A cura di Davide Romagnoli
Quella che avrebbe dovuto essere una data da co-headliner si è trasformata, dopo la defezione in corso d’opera dei Megadeth, il cambio di location e l’annullamento della data precedente in quel della Capitale, in un monologo a senso unico del maestro dello shock rock contemporaneo, figlio incrociato di Alice Cooper, Elvis e dei Ramones: Sir Rob Zombie. L’Alcatraz diventa così l’unica esibizione del Superbeasto in terra italica. Pochissimi i presenti, scarna la scenografia. Verrebbe quasi da pensare ad un b-movie. E basta questo per rendere a suo agio la combriccola pitturata di Zombie, JFive, Ginger, Piggy D, come la famiglia Firefly, veri reietti del diavolo.
DEATHLESS LEGACY
“Nuda! Nuda!” sono le uniche grida che echeggiano nel parterre del locale meneghino per la cantante della formazione italiana dei Deathless Legacy. Buon per lei. Non tanto per la band, che non soddisfa molto le aspettative dei pochi presenti. Un horror metal figlio -ovviamente- di scuola White Zombie, ma anche vicino al sound tipico dei Death SS, che però non riesce a convogliare su di sè l’attenzione di nessuno dei presenti in sala.
POWERMAN 5000
Che fine avevano fatto i Powerman 5000 e Spider One? Ecco di nuovo comparire la nu-metal band di Boston, conosciuta negli anni Novanta, proprio di spalla al vecchio fratellino Rob Zombie. I PM5K riportano in auge alcuni tra i vecchi capisaldi del passato, come l’insaziabile “Bombshell”, “Super Villain” e “Supernova Goes Pop” in una folla che non sapeva neanche della loro esistenza. Si salta e si fa quel che si può; la band è in forma e Spider One fa il Billy Idol in giusta misura. Alcuni brani sono schiavi di una formula un po’ ripetitiva, ma la mezzora intensa non può far altro che promuovere la band con un “welcome back!”. “You think it’s over but the Supernova don’t stop”.
ROB ZOMBIE
Scenografie ridotte all’osso -rispetto a quanto ci ha abituati il buon vecchio Roberto- non impediscono di trasmettere magniloquenza all’entrata sul palco della band, addirittura preceduta da un’ovazione (di uno sparuto manipolo di esagitati in prima fila) per la lady zombie Sheri Moon, appostata nel backstage, che saluta come una vera e propria diva assoluta i suoi fedeli. L’intro spetta in men che non si dica all’opener di “Venomous Rat Regeneration Vendor”, con microfoni a mò di Nosferatu di Murnau per il terzetto Piggy, JFive e frontman. Estratte dall’ultimo album anche la trascinante “Dead City Radio (And The New Gods Of Supertown)” e l’ottima “Ging Gang Gong De Do Gong De Laga Raga”, da saltimbanco da horror circus. La setlist è quella di sempre, tirata fino all’osso, ma regala certamente delle chicche, come le cover di “Enter Sandman” dei Metallica e “Am I Evil” dei Diamond Head, durante le quali salta fuori anche Cristina Scabbia dei Lacuna Coil. Forse le uniche due canzoni dove la gente era davvero carica. “Avrei dovuto cominciare lo spettacolo in questo modo” ironizza il frontman. Poco dopo, John Five regala un assolo psichedelico e ultra-veloce che tiene inchiodati i pochi presenti, che non si accorgono immediatamente che il buon vecchio Zombie ha fatto il giro dell’Alcatraz fino al mixer centrale del locale, con maglietta della nazionale italiana. C’è chi sa fare uno spettacolo a questo mondo, e non sempre ha bisogno di visuals e mostri che spuntano fuori dal backstage. E neanche di folle in delirio. “Ci saranno circa quarantacinque presenti tra di voi stasera. Mi basta così”. In forma, con la band giusta, le canzoni giuste. Non è stato lo spettacolo che in molti si sarebbero aspettati, e nemmeno il pubblico che ci si poteva aspettare, ma è ancora una certezza sapere che non si rimane mai delusi da uno spettacolo targato Zombie. La situazione -di pubblico, le defezioni, i problemi, i cazzieimazzi vari- non hanno impedito di infondere nell’aere lo charme da roadmovie boy tipico del maestro Rob Zombie.