11/05/2024 - RISE FROM THE GRAVE FESTIVAL @ Campus Industry Music - Parma

Pubblicato il 18/05/2024 da

Report di Giacomo Slongo
Foto di Benedetta Gaiani

Rise from the Grave, ossia l’evento principe dell’annata death metal italiana. Certo, fra qualche mese assisteremo al ritorno in pompa magna dei Cannibal Corpse in quel dell’Alcatraz di Milano (accompagnati da Municipal Waste, Immolation e Schizophrenia), ma il carattere esclusivo del mini-festival parmense, dato ovviamente dalla presenza in cartellone dei Dismember, assenti dai nostri palchi da quella che potremmo definire un’era geologica, ha subito conferito alla data di sabato 11 maggio un sapore nostalgico e speciale.
Un salto nella Svezia più influente e abrasiva degli anni Novanta/Duemila, con la leggendaria band di Stoccolma – Estby/Blomqvist/Sennebäck/Kärki/Cabeza! – scortata da un pre-headliner del calibro dei Vomitory (ancora sull’onda del successo del comeback album “All Heads Are Gonna Roll”) e da un drappello di gruppi magari non irripetibile, ma comunque sufficientemente vario e decoroso per intrattenere i presenti (tra le settecento e le ottocento persone, a occhio) durante il lungo antipasto di giornata.
Detto di una location – il Campus Industry Music – come sempre funzionale e ben distribuita fra outdoor e indoor, di un impianto audio all’altezza della situazione (anche se forse un po’ troppo ‘sparato’) e di un corollario di dettagli fondamentali nella cornice di un festival (dalla presenza di distro alla possibilità di svolgere meet & greet con gli artisti), il Rise from the Grave non ha insomma deluso le aspettative dei fan accorsi da tutta Italia per riabbracciare (o ascoltare per la prima volta, nel caso dei più giovani) gli autori dei vari “Like an Everflowing Stream” e “Massive Killing Capacity”, autori di una performance maiuscola e sentitissima di cui la gente, ne siamo certi, non potrà che parlare a lungo.
Ma vediamo meglio com’è andata…

