Report di Alessandro Elli
Foto di Simona Luchini
I Riverside sono, ormai da anni, una delle realtà più solide quando si parla di progressive rock/metal: nato nel 2001 a Varsavia, il quartetto è in tour per promuovere l’ultimo album “ID.Entity”, uscito all’inizio di quest’anno, l’ottavo tassello di una discografia diventata corposa ed ennesimo successo di una band che non ha mai smesso di cambiare, forte di una capacità compositiva ed una sensibilità lirica fuori dal comune.
Ad accompagnarli , gli olandesi Lesoir, già visti proprio con i polacchi non molti anni fa al Magnolia, fautori di un progressive rock elegante e delicato e, anche se forse non molto noti al grande pubblico, sicuramente apprezzati dai cultori di queste sonorità.
Purtroppo l’affluenza non sarà delle migliori, probabilmente per la frequenza con cui i Riverside hanno suonato nel nostro Paese negli ultimi tempi (l’ultima apparizione proprio al Live Club di Trezzo esattamente un anno fa) e per la concomitanza di altri eventi. Nonostante ciò, la serata non deluderà le aspettative: vediamo come è andata.
I LESOIR si presentano puntualissimi sul palco del Live Club, quando ancora la presenza del pubblico è ridotta ai minimi termini. La band di Maastricht è un quintetto, con alcuni elementi che suonano più strumenti, ma si vede fin dalle prime note che la personalità di spicco è Maartje Meesen, che si occupa della voce oltre che di tastiere, flauto, chitarra elettrica ed acustica, mentre il contributo dell’altro fondatore, il chitarrista Ingo Dassen, e della polistrumentista Eleën Bartholomeus è concreto ma meno appariscente.
La musica degli olandesi è un progressive rock fragile e raffinato, nella cui economia i silenzi contano quanto le rare accelerazioni; a dominare sono le tinte tenui e le atmosfere oniriche, tanto che anche la cantante, quando presenta i pezzi, lo fa con un filo di voce.
L’impressione è quella di una certa timidezza che limita la resa ma, tra eleganti arrangiamenti e finezze assortite, la loro prestazione si fa più convincente con il passare dei minuti, come se i cinque allentassero la tensione strada facendo, fino ad arrivare al caldo finale con tanto di divagazioni psichedeliche.
Tra alti e bassi, tre quarti d’ora gradevoli, che i pochi presenti mostrano di apprezzare.
I RIVERSIDE hanno un seguito considerevole nel nostro paese, con un pubblico trasversale (la cui età media, guardandosi in giro, forse è piuttosto elevata) che va dagli appassionati del prog più puro a chi ascolta metal nelle sue forme più atmosferiche e complesse ed il loro feeling con il pubblico italiano è testimoniato dalle numerose calate sul nostro territorio fin dagli albori della band e dall’impegno profuso in ognuno di questi show: quello di stasera non farà eccezione.
Che la band sia in ottima forma lo si nota sin dal blocco iniziale, costituito da “#Addicted” e “02 Panic Room”, due brani storici seppur provenienti da epoche diverse, suonati con ardore ed accolti da cori ed applausi.
Ciò che appare immediatamente evidente – ma per chi conosce i polacchi non è una novità – è come Mariusz Duda sia il leader assoluto della formazione, tanto a livello musicale quanto come presenza scenica: il suo basso, suonato con il plettro in alcuni pezzi e a mani nude in altri, è sempre in primo piano, non solo come sezione ritmica ma anche nelle melodie; la controparte è rappresentata dalla estrose tastiere di Michał Łapaj, mentre il chitarrista Maciej Meller (dal 2020 sostituto del compianto Piotr Grudziński ) sembra relegato ad un ruolo da comprimario, e alla batteria Piotr Kodzieradzki suona preciso senza eccedere.
Dopo i primi due pezzi parte la prima presentazione dei quattro musicisti, tutti vestiti di nero e, a seguire, una coppia di estratti dall’ultimo album, ossia “Landmine Blast” e l’orwelliana “Big Tech Brother”, ottimo esempio della profondità tematica del gruppo di Varsavia. L’istrionico cantante coglie l’occasione per spiegarci come “ID.Entity” sia un’opera fortemente incentrata sull’identità dei Riverside stessi, non su altro, e come la scenografia scelta per il tour, ossia una serie di ottagoni che cambiano colore, sia volutamente semplice per non rubare la scena ai protagonisti principali dell’evento.
“Left Out” viene introdotta con autoironia sull’appartenenza alla comunità prog a causa dei suoi cinque minuti di divagazioni strumentali, ma è evidente come uno dei pregi dei polacchi, anche e soprattutto in sede live, sia quello di saper suonare con tecnica e complessità puntando sulla forza espressiva, senza indulgere in inutili virtuosismi. Sotto questa ottica, in “Post-Truth” si notano degli arrangiamenti diversi rispetto alla versione in studio, mentre la lunga “The Place Where I Belong” suona intimista ma anche intricata, e lo stesso si potrebbe dire per “We Got Used To Us”, un perfetto ritratto del mondo moderno, nella speranza che “l’umanità possa essere unita e non polarizzata come lo è in questi tempi“.
L’improvvisa esplosione di “Egoist Hedonist” fa da preludio al brano d’apertura dell’album più recente, quella “Friend Or Foe?” che, ancor più dal vivo, suona come un classico degli anni ’80 irrobustito da massicce dosi di prog (Rush meets A-ha?). Dopo una breve pausa, il gran finale con la robusta “Self-Aware” e con “Conceiving You”, suonata in una versione extralarge, dilatata ed estremamente pinkfloydiana, con Duda incappucciato che chiede a tutti di urlare durante il crescendo finale.
Lo spettacolo termina così, le luci che si riaccendono ed i quattro musicisti si scattano un selfie con il pubblico festante. Non ci sono state sorprese particolari, con una scaletta ben bilanciata tra passato e presente (anche se si è notata la completa assenza del penultimo “Wasteland”) ed uno scenario essenziale, ma con due ore di musica ottimamente interpretata.
Setlist Riverside:
#Addicted
02 Panic Room
Landmine Blast
Big Tech Brother
Left Out
Post-Truth
The Place Where I Belong
We Got Used To Us
Egoist Hedonist
Friend Or Foe?
Self-Aware
Conceiving You
LESOIR
RIVERSIDE