Dopo l’inaugurazione lo scorso maggio, che aveva visto protagonisti October Tide, Negura Bunget e altri, oggi ritorna, con il nuovo anno, una nuova edizione del Romaobscura, rivolto alla frangia più “fosca ed ombrosa” del metal estremo. Il bill di quest’anno, poi, costituisce un piatto ghiottissimo per gli affezionati a questo tipo di sonorità e non solo: infatti la calata in terra romana dei Primordial assume le proporzioni di un evento quasi mitico ed imperdibile, poiché a memoria di chi scrive non si serba ricordo di un loro passaggio in queste zone da molti anni. Purtroppo, causa proverbiale traffico capitolino, siamo costretti a perderci i giovanissimi Seventh Genocide (del cui black atmosferico e di alcestiana memoria serbiamo però un ottimo ricordo, avendoli visti lo scorso settembre) e la prima parte dello show dei calabresi Glacial Fear, autori di un death metal aggressivo e tritaossa. Il Traffic sembra essere discretamente popolato questa sera, si respira l’atmosfera delle grandi occasioni ed un’aria di chiacchiereccia e palpabile attesa. A voi il resoconto di sette ore di concerti da ricordare.
SHORES OF NULL
Acclamati da molti come la nuova gemma del metal italiano, gli Shores Of Null si presentano sul palco con la sicurezza di avere una platea favorevole davanti. Il supergruppo formato da membri di Zippo, The Orange Man Theory e Noumeno (tra gli altri) e fresco di firma per Candlelight, non perde tempo e dopo l’intro strumentale fa deflagrare “Kings Of Null” in tutta la sua cadenzata potenza, seguita a ruota da “Souls Of The Abyss”, due pezzi che si preannunciano come portentosi cavalli di battaglia per il futuro della band. Si noti come, nonostante la recentissima formazione, i cinque ragazzi siano coesissimi sul palco e non sbaglino una nota del loro denso doom melodico e decadente, regalando agli astanti una performance di alto livello: la coppia di voci Davide Straccione/Gabriele Giaccari si sposa perfettamente con il lavoro degli altri membri e trova il suo acme nell’esecuzione di “Quiescent”. In attesa del loro primo disco, gli Shores Of Null sono un piccolo germoglio rigoglioso che ha tutte le carte in regola per trasformarsi in una solida quercia.
ABYSMAL GRIEF
I venti minuti di cambio palco tra un gruppo e l’altro servono a trasformare il Traffic in un’arcana cripta sconsacrata, nascosta sotto le fondamenta di una qualche chiesa profanata dal tempo. Candele, candelabri e croci sono sparse un po’ ovunque e l’odore d’incenso artiglia l’olfatto, messaggero della venuta dell’oscuro, misterioso quartetto ligure. Rintocchi di campane e scale d’organo radunano una foltissima schiera di adepti, segno che ancora una volta l’unione tra ottimo doom, mistero e un pizzico di (dis)sacralità è sinonimo di culto affezionato e sentito. Dall’ombra ecco Labes C. Necrothytus, tastierista e demoniaca voce della band, uscire e salutare con un enigmatico inchino, unica relazione che avrà col pubblico. Per il resto suoni cupi, distorti e soffocanti uniti ad un muro di nebbia sempre più denso avvolgono il locale in un mefistofelico abbraccio senza ritorno. L’atmosfera da B-movie horror settantiano che viene evocata da pezzi come “Crypth of Horror” e “Lords Of Funerals” (tratto da “Feretri”, full length dall’emblematico titolo uscito lo scorso anno) è suggestiva, con le chitarre roboanti di Regen Graves che intessono insieme al basso dell’incappucciato Lord Alastair e alle argentine tastiere una complicata ragnatela di black-incubi che odora di Goblin e non solo. E’ solo quando, dopo la cover di “Chains Of Death” dei Death SS, il fumo si dirada e mostra un palco nuovamente vuoto che ci risvegliamo dalla sinistra trance che ci aveva colti. E’ stato un privilegio poter assistere all’esibizione di un gruppo di tale calibro. Gemma oscura del nostrano panorama estremo musicale.
