Report a cura di Giovanni Mascherpa
Il cuore pulsante dell’underground non batte nei centri nevralgici delle nazioni, nelle cattedrali della modernità, nei quartieri fashion e modaioli. Lo si deve cercare in luoghi che tengono lontani chi è appagato dalle apparenze, dalle languide agiatezze; si va allora in periferia, posti raccolti dove sparuto è il pubblico e spartano è il contorno, anche se vengono concesse le condizioni minime per offrire il meglio di sé agli artisti impegnati. È allora un’umida serata di fine luglio quella che vede arrivare a Rozzano, periferia milanese non esattamente fra le più glamour, l’eclettico trio Rolo Tomassi-Loathe-Cryptodira, due esponenti del Regno Unito e uno, l’ultimo citato, dagli Stati Uniti, stretti sui loro furgoni, ben lontani per dimensioni e comodità dai tourbus coi quali viaggiano musicisti un minimo affermati. Nonostante gli headliner, i Rolo Tomassi, in cinque album e svariate altre pubblicazioni minori, siano diventati un nome importante tra gli ascoltatori di hardcore-metal evoluto e progressivo, in termini meramente numerici il quintetto non può permettersi grandi platee. Men che meno i gruppi di supporto, dal ruolino di marcia più esiguo (un album a testa e poco altro), ancora nella fase di lotta assidua per ritagliarsi un barlume di notorietà e credibilità. Quel tanto che basta per andare in giro, suonare, divertirsi, sgolarsi davanti a qualche decina di persone, come accade puntualmente in uno Svolta caldo per motivi ambientali e, a dispetto di presenze nell’ordine dei cinquanta-sessanta paganti, ben disposto a farsi coinvolgere dalla variegata offerta sonora di giornata.
CRYPTODIRA
I Cryptodira sono sicuramente la band più estrema tra quelle presenti e percorrono con ardita spericolatezza strade tendenzialmente accidentate, di pavimentazione poco uniforme e inclini a far deragliare verso sentieri laterali abbastanza in fretta. Di partenza inquadrabile nel prog-death striato di -core e djent, questo ensemble presenta molteplici facce, così tante che non è impresa facile decifrarle chiaramente e non tutte danno il medesimo grado di soddisfazione. Ottime le schegge grind e math-core, dirompenti i breakdown, apprezzabili i funambolismi solisti, meno a fuoco le schermaglie di prog diluito e levigato e un po’ sopra le righe alcuni interventi vocali, che vanno a saturare di acrimonia attacchi strumentali che non ne avrebbero per forza bisogno. Ravvisiamo una certa voglia di comprimere a tutti i costi tanta roba in poco spazio, ansia che avvolge molti gruppi di cospicuo bagaglio tecnico e giovane età e che, di per sé, non è affatto un male. I Cryptodira nel complesso non dispiacciono, suonano bene e tengono il palco con furore e convinzione, pur se la concentrazione dei presenti non è ancora altissima e l’avvicendarsi brusco di partiture ora massicce e inestricabili, ora rarefatte ed eteree, fa perdere a volte il filo del discorso. Le potenzialità per ora non sono espresse a pieno, anche se allo Svolta il trio non demerita e regala una mezz’ora di interessante violenza fisica e concettuale. Per i fan di Between The Buried And Me e affini, un nome da tenere presente.
