FUNERAL FOR A FRIEND
Il caldo è assolutamente torrido e sfiancante nella seconda giornata, e le vittime sono tutti i presenti già dal primo pomeriggio. Non si può non notare che, essendo sabato, l’afflusso è nettamente maggiore… infatti già alle 14 c’è più gente che la sera precedente. Gli inglesi saltano sul palco mentre cerco di levarmi dalla testa l’idea che mi son fatto di loro precedentemente, da quando li vidi a supporto dei Lost Prophets al giugno di quest’anno, a quando mi rovinarono il desiderio di vedere i Black Label Society al Download Festival (c’era un act a sorpresa, e chi scrive pregò il dio del metallo che fossero proprio il gruppo di biker… quando sul palco si presentarono questi disgraziati). La conferma arriva puntuale dopo pochi secondi: sono solamente il classico gruppo “wannabe”, pompatissimo dalla stampa in madrepatria, che tenta di infilarsi in uno dei carrozzoni più odiosi del secolo, l’emo. Grassottelli, nerovestiti e con una frangia decisamente troppo lunga il gruppo decide di torturare con le sue lagne adolescenziali il sottoscritto, già facile preda del caldo, solo un limitato pubblico in gran parte composto da graziose ragazze condivide il lamento emozionale. Non può che salire la disapprovazione.
THE TOY DOLLS
La leggendaria punk rock band nata nel lontano 1980 si presenta in gran forma con l’intro di “The Final Countdown”, per sfoderare il meglio di tutto il repertorio e dei ben quattordici album in carriera, il rock punk venato di momenti epici suona ancora decisamente bene soprattutto per la verve della band, che non delude i pochi appassionati che ricordano le loro gesta. Melodie simpatiche e anche demenziali, unite a cliché vicini all’hard rock anni ’80, come le coreografie dei musicisti, intrattengono il pubblico per tutto il tempo a loro concesso. Decisamente in forma questi vecchietti, molti gruppi successivi avrebbero molto da imparare da loro!
MILLENCOLIN
Sembra di assistere alla replica del concerto dei Pennywise della sera precedente. Una formazione così prolifica e apprezzata in passato che in maniera così triste fa quasi cilecca. I sostenitori non possono che rimanere quasi immobili dinanzi alle imprecisioni tecniche (soprattutto del batterista). Sia chiaro che i suoni sono stati decisamente migliori e anche l’esecuzione non è stata affatto fredda o scostante, ma la scaletta che taglia fuori moltissimi classici del passato crea disapprovazione, le ultime hit sono sì apprezzate ma mai quanto le vecchie. La scelta è difficile in queste manifestazioni con tempi ridotti, e facilmente si delude qualcuno, ma non era difficile comporre una lista più bilanciata.
ME FIRST AND THE GIMME GIMMES
Sicuramente uno dei gruppi più attesi della manifestazione, con un Fat Mike sempre più deficiente in formazione che si appresta a suonare il primo dei suoi due act (sarà protagonista anche qualche ora dopo coi NOFX). Caratteristica la divisa: hawaiana per tutti più due chitarre e un basso dalla forma decisamente stramba e retrò, quasi a forma di razzo. Comincia il Fat Mike cabaret, che intona tra una gag e l’altra, il ritornello che perseguiterà il pubblico per tutta la serata, ovviamente stupido: “Nobody likes us, everybody hates us, Americans! …Americans!”. Anche se si tratta di una formazione che propone solo cover (e stento ancora a capire come facciano ad avere così tanto successo) il seguito è spropositato e lo show è leggero e divertente, senza cadere negli abissi di idiozia che caratterizzeranno i NOFX. Tra le cover eseguite in versione punk melodico è da menzionare “I Believe I Can Fly” di R. Kelly, originale e davvero ben riuscita. Considerando che ho conosciuto ragazzi provenienti dall’Austria per assistere al loro show, si può dichiarare la vittoria per il gruppo.
MY CHEMICAL ROMANCE
Sebbene preghi ogni giorno perché la moda emocore non raggiunga mai lo stivale e lo rovini come ha fatto con l’Inghilterra con la lunga serie di tagli ridicoli, pantaloni elasticizzati, makeup e atteggiamenti sfigati (almeno i glamster non frignavano continuamente!) debbo riconoscere la paternità di questo tipo di sound e stile a My Chemical Romance e The Used, e ammetto che ho apprezzato gli ultimi lavori delle suddette formazioni, almeno in parte. Che poi quel piccoletto di Gerard, capelli unti e trucco rosso attorno agli occhi, basso e mingherlino, venga considerato un sex symbol… non può che far sorridere. Ma veniamo al sodo: la band è per la prima volta assoluta in Italia, e già ha un seguito interessante a contare quanti si annidano sotto il palco (sempre per la maggioranza ragazzine). Partono subito con la hit che li ha resi famosissimi oltroceano, “I’m Not OK”, che chi scrive si perde nella sua interezza perché impegnato ad acquistare l’ennesimo onerosissimo birrone. Eseguendo i brani migliori dell’album “Three Cheers For Sweet Revenge” emerge la realtà oggettiva: il singer, catalizzatore che guida le danze e si muove abilmente per il palco, è allo stesso tempo punto focale ed elemento peggiore della band, in poche parole non ce la fa, anche se aiutato nei melodici dal chitarrista e supportato da una band degna e da una audience che pende dalle sue labbra (nelle prime file, più di metà dei presenti li snobba del tutto). Spompato e senza voce arranca per tutta la durata del set per stramazzare proprio sulla hit “Helena”. I limiti tecnici sono innegabili, se poi i fan riescono ad emozionarsi comunque… meglio per loro.
