Report a cura di Raffaele “Salo” Salomoni e Alessandro Corno
Foto di Marco Brambilla
La prima edizione del Rockin’ Field non si è svolta nelle migliori condizioni. Situata a ridosso di altri festival ben più blasonati (Gods Of Metal ed Evolution) aveva raccolto pochissime prevendite, tanto da farci temere il peggio. Inoltre le previsioni meteorologiche, lievemente avverse, avevano aggiunto quel pizzico di inquietudine che mancava. Un bill comunque di una certa importanza ha comunque attirato un buon numero di fan, che incuranti di tutto si sono riversati nel parco dell’Idroscalo di Milano. Una venue che, contrariamente con quanto avvenuto in occasione dell’Evolution Festival, si è dimostrata poco confortevole, essendo quasi completamente sprovvista di gazebi (eccetto l’area bar e un paio di venditori), sicuramente a causa delle scarse prevendite. Il temporale che ha letteralmente rovinato lo show degli Epica ha fatto il resto. Tuttavia a conti fatti tutti hanno lasciato il festival soddisfatti dopo gli ottimi concerti di Helloween e Avantasia su tutti, e molti già attendono una seconda edizione. Sempre che la Barley Arts voglia di nuovo rischiare e scontrarsi con nomi ben più consolidati.
THE CLAIRVOYANTS
E’ come sempre arduo il compito di aprire un festival, e questa volta l’onore-onere è toccato ai nostrani Clairvoyants, conosciuti ai più come scafata tribute-band degli Iron Maiden, da sempre impegnata sulle assi del palco di mezza Italia e spesso accompagnata da ospiti illustri, fra cui ricordiamo Blaze Bayley, Dennis Stratton, Doro Pesch, Jorn Lande, Timo Kotipelto e tanti altri. Al Rockin’ Field si presentano in veste di vera e propria band, intenta a presentare al pubblico i propri pezzi originali, che hanno apparentemente generato nei pochi presenti una tiepida risposta. Il solito metal italiano, direbbe qualcuno, ottimamente suonato e magistralmente interpretato da un cantante tanto stereotipato quanto convincente. A non convincere è proprio il suono, come sempre in questi casi, eccessivamente ovattato e dominato dalla batteria. Non ci resta che attendere la prova da studio dei Nostri, al fine di valutarne più accuratamente le sfumature e le capacità che spesso in situazioni come questa stentano a venire a galla.
WHITE SKULL
Per i White Skull, band all’attivo ormai da diversi anni, che ha assistito all’esplosione e all’implosione del periodo power-metal, l’accoglienza del pubblico si fa calorosa. Complice la presenza scenica dello scatenato Tony “Mad” e del bravissimo Danilo Bar, vero e proprio emulo di Yngwie J. Malmsteen in tutto e per tutto. E’ questa l’occasione per il sottoscritto di ascoltare la nuova entrata nella band, Elisa “Over” De Palma, arrivata dopo il valido Gus Gabarrò ma soprattutto dopo la bravissima Federica De Boni, che con la band aveva scritto pagine importanti nel power metal italiano. L’impressione non è delle migliori, e pur mantenendosi su livelli buoni in fin dei conti Elisa rappresenta proprio il lato debole della band, troppo impegnata a sembrare disinvolta su un palco che ancora non le appartiene, e così poco abile nel ricreare le prodezze dei suoi predecessori. Ma il pubblico sembra apprezzare, e tutto sommato il concerto giunge a conclusione in modo dignitoso, grazie alla riproposizione del classico della band “The Roman Empire”, acclamato a gran voce dai fan della band.
ELUVEITIE
Da poco rimasti senza il polistrumentista Stefan Kirder e il bassista Rafi Kirder, gli Eluveitie sono attesi da un discreto numero di fan qui all’Idroscalo. La band attacca con “Inis Mona”, pezzo tanto easy quanto efficace dal vivo, con il cantante Chriger Glanzmann che da subito si rivela essere l’elemento più coinvolgente del gruppo, anche se il suo microfono mostra qualche piccolo problema. Il resto della band accusa forse il peso delle due defezioni di cui sopra e si dimostra abbastanza e statico e freddino nei confronti di un pubblico che apprezza comunque il loro death svedese misto folk. E sono proprio le parti più folkeggianti che fanno la differenza e rendono lo show godibile anche da chi non conosce la formazione svizzera. Tra i momenti migliori “Blood Stained Ground” e “The Somber Lay”, che, eseguite a metà show, convincono e richiamano sotto al palco anche qualche curioso che in precedenza non aveva dato molto peso a questa esibizione. Nel finale Glenzmann, un tantino in debito d’ossigeno, non risparmia comunque saluti e ringraziamenti ai fan italiani. Gli applausi non mancano ma resta il pensiero comune che, dopo gli avvicendamenti in formazione, la band non abbia ancora ritrovato la compattezza per esibirsi ai suoi massimi livelli.