LOATHE
Vedere i Loathe sul palco è come fare un tuffo negli anni ’80 più colorati, sbarazzini e insensati, quelli del crossover ridanciano dei Faith No More, se non di formazioni minori come Scatterbrain, SGM, Ignorance. Un chitarrista in vestaglia nera e ciabatte, un altro con una camicia disegnata sotto acido, buona forse per una discoteca di infimo grado e forse pure lì già fuori moda da vent’anni almeno, l’impressione generale che cinque individui, a caso, si siano buttati sullo stage senza avere in comune nulla l’uno con l’altro. Al centro, un giovane ragazzo di colore sorridente, fascio di nervi pronto a scattare e dar spettacolo. Due monitor ai lati del palco fanno scorrere immagini dei video girati finora dai ragazzi, all’attivo l’album “The Cold Sun” (2017) e due ep, che nonostante qualche problema a una delle due chitarre, risolti senza smettere di suonare, in un lampo dimostrano di avere un gran bel presente e un futuro tutto da scrivere e ammirare. Probabilmente e sperabilmente in contesti più celebrati, almeno a casa loro e in altri paesi europei di larghe vedute. Karim France, il frontman, si mette a urlare con una splendida voce nera hardcore che fa tanto Bad Brains, mentre i compagni scagliano pietre sotto forma di un metalcore snodato e massacrante. Groove, tocchi di sponda funky, tempi dispari, rappate esagitate, tecnica fumigante al servizio dell’impatto, stacchi quadrati si intersecano in un suono marmoreo e spaventosamente catchy. Chorus sanguigni e riff collassanti si coagulano attorno a brani disordinati, scorrevoli, caracollanti fra tentazioni più commerciali e la voglia di sperimentare e abbattere muri. La frenesia vocale prende la scena, il singer scende dal palco a far positiva gazzarra, attorniato da ragazzi che, con nostra sorpresa, conoscono molto bene il materiale del gruppo, francamente ignoto a chi scrive. Compattissimi, stralunati, ingegnosi nelle loro piccole trovate strumentali ed estremamente genuini, i Loathe in mezz’ora si rendono protagonisti di uno show eclatante. Non capita spesso di vedere musicisti così straripanti nel modo di essere e vivere la propria musica, indomabili e istintivi, poco attenti – per nostra fortuna – a pose studiate e look. Una graditissima scoperta.
ROLO TOMASSI
Stavolta siamo preparati a quello che sta per arrivare, non come l’anno prima al Brutal Assault quando abbiamo scoperto la formazione dei fratelli Spence. Il livello raggiunto nello straordinario “Time Will Die And Love Will Bury It” colloca i cinque inglesi fra le eccellenze assolute del metal estremo contaminato, evoluto e avveniristico, un punto di riferimento imprescindibile se si vuole capire dove siano arrivate le contaminazioni fra hardcore, progressive, dreampop e extreme metal. I Rolo Tomassi sono abituati a dare il massimo sia davanti a grandi platee – solo pochi giorni prima hanno fatto da spalla agli Architects – che nei club più spartani, e quella che va in scena allo Svolta è una pura e semplice dimostrazione di classe, confezionata in un formato tanto ruvido e terrificante quanto gentile e sensibile. Va detto che la cura dei suoni, per tutti e tre i gruppi, si è rivelata molto buona, quindi gli headliner non devono scendere a compromessi per far apprezzare al meglio le loro sfaccettate composizioni. Il danzare delle tastiere è l’efficace bilanciamento di chitarre che lambiscono il death metal in alcuni passaggi particolarmente pesanti e che quando si aprono le cateratte del math-core più contorto, il bozzolo da cui è uscita l’attuale farfalla Rolo Tomassi, assestano sciabolate fatali all’uditorio. L’elettronica dona atmosfere sofisticate, i feeling mutano bruscamente, fra la malinconia, l’incanto, la tristezza delle nenie in voce pulita, al panico apocalittico dei tornado in indefinite tonalità –core, dilaniati da urla orchesche. Eva Spence si muove sinuosa, compie passi di una stramba danza, nella quale il filo del microfono ha la funzione dei nastri nella ginnastica ritmica e il dondolio del corpo segue l’obliquità delle ritmiche e il favellare tenue delle tastiere. La scaletta seleziona esclusivamente episodi degli ultimi due album e l’ultimo disco fa ovviamente la parte del leone, masterpiece che dal vivo rivendica orgogliosamente la sua densità di dettagli, la potenza dei crescendo, la vastità delle influenze, ricondotte a uno stile che oggi come oggi non ha eguali. Destreggiandosi fra due microfoni, uno per i momenti da strega, l’altro per quelli da sirena, la Spence risplende di grazia e furore, gli altri la seguono e la sostengono, schivi e forti della loro raggiante musicalità. L’apoteosi di beatitudine di “A Flood Of Light” chiude un concerto sentito e vibrante, da parte di un gruppo straripante creatività ed eccezionale nel dar forma alle sue creazioni in sede live
Setlist:
Rituals
Funereal
Balancing The Dark
The Hollow Hour
Alma Mater
Stage Knives
Contretemps
Opalescent
Aftermath
A Flood Of Light