia di esperienza, una genialità conscia del suo passato e capace di sostenerlo, una schizofrenia che rimane nelle partiture perfettamente eseguite, uno stile che ricerca un nuovo tipo di impatto. Sicuramente inferiore al mito dei Refused. Sicuramente meno significativa a livello di Storia della Musica. E sicuramente ed inequivocabilmente degna di essere applaudita senza il minimo dubbio. Il concerto di Trezzo farà breccia nei cuori dei presenti e verrà messo sulla teca dei ricordi che ognuno può avere con la band di Umea. Di molto superiore agli spettacoli di reunion in quanto ad energia ed esecuzione, lo show ci fa ricordare cosa vuol dire “Rather Be Dead” cantata in mezzo alla gente. E se la musica dei Refused è cambiata è anche perchè il pubblico è cambiato e i tempi sono cambiati. Difficile mantenere ancora sopra di sè il frontman per lo stage-diving. E questo diviene simbolo non tanto della mancanza di calore del pubblico, ma di un gradimento nuovo, di compiacimento più distaccato e da lontano. Poco si potrà dire dei Refused, ma di certo che hanno sempre visto lucidamente cosa succedeva intorno a loro. Quando la gente si accalcava sotto il palco e si rilanciava sugli altri non aveva nè Spotify, nè l’Iphone per le foto, nè il tempo per rivedere il concerto la sera stessa su Youtube. Altri tempi. Altro pubblico. Altra musica. ‘Freedom is not free’ continua a ripetere Lyxzèn, parlando di concetti come responsabilità, rispetto ed umanità. E in questo senso la ripresa di “Francafrique” riesce ad integrarsi con “The Deadly Rhythm” di “The Shape Of Punk To Come”, “War On The Palaces” a “Coup D’Etat” di “Songs To Fan The Flames Of Discontent”, e “Thought Is Blood” di “Freedom” con “Summerholidays Vs Punkroutine”. Forse non nello stereo ma su un palco di uno show dei Refused – la stessa band – del 2015, quello sì. Sandstrom, Steen, Björklund e il nuovo Barjed alla chitarra sono precisi ed espressivi, carismatici ed energetici e supportano occhi ed orecchie in direzione dell’ormai capitano della barca Dennis Lyxzèn, che diventa una sorta di Nick Cave del punk in giacca e movenze da ballerino hardcore. I suoni sono più puliti di un tempo, le canzoni non hanno sbavature e l’impatto è meno potente del passato. Ma, ancora una volta, imprescindibile da applausi incondizionati, liberi da ogni pregiudizio di forma, di cuore, di ricordo o di fanatismo. Refused ain’t fuckin’ dead.