BIOMECHANICAL
Ecco che ci apprestiamo a mettere nero su bianco la nostra più grande delusione di questo festival: l’esibizione dei Biomechanical. Stiamo parlando di una band che su disco ha mostrato ottime qualità, specialmente sullo strepitoso “The Empires Of The Worlds”, e per il sottoscritto ha rappresentato una certa attrattiva nel bill del Rockin’ Field, ma non appena i quattro hanno attaccato con la prima song il gelo è sceso su tutto l’Idroscalo. Dopo la coinvolgente esibizione degli Eluveitie, dove tutti ballavano ed applaudivano, fa ancora più effetto vedere come la caotica proposta della band inglese sia così poco compatibile con il mondo on-stage. Come prevedibile, infatti, i suoni ultra distorti della band mal si accompagnano alle vocals del leader John K., dimostratosi poco comunicativo (per non parlare delle incomprensibili frasi da lui pronunciate tra un pezzo e l’altro) ed altrettanto scarsamente convincente. I pezzi si avvicendano uno dopo l’altro senza alcuna distinzione, ed entro la fine della setlist saranno in molti ad essersi allontanati dal palco. Delusione cocente.
THRESHOLD
Erano in molti, incluso il sottoscritto, incuriositi dalla nuova formazione degli inglesi Threshold, che in via eccezionale hanno ripreso nelle proprie file il grande Damian Wilson, in sostituzione del sopravvalutato “Mac”. Stiamo parlando di un cantante con la “C” maiuscola, già apprezzato alla corte di Arjen Lucassen e dei suoi Ayreon, che ben si sposa con il progressive metal proposto dalla band. I suoni si fanno cristallini, le chitarre potenti, e le tastiere sempre presenti, mai straripanti. Iniziano le note di “Slipstream” e già ci rendiamo conto di chi abbiamo davanti: una band che sa il fatto suo, e che sa tenere il palco magistralmente. A seguire “Pressure” e “Part Of The Chaos” cementano questa sensazione, rendendo tangibile il divertimento di una band che ha ancora molto da dire, come dimostrato sull’ultimo, ottimo “Dead Reckoning”. A completare la scaletta, “Light And Space”, “Pilot In The Sky Of Dreams” e “Mission Profile”, per un concerto che ha convinto e coinvolto. Bravi Threshold!
VISION DIVINE
E’ passato poco tempo da quando Michele Luppi ha lasciato i Vision Divine e dietro al microfono è tornato Fabio Lione, fondatore della band assieme al chitarrista Olaf Thorsen. Questo ha destato più di una curiosità e, se vogliamo, anche qualche preoccupazione nei fan della band, per via della differente impostazione dei due cantanti. È infatti quasi unanimemente riconosciuto che l’album più amato dei nostri sia quello “Stream Of Consciousness” che quattro anni fa aveva fatto fare il salto di qualità alla band. Si trattava infatti del primo disco con Luppi, cantante che da subito impressionò per potenza ed estensione vocale. Ad ogni modo non tutti sanno che sui pezzi migliori di quel disco, e secondo chi scrive anche dell’intera discografia del gruppo, c’è anche la mano di Fabio e oggi tocca proprio a lui dimostrare che il gruppo è pronto a ripartire con rinnovato spirito. La band attacca infatti con due brani dal sopra citato album, l’opener “Secret Of Life” e “Colours Of My World”. I suoni non sono un granché, con il basso di Cristiano Bertocchi che a tratti sovrasta il guitar work di Thorsen e Federico Puleri ma gli occhi sono tutti puntati su Fabio e lui risponde con la sua interpretazione di quei fantastici pezzi e il risultato è decisamente soddisfacente. Gli applausi e le incitazioni al ritrovato cantante, che oggi appare più impegnato ed in forma rispetto al passato, non tardano ad arrivare. Dopo “Vision Divine” tocca a “A Perfect Suicide” dall’ultimo “The 25th Hour” e anche qui Fabio offre un’interpretazione impeccabile della linea vocale. Sulla stessa scia “Never Ending Day” e “Alfa e Omega”, mentre “God Is Dead” appare un po’ meno adatta all’ugola del biondo cantante. Si chiude con “Send Me An Angel” e per la sfortuna di tutti i presenti inizia l’ennesimo acquazzone di questa meteorologicamente sfortunata stagione di festival estivi milanesi. Ci sarà chi, per gusti personali, preferirà l’uno o l’altro cantante ma i Vision Divine sono pronti per proseguire a testa alta il loro cammino e a questo punto non resta che aspettarsi un nuovo, grande album.
