Report a cura di Carlo Paleari
Arriva alla terza edizione il RockLand Metal Fest e questa volta gli organizzatori provano a svoltare, proponendo due serate con nomi di rilievo, circondati da una bella selezione di realtà italiane. Nella serata del 12, infatti, sono stati i Rage ad infuocare il palco del Dagda Live Club, mentre il secondo giorno vede sul palco un graditissimo ritorno, i Moonspell, che stanno festeggiando i venticinque anni di carriera oltre che il ventennale del loro album più celebre, “Irreligious”. Ad affiancare la band lusitana troviamo un’interessante ventaglio di formazioni, molto diverse tra loro ma tutto sommato coerenti: dal power/folk sinfonico dei Winterage all’elegante malinconia dei The Foreshadowing, passando per il death melodico dei Path Of Sorrow e il doom dei Doomraiser. Il risultato finale è un festival riuscito, che potrà sicuramente migliorare e crescere diventando una buona realtà nel panorama live del nostro Paese. Il Dagda è un locale ampio e potrebbe offrire ulteriori sviluppi sia all’interno che all’esterno, anche se la posizione un po’ sperduta nell’Oltrepò Pavese non lo rende comodissimo da raggiungere. Sebbene la scarsa affluenza durante tutte le esibizioni precedenti agli headliner ci avesse fatto temere il peggio, alla fine della serata il numero delle persone presenti è stato comunque incoraggiante e ci auguriamo che il bilancio dell’evento sia stato positivo. Forse la serata ha pagato un po’ la recente calata italica dei lusitani, che hanno infiammato il Live Music Club di Trezzo sull’Adda proponendo, oltretutto, uno show vintage simile a quello portato in scena al Dagda. Considerazioni generali a parte, i presenti hanno potuto godere di una lunga e soddisfacente serata di metallo: dunque bando alle ciance e apriamo le danze.
WINTERAGE
I primi a salire sul palco del RockLand Metal Fest sono i genovesi Winterage, dediti ad un power metal che alterna passaggi sinfonici ad altri folk, per un risultato finale che si assesta più o meno a metà strada tra gli Elvenking e i Rhapsody Of Fire. La formazione fa il suo ingresso sul palco davanti a pochissime persone, introdotti dalla “Overture In Do Minore” che apre il loro album “The Harmonic Passage”. Il set a disposizione è decisamente breve, poco più di una ventina di minuti: la band cerca di sfruttarli al meglio selezionando alcuni pezzi più rappresentativi della sua proposta. Abbiamo dunque “Wirewings” e “Golden Worm” che corrono come un treno, mentre le tastiere e il violino disegnano trame melodiche e coinvolgenti. Sebbene certe soluzioni tipiche del power metal della fine degli anni ’90 ci appaiano oggi quasi anacronistiche, la formazione genovese cerca di dare una sua impronta ben definita, bilanciando i vari elementi del proprio sound. Efficace “La Grotta Di Cristallo”, pezzo dal sapore medievale che, complice anche l’uso dell’italiano, ci riporta indietro nel tempo, richiamando una tradizione che possiamo vantare come parte integrante del nostro DNA. Purtroppo la prova dei Winterage viene penalizzata da suoni non all’altezza, che impastano gli strumenti e non permettono di cogliere a pieno il potenziale della band, che invece risulta molto più visibile durante l’ascolto del loro album in studio, il quale, come ci hanno tenuto a sottolineare i ragazzi durante l’esibizione, vede la collaborazione di una vera orchestra.
PATH OF SORROW
Dopo le ambientazioni fiabesche dei Winterage, le atmosfere si incupiscono con i Path Of Sorrow, anch’essi di Genova, che salgono sul palco per presentare al pubblico il loro “Fearytale”. Lo stile del gruppo è un melodic death metal che, pur rimanendo classico nello stile, riesce a differenziarsi grazie al taglio horror dato alle composizioni. Il cantante Mat si rivela un buon frontman e la band suona compatta, coinvolgendo gli astanti con una proposta diretta ed efficace. Interessante anche l’espediente scenografico di mettere in bella vista un grosso tomo in cui ogni pagina rappresenta un brano della scaletta, illustrato appositamente. La band, che vuole evocare le ambientazioni dei racconti dell’orrore, in questo modo aiuta l’ascoltatore a calarsi nel suo mondo, dando un filo conduttore al concerto favorendolo a livello narrativo. Nel tempo concesso ai Path Of Sorrow vengono sciorinati molti estratti dal loro album di esordio, come “Nobody Alive”, “Survive The Dead” e “The Crawling Chaos”: il pubblico, ancora scarso, sembra apprezzare e più di una testa inizia a scuotersi al ritmo del melodic death del quintetto. Sulle note di “Under The Mark Of Evil” si conclude la prestazione dei Nostri, che salutano il pubblico e suggellano in questo modo una performance convincente.