Il tempo di rifiatare dal viaggio in macchina, reidratarsi con una birretta e godersi il clima primaverile nel dehor del locale, ed è già ora di entrare per assistere allo show dei DEAD CHASM, qui all’ennesima data live di una carriera fattasi ormai piuttosto intensa.
Potendo contare su suoni potenti e definiti, la band lombardo-veneta impiega davvero poco per farsi segnalare come un’opener di livello, colpendo dapprima l’attenzione grazie alla prova al microfono della cantante/chitarrista Lorenza e alla pesantezza del comparto strumentale – colata lavica a base di Mortiferum, Krypts, e Dead Congregation – e poi per l’effettiva qualità dei brani, soltanto all’apparenza statici e ricchi di dettagli avvolgenti, nel pieno rispetto della corrente death/doom contemporanea. L’autorevolezza dei maestri è ovviamente su un altro pianeta, ma, proprio come su disco, il trio composto da ex e attuali membri di Daemoniac, Fuoco Fatuo e Psychotomy si difende bene, per quello che – senza troppe sorprese – finirà per essere ricordato come il set più opprimente e denso della giornata. Un buon avvio.
Senza cattiveria, diciamo subito le cose come stanno, ossia che un gruppo come i CADAVERIC CREMATORIUM, all’interno del bill del Rise from the Grave, era parso fin dal suo annuncio come un pesce fuor d’acqua, e i fatti non ci hanno smentito troppo.
D’altronde, pur bazzicando le scene dalla metà degli anni Novanta, il quintetto bresciano non ha mai avuto niente a che vedere con la scuola tradizionale del genere, e il suo death metal venato di grind e hardcore, fra Cannibal Corpse, Dying Fetus e primi Cattle Decapitation, finisce per cozzare tremendamente con l’immaginario ruvido e borchiato del resto della manifestazione, trasmettendo più un senso di inadeguatezza rispetto al contesto che di ‘break’ fra una chitarra-motosega e l’altra. Ragionamenti estetico-stilistici a parte, il vero limite della scaletta è comunque rappresentato dai brani, i quali (al netto di un’alternanza di voci in growling/screaming notevole e di un ottimo livello tecnico) sembrano accartocciarsi su loro stessi con il passare dei minuti, fra strutture un po’ confusionarie e una vena parodistica alla lunga stucchevole (basti sentire “Nessun muoia”).
Forse, in un’altra circostanza l’effetto sarebbe stato diverso, ma mentiremmo definissimo la prova degli autori di “Zombology” un colpo messo a segno.
Prima realtà internazionale chiamata ad esibirsi sul palco del Campus Industry Music, i PESSIMIST sono il classico nome per fanatici e completisti del death metal americano più tirato, sferragliante e radicato nella tradizione degli anni Novanta. Musicisti in attività da una vita (al netto di qualche scioglimento), che vanno avanti incuranti delle mode e delle sfighe e che saltuariamente ricordano a tutti di esserci ancora, in questo caso imbarcandosi in una breve tournée europea in compagnia dei nostrani Demiurgon.
Una formazione che, dal punto di vista della proposta e dei valori underground, potremmo inserire nel medesimo, barbaro calderone di Angelcorpse, Diabolic e Nunslaughter, in grado anche in quel di Parma di ovviare al limite di una scrittura non sempre eccelsa (c’è un motivo, in fondo, se i Nostri sono sempre rimasti nelle retrovie) a colpi di ferocia e compattezza tipicamente a stelle e strisce. Le derive thrasheggianti di parte del materiale, mutuate dai primi Morbid Angel (e quindi dai primi Slayer) e tradotte in parentesi ignoranti e lineari, fanno poi il resto per ‘acchiappare’ il pubblico, il quale finisce per tributare al quartetto di Los Angeles un apprezzamento che sembra andare oltre il ‘folklore’ dato dal look a base di borchie e crocifissi rovesciati.
Li aspetteremo al varco del nuovo, pluri-rimandato album su Season of Mist, qui rappresentato dalla convincente “Hell’s Eve”.
Potevano forse mancare i DISTRUZIONE, ad un evento come il Rise from the Grave? Una presenza telefonatissima ma confortante, vuoi perché Parma è da sempre il quartier generale di Devid Roncai e compagni, vuoi per le ovvie influenze svedesi di dischi come “Pianeta Dissolvenza” e l’omonimo del 2015, e che nella prima serata di sabato si è tradotta nell’ennesimo, solido show da parte dei death metaller nostrani.
Reduci dall’esperienza pomeridiana (e alcolemica) del Bus 666, i cinque si rendono protagonisti di una scorribanda durante la quale, per circa tre quarti d’ora, le ‘hit’ della discografia vengono snocciolate con l’ardore e la dimestichezza di chi, nel proprio piccolo, ha contribuito alla diffusione di certi suoni slabbrati sul suolo nazionale, partendo dal robusto death/thrash degli estratti di “Olocausto Cerebrale” ed “Endogena” per arrivare allo swedish death metal a 360° dei lavori successivi, fra distorsioni, omaggi a gruppi come Unleashed, Evocation e Dismember (ovviamente!) e testi in lingua madre non troppo distanti da quelli dei mitici Cripple Bastards.
Una prova genuina e ‘di sostanza’, insomma, com’era lecito aspettarsi dai Distruzione in un contesto del genere, e che gestita a menadito da Roncai (frontman esperto e coinvolgente) ha spianato la strada ai cosiddetti pezzi forti del festival, ormai attesissimi da tutti i presenti.