NOFX
Non si può negare, nove decimi dei presenti sul prato dell’Idroscalo ha pagato il biglietto quasi esclusivamente per vedere loro, i paladini dell’hardcore melodico, i giullari del punk, i buffoni istrionici e demenziali direttamente dagli USA. Si sprecano le magliette del gruppo tra la folla, testimoniando come la formazione goda di una credibilità ben maggiore dei “rivali” della prima giornata, gli Offspring. Con un pubblico totalmente devoto e dedito ad amplificare ogni loro gesto, sia questo anche un peto di Fat Mike, è impossibile deludere le aspettative, e così l’esibizione è un successo annunciato già in prevendita. Poco importa se chi scrive non capisce l’umorismo demenziale che vira a volte sul sociale (avete presente quando una barzelletta o una gag sono talmente stupide che davvero non riescono a farvi sorridere?), se al posto di suonare per un’ora e passa il gruppo si dedica per la maggior parte del tempo a sketch, canzonette improvvisate sul compleanno di chissà chi, e cori stupidi (“Nobody likes us, everybody hates us, Americans! …Americans!”, sicuramente qualcuno vi odia di già), a fare cinque canzoni in cinque minuti… quando il combo attacca una canzone ogni tanto tipo “Don’t Call Me White” il prato esplode, si dimena, regala ovazioni agli idoli attesi per una giornata intera, o forse da molto più tempo. Il concerto dei NOFX è un evento, un ritrovo celebrativo, una festa per tutti coloro che in passato li hanno amati alla follia e vogliono continuare a farlo fregandosene di tutto. Probabilmente è questo il segreto del loro successo, l’attitudine e l’incoscienza, unita all’humor e alla demenza che riescono a riproporre anche a quarant’anni suonati, coinvolgendo tutti questi ragazzi. Un trionfo su tutti i fronti, non c’è che dire, se chi scrive rimane perplesso e non comprende allontanandosi per assistere ai Darkest Hour poco importa.
DARKEST HOUR
Headliner sul Rocksound Stage e pecora nera nella scaletta dell’intero festival, i Darkest Hour sono l’unico gruppo in due giorni di musica a non proporre rock o punk-hardcore melodico. Orfani degli opener Beecher, interessante combo inglese di hardcore “evoluto” a tratti alla Converge, rimasti bloccati al confine svizzero per motivi non precisati, i nostri sembrano davvero soli contro tutti, tenendo conto che la totalità dei fan è ancora ad assistere ai NOFX. Piano piano durante il soundheck l’area ristretta dello stage si popola di hardcore kid, usciti da chissà dove, pronti a dare il massimo supporto al combo, un centinaio di persone pronte a scatenare l’inferno. Irrompendo sul palco però l’inferno lo evoca il gruppo per primo, con una irruenza e una carica che definire devastante è riduttivo. Raramente chi scrive ha assistito a show di tale intensità e violenza, e raramente si è trovato inebetito a bocca aperta nel bel mezzo del moshpit, riempiendosi la bocca di polvere. Con un sound eccellente e una foga prorompente l’ottimo “Undoing Ruin” è reso in maniera decisamente migliore, soprattutto visto lo scatenarsi dei presenti impazziti in mosh, violent dancing e circle pit ad ogni cenno del gruppo. Due suicide girl partecipano a una song mostrando le loro bellezze succinte e scambiandosi saffiche effusioni strusciandosi sui membri della band, che non possono che apprezzare la provocante prestazione. Inarrestabili dall’inizio alla fine il gruppo si conferma superiore, nella tenuta del palco, nello spettacolo offerto e nel coinvolgimento del pubblico. Le coreografie dei musicisti e la perfetta resa li incoronano re incontrastati del festival, come chiunque abbia presenziato potrà confermare.
SKA P
Incommensurabile il piacere di assistere all’ultima esibizione di una band che si odia visceralmente. Gli headliner in questione, per moltissimi indegni di suonare dopo giganti come NOFX, non solo sono all’ultima data della tournée, ma sono anche alla ultima esibizione prima dello scioglimento. Sorvolando opinioni personali la band riscuote il successo del pubblico, che partecipa anche dopo lo scoppiare di un temporale che costringe molti sotto il tendone e fa scappare a casa altrettanti paganti (qualcuno dice: “questo succede a insultare il Berlusca!”, chi scrive non partecipa al dibattito politico ma si gode la battuta azzeccata). La commistione di ska e punk graffiante piace a molti, non si può negare, e gli inni che puntano al politico vengono inneggiati a gran voce da moltissimi, contribuendo alla buona riuscita della loro ultima lunga data dal vivo… Una degna conclusione per un festival che, seppure alla prima edizione, è risultato bene organizzato e divertente, anche se sfortunato in molte delle esibizioni dei gruppi, decisamente sottotono.
SUICIDE GIRLS
Non un vero e proprio act ma una presenza che accompagna il festival quasi nella sua interezza. Le ragazze sono presenti quasi sempre tra il pubblico, facendosi notare ma non troppo con vestitini succinti e capigliature sgargianti. Go Go, Kokeshi e le altre ragazze che potete ammirare in tutto il loro splendore e tutto il loro estro nei servizi piccanti di Suicidegirls.com, dal vivo appaiono come ragazze normalissime, forse un po’ più “peperine” quando saltano e accennano danze provocatorie tra uno show e l’altro. Sicuramente lontane dalla bellezza di una modella, per lo più piccolette e poco prosperose, traggono la loro forza nello sguardo sexy da furbette e nella simpatia e spigliatezza che le caratterizzano, unite alla voglia di apparire e a quell’aria da groupie che le accompagna sui set come nella vita reale. Niente poppe al vento, qualche bacio saffico e tanta voglia di divertirsi insomma, e magari di conoscere tanti bei musicisti… il suicidio della ragazza perbene, ma niente per cui scandalizzarsi.