DOOMRAISER
Attivi ormai da una quindicina d’anni e forti, quindi, dell’esperienza maturata palco dopo palco, si presentano al pubblico del Dagda i Doomraiser, che iniziano subito a percuotere la platea con le loro mastodontiche composizioni. La loro musica vive e respira quella indolente possanza che non necessita della furia più cieca, ma si scuote e massacra il pubblico schiacciandolo con potenza inarrestabile. Il doom metal proposto dalla formazione romana ha coordinate classiche e mescola con sapienza passaggi più tradizionali, con la voce maestosa di Cynar a tenere banco, a passaggi più oscuri dove il cantante si avventura in ruggiti di matrice death. I brani si susseguono e il risultato è assolutamente convincente, sebbene si intuisce che qualcosa non sia perfetto a livello sonoro sul palco, con i musicisti che fanno segni al fonico per aggiustare i volumi. Poco male, comunque, perché nella platea invece le note si riversano come onde di energia: la lunghe composizioni dei Doomraiser hanno il pregio di saper crescere, evolvendosi, strato dopo strato, come un muro che diventa sempre più inespugnabile. Il pubblico, che nel mentre inizia ad affluire, sembra apprezzare la proposta, sebbene ci sia una buona fetta degli astanti che preferisce sfruttare il tempo pre-headliner per prendere una boccata d’aria nell’area esterna e per cenare. Il risultato finale della performance, invece, segna uno dei punti più interessanti della manifestazione, almeno fino a quel momento, introducendo nel migliore dei modi l’ultima band di casa nostra prima degli attesi Moonspell.
THE FORESHADOWING
Tocca ai The Foreshadowing il compito di chiudere questo interessante spaccato musicale del nostro Paese e la scelta non poteva essere migliore: la formazione romana, infatti, si è costruita nel tempo una carriera credibilissima, che si è confermata in buona salute con la pubblicazione del pregevole “Seven Heads Ten Horns”. L’esperienza e l’affiatamento si vedono e le canzoni proposte vengono rese con eleganza e trasporto: il gothic doom del quintetto possiede quella preziosa capacità di avvolgere l’ascoltatore in una trama sognante e onirica, senza risultare mai melensa o banale, mentre la voce di Marco Benevento, pur con qualche problema di bilanciamento nei volumi rispetto al resto degli strumenti, si innesta nella trama melodica con calore ed intensità. La scaletta proposta dai musicisti è ben bilanciata tra passato e presente, con ottimi estratti dall’ultimo album, come “Two Horizons” e “17”, alternati ad altri episodi più vecchi, con un occhio di riguardo all’album di debutto, “Days Of Nothing”, che compie quest’anno il suo primo decennio di vita. Proprio la title track di quest’ultimo, assieme a “Departure”, rappresentano due dei momenti più interessanti dell’intero concerto, complice anche un approccio più lineare, molto adatto alla dimensione live. Lo show si chiude con “Chant Of Widows” da “Oionos” e i The Foreshadowing raccolgono un meritato applauso mentre la sala, finalmente, inizia a riempirsi con l’approssimarsi dell’arrivo della band lusitana.
MOONSPELL
Le note di “Perverse… Almost Religious” risuonano tra le pareti del Dagda e l’occhio egizio della copertina di “Irreligious” troneggia sul pubblico mentre Fernando Ribeiro e soci fanno il loro ingresso, per poi esplodere nell’esecuzione di “Opium”. Il pubblico in visibilio, ovviamente, non si fa pregare e si getta con trasporto nell’opera più celebre dei Moonspell, che festeggia quest’anno ben venti anni di vita. Benché anche questa serata sia dedicata ai primi due storici full-length della band, la struttura del concerto si differenzia rispetto a quanto proposto lo scorso autunno al Live Music Club, dove vennero riproposti nella loro interezza dall’inizio alla fine. Questa volta la formazione portoghese opta per una sorta di ‘best of’, tenendo comunque ben separati i due album. Si parte con “Irreligious”, che avrà un ruolo preminente nell’economia del concerto: vengono proposti quasi tutti i brani in ordine, con l’esclusione di “A Poisoned Gift” e “Subversion”, saggiamente escluse, e “Full Moon Madness” che invece verrà spostata al termine del concerto come chiusura definitiva della serata. Particolarmente apprezzate la sulfurea “Mephisto” ed “Herr Spiegelmann”, che viene accolta da un vero e proprio boato. Da “Wolfheart”, invece, vengono estratti cinque pezzi: “Wolfshade (A Werewolf Masquerade)” e “Vampiria” ci catapultano nelle atmosfere horror e al tempo stesso sensuali che i Moonspell sanno ricreare con rara maestria; “Ataegina” e “Trebaruna” portano a galla il lato gitano e folcloristico, retaggio della propria terra di origine; mentre il capolavoro “Alma Mater” travolge i presenti e si conferma come una vetta forse ineguagliata nella mutevole carriera dei Moonspell. Lo ammettiamo, ci sarebbe piaciuto ascoltare almeno “An Erotic Alchemy”, ma ci dobbiamo accontentare e, d’altra parte, c’è davvero poco di cui lamentarsi. Ineccepibile la band, che ripropone i classici della sua discografia con sicurezza e perizia, mentre Ribeiro ammalia il pubblico con il suo carisma selvatico e sfrenato, incitando gli astanti, dimenandosi nei passaggi strumentali e giocando con i suoi tradizionali specchi, riverberando sul pubblico i fasci di luce che lo avvolgono. La scaletta ‘classica’ si conclude e la band abbandona il palco tra le ovazioni del pubblico, ma sappiamo che c’è ancora tempo per qualche canzone: questa volta, però, la band decide di ritagliarsi un piccolo spazio anche per il materiale più recente, lasciandoci con delle poderose esecuzioni di “Breathe (Until We Are No More)”, “Extinct” e “Night Eternal”, dimostrando, se ancora ce ne fosse bisogno, che la loro storia non si esaurisce con quei due storici lavori. Un altro centro, dunque, per i Moonspell, che suggellano una giornata assolutamente positiva, che ha visto vincitori non solo gli eccezionali headliner, ma anche le altre band che hanno arricchito la terza edizione del RockLand Metal Fest.