A conti fatti, non è trascorso molto tempo dall’ultimo calata in Italia dei VOMITORY (ottobre 2023, tour del quarantennale dei Vader), ma il quartetto originario di Karlstad è il classico nome che in questo momento può permettersi visite multiple del genere senza perdere nulla in termini di hype e prestigiosità agli occhi del pubblico death metal.
D’altronde, la ‘fame’ generata dal lungo ritiro dalle scene non è stata ancora placata (anche perché, nel frattempo, nuove generazioni di ascoltatori si sono affacciate sul mondo dei live senza aver mai visto uno show dei Nostri), e se a questo aggiungiamo un ritorno tranquillamente ascrivibile agli episodi migliori della discografia – il già citato “All Heads Are Gonna Roll” – il fermento e la calca all’interno della venue sono presto detti e giustificati.
Viste la lontananza dal palco e l’inedita pelata, non riusciamo a capire se alla chitarra solista stia suonando Christian Fredriksson o il sostituto Peter Östlund, ma sorvolando su questo dettaglio, nella prova dei Vomitory, tutto sa come sempre di casa e familiarità: dal growling viscerale del cantante/bassista Erik Rundqvist al guitar work grasso e deragliante (debitore di una moltitudine di scuole death metal e death/grind), passando per i bpm lancinanti di Tobias Gustafsson dietro le pelli, ogni cosa è esattamente come ce la si aspetta e come dovrebbe essere, all’insegna di una concretezza palpabile e di un impatto debordante.
Scaldate le motoseghe con la title-track dell’ultimo album, gli scandinavi abbassano la testa, chiudono gli occhi e si lanciano in un set serratissimo attingendo da un po’ tutto il loro repertorio, fra episodi recenti (“Piece by Stinking Piece”, “Raped, Strangled, Sodomized, Dead”), mediani (“Terrorize Brutalize Sodomize”, “Possessed”) e antichi (del tutto inaspettata l’esecuzione di “Raped in Their Own Blood”, dall’omonimo disco del ‘96), finendo per suonare meno dei settantacinque minuti previsti (scelta fisiologica, data l’intensità della proposta) ma lasciando esausto e soddisfatto praticamente ogni spettatore in sala. Da qualsiasi angolazione si decida di osservarlo, un concerto esemplare.
Si resta quindi in Svezia con gli headliner della manifestazione, di ritorno nel Bel Paese dopo un’assenza di circa vent’anni (novembre 2006 al Transilvania Live di Milano, se Internet e la memoria non ci traggono in inganno).
Da allora, ovviamente, tante cose sono cambiate (inclusa la formazione, dalla reunion del 2019 tornata ad essere quella storica), ma non il fascino e la rilevanza intrinsechi al moniker DISMEMBER, da sempre considerabili, insieme ai compianti Entombed, come la realtà più grande e influente del movimento death metal di Stoccolma. Un livello di considerazione guadagnato sul campo, e che anche oggi – al netto di richieste economiche importanti, quando non addirittura esagerate – continua ad essere giustificato da show degni dei cosiddetti tempi d’oro e del prestigio dei musicisti coinvolti, per una prova che, nel caso specifico di Parma, merita di finire tra gli highlight estremi dell’anno.
Le osservazioni maturate da chi scrive in occasione del Netherlands Deathfest 2022 e del Graveland Festival 2023, di fatto, hanno trovato qui una nuova, roboante conferma, se possibile rafforzata dalla dimensione più intima del locale e da una scaletta in grado fin da subito di regalare grosse sorprese. Eravamo pronti alla solita, graditissima scorpacciata di classici (che infatti non sono mancati, con una “Pieces” in apertura a mettere subito in chiaro le cose), ma ciò che ha reso davvero memorabile la data al Rise from the Grave è stata la scelta del quintetto di rispolverare chicche semi-dimenticate e – soprattutto – brani provenienti da lavori che in tutta onestà non pensavamo sarebbero stati presi in considerazione da Cabeza e compagni.
Se le arie maideniane di “Tragedy of the Faithful”, da “Where Ironcrosses Grow”, hanno lanciato un segnale importante, e l’incedere roccioso di “Europa Burns”, dal disco omonimo, ha fatto drizzare definitivamente a tutti le antenne, le successive “When Hatred Killed the Light”, “Hate Campaign” e “Life – Another Shape of Sorrow” sono state il classico colpo da maestri per la vittoria, supportata come da tradizione recente da una resa dei singoli incurante dello scorrere degli anni (e dei chili guadagnati nel frattempo, nel caso di Kärki). “A night to remember”, ripete più volte il frontman. E come dargli torto?

Setlist:

Pieces
Bleed for Me
On Frozen Fields
Tragedy of the Faithful
Fleshless
Of Fire
Europa Burns
Skin Her Alive
Time Heals Nothing
Casket Garden
When Hatred Killed the Light
Override of the Overture
Hate Campaign
Dreaming in Red
Where Ironcrosses Grow
Life – Another Shape of Sorrow
Dismembered
Skinfather

DEAD CHASM

CADAVERIC CREMATORIUM

PESSIMIST

DISTRUZIONE

VOMITORY

DISMEMBER

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