EPICA
A causa dell’acquazzone che ha letteralmente travolto il festival, siamo costretti ad assistere a gran parte del concerto degli Epica stipati nell’area ristorazione, lontana dal palco, dalla quale è stato pressoché impossibile sentire anche una sola nota della band. Giusto il tempo di attendere la fine delle ostilità atmosferiche e di sentire le ultime due song della band, per renderci immediatamente conto che qualcosa non va. L’assenza forzata di Simone Simons per cause fisiche negli ultimi mesi sembra averla messa in disparte, ed in più di un’occasione si mostrerà contrariata (forse a causa del maltempo), quasi spaesata. E’ tuttavia opportuno astenersi da qualsiasi giudizio più concreto, a causa degli impedimenti di cui sopra.
HELLOWEEN
Quest’inverno li avevamo visti in tour insieme ai Gamma Ray dell’ex Kai Hansen e oggi gli Helloween si ripresentano a Milano, scalzati dalla posizione di headliner da Avantasia, il progetto di Tobias Sammet che molto deve in termini di influenze alle zucche tedesche. Impossibile infatti non fare analogie tra i due “Keeper” degli Helloween che furono e i due molto più recenti “Metal Opera” degli Avantasia, se non altro per la presenza di Mr. Michael Kiske dietro al microfono in entrambi i casi. Suona un po’ come uno smacco ma Weikath, Deris e compagni rispondono con una prestazione molto buona, per certi versi una fotocopia di quanto proposto nel tour invernale. La scenografia e la setlist sono quasi identiche e qui la differenza la fa Deris, più convincente su pezzi come la stupenda “Halloween”, in apertura, o la successiva “March Of Time”. Inizia quindi un’alternanza tra vecchio e nuovo che vede come momenti migliori “As Long As I Fall” dall’ultimo “Gambling With The Devil”, l’immancabile “Eagle Fly Free”, “If I Could Fly” e il medley “Perfect Gentleman” / “I Can” / “Where The Rain Grows” / “Keeper Of The Seven Keys”, con due zucche giganti che si gonfiano sul palco. I pezzi dell’era Kiske vengono come al solito abbassati di tonalità e il singer se la cava in più di un caso reinterpretando a suo modo i brani ma il risultato finale è comunque positivo, merito anche di una performance strumentale complessivamente molto soddisfacente e di suoni perfettamente bilanciati. Finale dedicato ai nostalgici con la doppietta “Future World” – “I Want Out” che chiude le danze. Il pubblico approva e si leva come da copione il classico coro “Happy Happy Helloween!”. Come al solito non mancano gli scettici, ma intanto questa band continua sulla propria strada, seguita da migliaia di fan, rinnovando il proprio sound in studio e, a differenza di altre formazioni della stessa leva, risultando ancora attuale senza perdere il suo trademark.
Crack The Riddle Halloween March of Time As Long As I Fall A Tale That Wasn’t Right Drum Solo Eagle Fly Free If I Could Fly Dr. Stein Medley: intro Perfect Gentleman / I Can / Where The Rain Grows / Perfect Gentleman / Power / Keeper Of The Seven Keys — Future World I Want Out
AVANTASIA
E’ arrivato per Tobias Sammet il momento di dimostrare di che pasta è fatto. Raccolta una band che per chi scrive rappresenta un vero e proprio “dream-team”, composta da Sascha Paeth e Oliver Hartmann alle chitarre, Felix Bohnke (Edguy) alla batteria, Robert Hunecke-Rizzo al basso, Amanda Somerville ai cori, Miro Rodenberg alle tastiere, Tobi ci presenta quello che è il suo ‘progetto’ al di fuori degli Edguy. E lo fa nel migliore dei modi, grazie alle ottime trovate sceniche, ad un palco adatto alla sua estravaganza da perfetto frontman, e soprattutto grazie agli ospiti che abbiamo già potuto ascoltare sui tre capitoli di Avantasia: parliamo del mastodontico Jorn Lande, di Andre Matos, e del divertente e pittoresco Bob Catley, che si sono mostrati abili intrattenitori e supporto ideale per un Tobias sempre ottimo, pur mostrando qualche leggerissima debolezza in qualche frangente. Un concerto che inevitabilmente ha preso le sembianze di un musical, e che intrattiene un pubblico affascinato dallo spettacolo e mai sazio. I suoni sono perfetti, le performance sono stellari, e non ci resta che abbandonarci tra le note di “Another Angel Down”, “The Story Ain’t Over”, “Promised Land”, o dell’acclamato bis “Farewell” e “Sign Of The Cross”. Un grazie sentito a Tobi che, scagliatosi contro noi giornalisti nella presentazione del singolo “Lost In Space”, ha mostrato il suo lato più umano, squisitamente qualunquista e tristemente populista. Un ottimo concerto (per chi scrive il migliore del 2008), che purtroppo difficilmente potremo gustare di nuovo, data la difficoltà a raccogliere così tante stelle su un solo palco.
Twisted Mind The Scarecrow Another Angel Down Reach Out For The Light The Story Ain’t Over Shelter From The Rain Lost In Space I Don’t Believe In Your Love Avantasia Serpents In Paradise Promised Land
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