20/10/2003 - ROADRAGE TOUR 2003 @ Transilvania Live - Milano

Pubblicato il 24/10/2003 da

A cura di Marco Gallarati

Giunge anche in Italia, finalmente, il divertente e colorato trenino del Roadrage Tour 2003, manifestazione con cadenza ormai annuale organizzata dalla solerte Roadrunner Records! Il Transilvania Live di Milano è l’unica stazione italica scelta dagli organizzatori per far scendere i passeggeri del convoglio metallico in questione e dar loro modo di saggiare il proverbiale entusiasmo dei nostri metalkid, accorsi abbastanza numerosi (ma non troppo) per fornire supporto alle tre band protagoniste di questo happening di crescente importanza e valore. Per questa edizione, la potente label americana ha deciso di scendere in campo con un tridente davvero micidiale: perfettamente rappresentanti lo spirito che anima la Roadrunner, innovativo ed apertissimo alle nuove strade, purché queste abbiano basi solide, poggianti su pesantezza e metallo, Ill Nino, Spineshank e Chimaira hanno messo a ferro e fuoco il piccolo locale milanese, lasciando soddisfatta (si presume) la maggior parte degli astanti. Raggruppabili, a grandi linee, nello stesso calderone bollente dell’heavy metal non tradizionale (o come diamine lo si preferisca chiamare), in realtà le tre entità sono poco paragonabili fra loro, avendo caratteristiche che ben differenziano i singoli stili, rendendo così la proposta del Roadrage 2003 molto interessante. Se i Chimaira, infatti, sono la band dall’anima più hardcore e massiccia e gli Spineshank accorpano influenze noise e sperimentali, ecco arrivare infine gli iper-melodici Ill Nino, un gruppo dall’avvenire assicurato e dalla bravura sorprendente, a creare definitivo scompiglio all’interno del mosh-pit. Mancano pochi minuti alle 20, quando il sipario si scosta, lasciando intravedere le ombre dei sei componenti dei Chimaira: alla band di Cleveland il compito di scaldare l’audience…

CHIMAIRA

“The Impossibility Of Reason” è, a giudizio di chi scrive, uno degli album-rivelazione del 2003, dotato di canzoni bellissime, pesantissime e devastanti, nelle quali il connubio tra metallo “panteroso”, hardcore e leggere influenze nu, è davvero ben riuscito! E, a dimostrazione del rimarchevole successo di quel lavoro, si deve segnalare l’attivissima partecipazione del pubblico durante la breve esibizione del gruppo in esame: fin dall’attacco della veloce “Power Trip”, il pogo è stato protagonista e i sei si sono impegnati davvero molto per incitare i ragazzi sotto di loro a dimenarsi ancor di più. Peccato per la relativa (per quanto si è potuto sentire dopo, sia in positivo, sia in negativo) povertà di suoni, ben bilanciati ma poco puliti, non certo all’altezza dell’impressionante precisione udibile su disco, ma tant’è…il sestetto ha saputo sopperire a questo “difetto” con la grinta e sostanziose dosi adrenaliniche, promulgate tramite l’esecuzione di ottimi pezzi quali “Cleansation”, la cadenzatissima “Eyes Of A Criminal” e la più tranquilla “Down Again” (nella quale è intervenuto alle backing vocals, semi-nascosto dal tastierista Chris Spicuzza, il vocalist degli Ill Nino, Cristian Machado). Spazio anche per “Severed”, unica song tratta dal precedente “Pass Out Of Existence”, e finale affidato a “Pure Hatred”, il cui ritornello è stato cantato dal pubblico tutto, grazie ai precisi suggerimenti di Mark Hunter, un frontman capace di incitare la massa ed elevare il tasso d’esaltazione all’interno del locale, finanche a coinvolgere le prime file in un mosh comandato alla perfezione. Più che buona, quindi, la presenza scenica, molto coinvolgente, per un act che attendiamo con ansia alla prossima prova su disco. I Chimaira, seppur con ampissimi margini di miglioramento, sono promossi anche in versione live!

