17/03/2019 - RIVERSIDE + LESOIR @ Magnolia - Segrate (MI)

Pubblicato il 26/03/2019 da

Report a cura di Giovanni Mascherpa
Fotografie di Simona Luchini

Come farà simpaticamente notare durante lo show Mariusz Duda (“ci eravamo esibiti di fronte a ottanta persone in un posto pieno di zanzare”, per la precisione il 14 luglio del 2015, in un Lo-Fi effettivamente torrido e invaso da insetti succhiasangue), erano quasi quattro anni che i Riverside mancavano dall’Italia, nonostante nel frattempo si fossero susseguiti diversi tour europei per la formazione polacca. Non era un’intuizione peregrina credere che il nostro paese fosse diventato una meta periferica per i progster di Varsavia, mentre nel resto d’Europa la loro dimensione si è da anni affrancata dall’underground. Il 2019 va finalmente a colmare questo vuoto, con due date della corposa tournée a supporto di “Wasteland”. Il Magnolia si presenta in una cornice di pubblico già accettabile per l’unico gruppo di supporto, gli olandesi Lesoir, e le presenze andranno a crescere ulteriormente per gli headliner, che godranno di un colpo d’occhio nient’affatto disprezzabile. Inoltre, al di là della favorevole impressione numerica, sarà proprio la partecipazione del pubblico, il suo costante fervore per l’intera – abbondante – durata dello spettacolo, uno degli aspetti più positivi di un’ottima serata all’insegna del prog metal più emozionale.

 


LESOIR

Se dovessimo definire con una sola parola i Lesoir, useremmo l’aggettivo ‘intimisti’. Per una notevole fetta del tempo disponibile, la compagine di Maastricht si muove su sonorità sottilissime, come se si muovesse su uno strato di ghiaccio in procinto di spaccarsi e dovesse usare la massima cautela in ogni minimo gesto. L’avvio di concerto, in particolare, si dispiega in lunghe note leggiadre, frutto di quasi impercettibili pizzicate alle corde, corredo minimale alla voce altrettanto contenuta nei modi della singer Maartje Meesen. Pensate ai The Gathering quando hanno smesso di essere una metal band e avrete un primo riferimento per l’operato dei Lesoir. Non che si limitino a questo, altrimenti la loro presenza sarebbe incomprensibile; quando le chitarre entrano in campo con la distorsione inserita, emerge una facciata di prog metal moderno fin lievemente minacciosa e tendente in alcuni riff a una certa cupezza. La band avrebbe anche ardimenti verso la pomposità, udibili in cori opulenti e orchestrazioni squillanti, purtroppo apprezzabili solo per basi già registrate che si affiancano, in maniera un po’ troppo artificiale, a quanto effettivamente suonato. Il fiabesco utilizzo del flauto, ad appannaggio della cantante, le incursioni tastieristiche operate dalla chitarrista e arrangiamenti piuttosto elaborati non hanno purtroppo sufficiente carattere e animosità per elevare a standard di eccellenza l’operato del combo orange. I presenti apprezzano, seppur tiepidamente; dal canto nostro intuiamo alcune discrete qualità ma, vuoi per una performance timida, vuoi per una direzione artistica non proprio chiarissima, non rimaniamo estasiati dagli autori del relativamente recente “Latitude”.

 

RIVERSIDE

La capacità di reinventarsi ad ogni pubblicazione e di pennellare di sfumature inedite e inaspettate la propria musica, dall’impronta chiara ma mai avara di sorprese, si traduce anche live in una caratterizzazione forte del singolo evento. L’impressione di serialità, di semplice riproduzione di se stessi secondo schemi fissi, non sfiora minimamente i Riverside, che approfittano di ogni tour per regalare qualcosa di inedito. Siamo nella fase di promozione di “Wasteland”, e allora “Wasteland” ce lo godiamo quasi per intero, ad eccezione di “The Night Before”. L’ultimo disco diventa il perno della serata e dà ampia dimostrazione delle doti di Duda e compagni. Il tono narrativo, il riuscire a mettere a proprio agio l’ascoltatore, infondendo calore a quanto suonato, si riflette apertamente in “Acid Rain” e “Vale Of Tears”, poste in apertura, che spiccano per il messaggio veicolato, non per passaggi di raro estro. Maciej Meller, erede alla chitarra del compianto Piotr Grudziński, non lo fa rimpiangere sotto il profilo esecutivo, comunque sempre un passo indietro nel dare la sua impronta alla musica – come del resto accadeva per il suo predecessore – rispetto al duo Duda-Łapaj. Il tastierista è magistrale nel miscelare sintetizzatori, tocchi pianistici, campionamenti sinfonici, diffondere soundscape digitali di profondo magnetismo. Mentre il basso del leader detta i tempi e fa da accompagnamento a una voce che diventa spesso quella di un antico cantore, colui che esprime concetti importanti, più che cantare dei testi che si accompagnino bene con quanto suonato.
Addentrandoci nel concerto, il miglior assestamento dei suoni, all’inizio un po’ slegati e secchi, fa apprezzare la pulizia esecutiva e il calmo fervore di cui avvampano i complessi arrangiamenti, che non appesantiscono le canzoni ma donano loro un giusto grado di sofisticazione e unicità. I toni più candidi e rock degli estratti di “Out Of Myself” si compattano agli squarci avveniristici di quelli di “Anno Domini High Definition”, proiezioni sonore dei convulsi tempi attuali, che in parole e movimenti strumentali i Riverside sanno raccontare come pochi. Le rarefazioni di “Love, Fear And The Time Machine” sono dispensate dalla sola “Lost (Why Should I Be Frightened By a Hat?)”, una soffice zona di calma in cui la band naviga con sicurezza; altrettanta ne mostra nella classica suite prog di “The Struggle For Survival”, accolta da una platea attenta e preparata, che non lesina in battimani quando il ritmo lo richiede, oppure semplicemente se ne sta in silenzio ad ammirare, quando lo svolgimento di una canzone pretende un’accoglienza più composta. Duda dà prova della sua verve umoristica negli intermezzi, condendo la sua ironia verbale di una buffa mimica, contraltare della concentrazione totale di quando suona. Tra i nostri personali picchi della serata mettiamo la titletrack dell’ultimo disco, che fa sfogare mirabilmente gli influssi morriconiani di cui “Wasteland” è colmo – evidente un cenno diretto al tema principale de “Il Buono, Il Brutto, Il Cattivo” – e nell’encore la versione allungata di “River Down Below”. Un concerto qualitativamente eccellente, collimante a una presenza sul palco abbondante – circa due ore – e molto concreta, sfrondata di autocompiacimenti, pause e vezzi da artisti pieni di sé. I Riverside ci hanno emozionato, rappresentando fedelmente, con trasporto e precisione, l’ampio panorama di sensazioni indotto dai dischi.

 

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