DOOMRAISER
Dopo la soffocante performance degli Abysmal Grief sentiamo il bisogno di respirare aria non mefitica e rifocillarci, per cui sacrifichiamo in favore della cena, seppur a malincuore, la nera performance degli Handful Of Hate, che provvedono a tenere alto il malvagio vessillo del black metal italiano. Nuovamente in forze, rientriamo nel locale (ora veramente affollato) per assistere all’esibizione dei Doomraiser, gruppo romano che, come possibile notare dalla varietà di maglie, toppe e quant’altro presenti sotto al palco, può vantare un ben nutrito ed affezionato seguito. Dopo una decade di onorata carriera, i Nostri salgono quindi sul palco acclamatissimi e senza perdere tempo ci catapultano su lisergiche lunghezze d’onda con “Another Black Day Under The Dead Sun”, tratto da “Erasing The Remembrance”, secondo disco della band. Il loro è un doom acidissimo e storto che profuma prepotentemente di Black Sabbath ed Electric Wizard, la voce di Nicola ‘Cynar’ è calda e graffiante e si sposa alla perfezione con il basso greve di Andrea ‘Bj’, potente e trascinatore. Il pubblico gli riserva la calorosa partecipazione degli ospiti di casa ed accoglie bene anche “Mirror Of Pain”, pezzo che sarà contenuto nel prossimo lavoro del quintetto, e “Dream Killers”, direttamente dallo split dello scorso anno con i Caronte. Tetragoni e blindati, i Doomraiser ipnotizzano la platea come lo sguardo mortale di un black mamba in una spirale monolitica ed asfissiante senza fine. La conclusiva “Like A Ghost” ci lascia allucinati, con la mente che vaga lungo le Montagne della Follia… Una certezza per i cultori del metallo più pesante e monolitico.
PRIMORDIAL
La voce profonda e melodiosa di Liam Weldon che canta “Dark Horse On The Wind” (da sempre usata come intro per i loro live) si fa araldo dell’arrivo sul palco dei quattro irlandesi. C’è chi trattiene il respiro, chi canticchia l’intro, ma tutti gli occhi sono puntati su Alan Averill, cantante e forza trainante del gruppo. E questa sera nessuna aspettativa rimarrà delusa, perché il carismatico frontman è in stato di grazia e si vede già dalle prime battute di “No Grave Deep Enough”: per vent’anni (come egli stesso ammette) sono stati lontani i Primordial da Roma e stasera hanno intenzione di donare al pubblico tutto il possibile, anche con gli arretrati. A testimonianza di ciò, dopo “Gods To The Godless”, unico estratto da “Spirit The Earth Aflame” insieme a “The Burning Season”, la scaletta che il quartetto di Dublino propone è veramente da brividi: alla classica, cadenzata “Sons Of The Morrigan”, seguono un’intensissima “Gallows Hymn”, epica, decadente marcia verso terre devastate, e “Bloodied Yet Unbowed”, cantata da Alan quasi immerso nella folla, alla ricerca, mediata da una gestualità sapiente da druido guerriero, di una viscerale empatia con chi gli è davanti, che non si tira indietro ma, anzi, partecipa cantando a squarciagola e creando un massacro nelle prime file degno delle battaglie di Mag Tuired. Ma il culmine della serata arriva con l’annuncio che tutti aspettavano spasmodicamente, quella “As Rome Burns” che incendia gli animi del pubblico capitolino: l’arpeggio delle chitarre di MacUilliam e O’Floinn sembra quasi svanire nel crescendo del corale “sing, sing, sing to the slaves that Rome Burns!”, minaccioso riverbero di un passato di conquiste, liberazioni, sangue ed indipendenza tanto cara ai quattro discendenti di Mìl Espàine, i quali non esitano a trasformare il Traffic in un’epica pira funebre con quella commistione di ritmiche tiratissime e al contempo solenni che è tra i loro segni distintivi. Perché, mentre “The Mouth of Judas” scivola via malinconicamente seguita dall’immancabile e inossidabile “The Coffin Ships”, navigando (letteralmente) verso la fine della serata ci rendiamo conto che i Primordial sono garanzia di show memorabili, impressi nel cuore e nella mente degli spettatori a lungo, come cicatrici di guerra. Hanno saputo coniugare la vena folkeggiante color del verde dei prati sterminati dell’Irlanda con le asprezze e la desolazione del metal più ‘blackened’ senza mai scadere nell’ovvio o nel già sentito, mantenendo un profilo sobrio ma al tempo stesso solenne. E così, dopo aver chiamato a raccolta le “Heathen Tribes”, Alan e soci compiono l’opera con la splendida “Empire Falls” (ennesimo estratto da quel “To The Nameless Dead” che secondo chi scrive è tra i capitoli migliori della loro discografia), lasciando il palco (ed un pubblico attonito ed estatico) visibilmente soddisfatti della loro impresa. Rimane solo un’eco distante, che come vento tra perdute tombe pagane mormora…
“Every empire will fall
Every monument crumble
Forgotten men who watch the centuries”.
Setlist:
Dark Horse On The Wind (intro)
No Grave Deep Enough
Gods To The Godless
Lain With The Wolf
Sons Of The Morrigan
Gallows Hymn
Bloodied Yet Unbowed
As Rome Burns
Journey’s End
The Mouth Of Judas
The Burning Season
The Coffin Ships
Heathen Tribes
Empire Falls