A cura di Elena Pavan
Fotografie di Enrico Dal Boni
Rise up. Un pugno. Te stesso contro il sistema. Pancia in dentro. Petto in fuori. Schiena dritta. Alza la voce. Be against, but stay together. Sono queste le parole che continuano a girarci in testa venerdì sera mentre ci lasciamo alle spalle un Estragon che da un bel po’ non vedevamo così pieno durante una serata alternative.
RAISED FIST
Confessiamo di essere arrivati al locale con uno stato d’animo un po’ incerto. I giorni della “Battle of Seattle” sono lontani vent’anni o quasi, le grandi proteste del 2003 più di dieci… Essere “contro” ormai è diventato di moda e ci si domanda se sia ancora possibile tenere un pugno alzato o prendere una posizione con lo stesso orgoglio e la stessa spregiudicatezza che si aveva un tempo. All’entrata del locale, ecco poi l’ansia di affrontare gli effetti malefici del tempo che passa: l’ammorbidimento dei modi, la commercializzazione dei repertori, l’affievolimento delle convinzioni… Ma poi, in un attimo, tutto sparisce, spazzato via dalla fisicità e dalla forza sonora dei Raised Fist. Corrono, saltano, si ergono statuari ed imponenti al di sopra del pubblico che continua ad aumentare. È una performance fatta di una vocalità non sempre perfetta ma comunque incisiva, di un suono potente e, quel che più è importante, di una costante sintonia ed interazione con l’audience. Probabilmente i critici di “From the North” non hanno tutti i torti: di recente, i Raised Fist hanno imboccato una strada differente rispetto a quella fin qui percorsa e non sempre la loro marcia procede spedita e liscia. Un urlatore professionista con esperienza più che ventennale potrà mai “cantare”? Probabilmente no. Un gruppo che per anni è stato un vero e proprio hallmark dello “spacca tutto senza paura” può gestire linee melodiche più morbide? Probabilmente no. Ma, a dirla tutta, chissenefrega. I Raised Fist non sono mai stati dei puristi, anzi. Sbavano, sbagliano, spaccano e ricostruiscono da sempre. Certo, anche loro sono diventati “adulti” – ci danno buoni consigli (“Vivetevi la vostra cazzo di vita fuori da Facebook. Non inseguite questi cazzo di like”), ci parlano dei loro figli. Ma ci sta tutto: as time goes by, i Raised Fist crescono, cambiano, sperimentano – come dovremmo fare tutti. Non sempre le contaminazioni cui si aprono danno i frutti migliori. Poco male: si tratta soltanto di piccoli episodi all’interno di una performance comunque forte.
RISE AGAINST
Quando poi il palco lo prendono i Rise Against, l’energia generata nella prima parte della serata esplode. C’è subito una sorpresa: sono in cinque sul palco – Tim McIlrath, infortunato al polso, non molla la data e passa la chitarra ad un quinto membro per guidare lo show. Si apre con “The Great Die Off”, ma chi pensa (o teme, piuttosto) che tutto il concerto sia dedicato all’ultimo lavoro “The Black Market” deve subito cambiare idea: la serata è un viaggio continuo tra le tracce migliori di “The Suffer And The Witness”, “Siren Song Of The Counter Culture”, “Endgame”, “Appeal To Reason”, “Revolutions Per Minute”. Si torna quindi subito a dieci anni orsono con “The Good Left Undone” ed il suo indimenticabile core, che carica i presenti al punto giusto, per poi passare a “Satellite”…e il pubblico a questo punto è carico a dovere. Si continua con “Give It All” e all’improvviso ci troviamo tutti insieme stipati nel piccolo treno di Chicago in cui venne girato il video. Seguono “Dirt Whispered”, “Re-Education” e “Survive”, quest’ultima decisamente condivisa tra il palco e l’audience. Si torna poi a “The Black Market” con “I Don’t Want To Be Here Anymore”, e ci sembra di sentire un trasporto speciale venire dallo stage: la memoria dei fatti dell’Umpqua Community College in Oregon è ancora fresca e i Rise Against da sempre stanno in prima linea per il controllo delle armi. Il ritmo cala leggermente, ma non rallenta, su “Collapse” e “Make It Stop”, ma è solo un prendere un po’ di fiato: con “Prayer Of The Refugee” e “Help Is On The Way” si tocca il punto più alto della serata. Un tuffo all’indietro, ancora una volta, per tornare a “Black Masks And Gasoline” e poi, in chiusura, una corale “Ready To Fall”. Una performance generosa, quella dei Rise Against. Polso rotto o no, Tim McIIlrath non si risparmia e dopo aver partecipato ad una sempre splendida “Hero Of War” regala anche una versione solo di “Swing Life Away”, prima di chiudere con “Dancing For Rain” e l’immancabile “Savior”. Anche in questa seconda parte della serata non tutto è perfetto: mentre viaggiamo nei ricordi, ci accorgiamo più volte che si fa fatica a mantenere i livelli alti come un tempo. E forse sì, in generale il tempo passa, le voci non reggono, ci si riprende anche se, purtroppo, indietro non si torna. Poco male, perché in definitiva si va avanti a testa alta. Un buono show, nel complesso. Non il migliore, ma è stato un tempo buono, di qualità, energizzante.