SPINESHANK

Ecco un altro gruppo che, con il recentissimo “Self Destructive Pattern”, è entrato definitivamente nelle grazie del sottoscritto, riuscendo a migliorare il proprio stile semplicemente componendo canzoni più belle. Questa data del Roadrage 2003 ha rappresentato, per gli Spineshank, l’esordio live nel nostro paese e il singer Jonny Santos non ha mancato di farcelo notare, poco dopo la loro entrata in scena. Per buona parte dello show, purtroppo, la risposta del pubblico è stata sì positiva, ma sicuramente non entusiasta, in quanto i suoni si sono assestati, per la prima ventina di minuti, su standard al limite della cacofonia, problema anche causato dalla musica della band, utilizzante diversi campionamenti, i quali andavano a confondersi con le ritmiche dell’unica chitarra, a sua volta suonata con effetti che intralciavano un po’ troppo la perfetta riuscita dei pezzi; in  più, aggiungete la scialba prestazione del cantante (ripresosi solo nel finale) e le quasi inesistenti sovrapposizioni vocali del bassista Robert Garcia, ed avrete un quadro della situazione piuttosto chiaro. In questo modo, l’iniziale “Violent Mood Swings”, un pezzo che avrebbe dovuto “spaccare tutto”, è risultato poco più di un miscuglio senza senso di suoni. La band si è lentamente risollevata però e, già da “Slavery”, le cose sono andate meglio, fino a giungere al primo hit della serata, ovvero la cantabilissima “Beginning Of The End”. Nessun brano tratto dal primo disco, “Strictly Diesel”, è stato eseguito, mentre, da “The Height Of Callousness”, hanno trovato posto la title-track (alla cui esecuzione ha partecipato anche il cantante dei Chimaira), “Asthmatic”, “Synthetic”, “(Can’t Be) Fixed” e l’acclamata “New Disease”. Tra ripetuti “I can’t hear you”, seguiti da canonici urli d’approvazione, la performance degli Spineshank è rotolata via poco sopra la sufficienza, superata abbondantemente solo durante la riproposizione delle canzoni agli estremi dell’ultimo disco, ovvero il melodic-single “Smothered” e la brutale “Dead To Me”. Anche la carica fisica degli Spineshank, comunque, alla fine è venuta fuori e la prestazione si è conclusa in bellezza, senza però riuscire a salvare la band dall’essere giudicati l’act peggiore della serata. Rivedibili.

ILL NINO

Hanno rasentato la perfezione: sei ragazzi affiatatissimi fra di loro, una vera famiglia che ama divertirsi da matti sul palco, canzoni che entrano nel sangue in pochi secondi, l’anima latina, calda e passionale, che riesce a trasmettere sensazioni forti e sincere. Gli Ill Nino hanno giustificato appieno il loro ruolo di headliner, proponendosi come prossima “next big thing” in questo genere contaminato che, grazie al loro apporto, riesce a raggiungere livelli elevatissimi, per quanto riguarda la capacità di coniugare accessibilità a violenza sonora. Appena pubblicato il loro secondo album (a breve recensito su queste pagine), intitolato emblematicamente “Confession”, il combo latino-americano ha sfoderato una prestazione memorabile, fin troppo pulita e praticamente senza difetti. Cristian Machado, fin dal primo pezzo, ha messo in mostra una voce spettacolare, impressionante nel suo uso clean, leggermente meno incisiva sulle tonalità più aggressive; l’ex-Machine Head Ahrue Luster si è integrato benissimo nei meccanismi live del gruppo e si è esibito anche in parti soliste alla chitarra classica, trovate sceniche forse un po’ troppo forzate, data la loro brevità. Lazaro Pina, grazie al suo saper stare on stage e alla sua simpatia, è l’anima istrionica degli Ill Nino, supportati da un’ottima sezione ritmica, comprendente anche la postazione alle percussioni, le quali ben si sposano con il drumming fantasioso di Dave Chavarri. Una band completa sotto tutti gli aspetti e song che, in breve tempo, sono già diventati dei must del genere: stiamo parlando di “What Comes Around”, “God Save Us”, l’irresistibile “Rumba”, “Liar” e le nuovissime “Te Amo…I Hate You”, “Cleansing” ed il singolo “How Can I Live”, senza stare a ricordare poi la commovente “Unframed”, picco emotivo assoluto della performance, tutte eseguite stupendamente e tutte in grado di far divertire alla grande la folla, in movimento anche a centro locale, non solo fra le prime file. Un’unica, piccolissima crepa nell’esibizione del “Bimbo Malato”, oltre alle pause ripetute tra un brano e l’altro, riempite da musica latina, e sinceramente evitabili, è stata il leggero atteggiarsi della band, dovuto probabilmente alla consapevolezza delle loro possibilità, realmente elevate. Per il resto, assolutamente nulla da rimproverare, anzi, finalmente qualcuno che riscopre anche il piacere e il divertimento provocato dalla presentazione finale di tutti i membri del gruppo, a testimonianza dell’amicizia fraterna che si è stipulata tra questi musicisti e che di certo è una marcia in più. Fondamentali per la sopravvivenza del metal contaminato e moderno. Bailate la rumba latina!!!    

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