A cura di Marco Gallarati
I Rotting Christ ultimamente stanno diventando degli habitué delle pagine di Metalitalia.com. Anche perché stanno riservando proprio un trattamento speciale al Belpaese, questa volta toccato per la bellezza di quattro date – nell’ordine Gorizia, Parma, Novara e Roma – e con solo un intermezzo svizzero a spezzare il gran finale italico della nuova tournée europea del combo greco. Siamo presenti a Romagnano Sesia, alla Rock n’ Roll Arena, dove in un sabato primaverile dal tempo incerto si é data appuntamento una manciata di metallari irriducibili, interessati e ben partecipanti. A supportare i Rotting Christ, un cospicuo nucleo di band: l’eterna promessa finlandese Omnium Gatherum; i Daylight Misery, anche loro ellenici; e due entità symphonic black metal nostrane assolutamente da non sottovalutare, Dark End e Riul Doamnei. Preso nota della non spiegata assenza degli svizzeri Arcturon, entriamo nel locale quando i Riul Doamnei hanno iniziato da qualche minuto il loro vibrante show…
RIUL DOAMNEI
Non conosciamo – se non per aver sentito in giro il loro particolare nome – i veronesi Riul Doamnei, ma non appena poniamo l’attenzione su quanto accade sul palco, subito ci tocca aguzzare occhi e orecchie, in quanto i ragazzi hanno davvero tutto per fare un’ottima figura anche al di fuori dei palchi nazionali: suonano musica abbastanza personale, un symphonic black metal moderno e contaminato da death, thrash e gothic senza troppe restrizioni di sorta; capacità tecniche sopra la media; presenza scenica e impatto d’insieme d’assoluto valore; look e scenografia minimale da palco in tono con lo stile proposto, con i cinque ragazzi agghindati in tuniche da prelati o da arcivescovi che siano; il frontman, vocalist e chitarrista Federico è spigliato a presentare e spiegare il significato concettuale dei brani, senza mostrarsi ridicolo e/o supponente; infine – e ci pare quasi incredibile, essendo l’opening-act – i Riul Doamnei hanno anche avuto i suoni migliori della serata! Veramente una bellissima sorpresa, dunque, che ci ha tenuto incollato lo sguardo al palco, nonostante il genere non sia esattamente il preferito di chi scrive. Non ci pare di dire una grossa castroneria, se buttiamo lì che i Cradle Of Filth, notoriamente scarsini on stage, farebbero magra figura di fronte ai nostri Riul. Bravissimi! E andate subito ad ascoltarveli!
DARK END
Restiamo in campo symphonic-black metal anche con i successivi Dark End, combo emiliano che ha all’attivo due full-length album, “Damned Woman And A Carcass” e “Assassine”. Le ritmiche si fanno più serrate rispetto ai Riul Doamnei, i Dark End hanno un approccio più orrorifico e teatrale al black metal sinfonico, sebbene le parti solistiche di chitarra di Images siano molto melodiche e facciano sfociare la musica del gruppo in accenni di gothic metal. Il frontman Animae si ispira piuttosto esplicitamente all’operato di Dani Filth ed è comunque apprezzabile l’impegno nel voler fornire anche un surplus visivo e artistico alla performance musicale, con tanto di corona di spine, guanti artigliati, candelabri accesi e sindoni insanguinate mostrate durante il corso della performance. I suoni sono stati per tutto il tempo un po’ confusi, soprattutto la resa della batteria non è stata ottimale, considerato anche che i Dark End si sono esibiti senza basso. La presenza scenica è tutta (troppo) incentrata sul frontman, e questo aspetto ci porta a preferire i Riul Doamnei fra i nostri due gruppi di stasera, apparsi più coesi e compatti. Piacevole prestazione anche per i Dark End, comunque, le lunghe suite dei quali hanno avuto buona presa sul pubblico presente, in lento ma costante aumento.
DAYLIGHT MISERY
I greci Daylight Misery, vicini di casa dei Rotting Christ e nome semi-emergente della grande scena black-gothic ellenica, hanno avuto l’arduo compito di presentarsi dopo le due formazioni di casa, che comunque avevano i rispettivi zoccoli duri di seguaci appresso, ed essere a tutti gli effetti il gruppo meno conosciuto del bill. Difatti, dopo i primi minuti di “Endless Fairytale”, ecco verificarsi la tanto temuta diaspora della prima fila di spettatori. Bisogna anche dire che questi ateniesi hanno smorzato con forza l’appeal della serata, proponendo con precisione ma relativa flemma il loro doom-gothic metal melodico chiaramente influenzato dai gruppi di metà anni ’90, Paradise Lost, Amorphis, Crematory, Heavenwood e gli stessi Rotting Christ di “A Dead Poem” su tutti. Da migliorare la presenza scenica, troppo dimessa, mentre il sound va bene così com’è, in pieno revival mid-Nineties. Prima di chiudere con “Depressive Icons”, title-track del loro esordio autoprodotto, ecco a sorpresa la cover di “Black Tears” degli Edge Of Sanity, canzone che, anche grazie al successo degli Heaven Shall Burn, sta vivendo una seconda, meritata giovinezza. Belle tracce per i Daylight Misery e show in crescendo di pubblico, riapparso in discreto numero dopo qualche brano.
OMNIUM GATHERUM
Arriviamo ai finlandesi Omnium Gatherum, band che da anni è in procinto di esplodere ma che puntualmente offre al pubblico metallaro dischi altalenanti e mai completamente convincenti. Esattamente come lo spettacolo tenuto alla Rock n’ Roll Arena di Romagnano Sesia. Eppure i ragazzi, a fine concerto, hanno ottenuto moltissimi applausi e riconoscimenti, segno evidente che la performance è stata apprezzata. Bisogna sicuramente dire che la band ce la mette tutta per accattivarsi le simpatie dell’audience, soprattutto grazie al cantante Jukka Pelkonen – un Jon Bon Jovi capitato per caso ad un concerto di extreme metal! – impossibile da frenare nel suo continuo cercare l’approvazione del pubblico, menar le corna per aria, sorridere a destra e a manca, stringer mani di qua e di là, tutto in verità al limite del fastidioso. Il death melodico complesso e strutturato dei finnici non riesce a far molta presa neanche dal vivo, tranne nei rari momenti in cui il groove la fa da padrone e allora sì che viene da scapocciare. “Nova Flame”, “Deep Cold” e “Chameleon Skin” sono state fra le canzoni suonate durante una setlist aggiratasi attorno alla quarantina di minuti e tutto sommato eseguita con notevole perizia ed (esagerato) entusiasmo. Come scritto sopra, positivo il responso dell’audience, ai confini della noia il nostro.
ROTTING CHRIST
Cresce ovviamente l’attesa per i Cristi dell’Ellade. Nel giro di meno di un anno, il sottoscritto è la terza volta che li segue dal vivo e, come facilmente prevedibile, la pecca più grossa ravvisabile ai greci è la poca varietà di setlist, considerata l’alta ripetibilità dei loro cavalli di battaglia. Ci saremmo magari aspettati, questa volta, una scaletta con qualche episodio meno noto o più datato, invece i Rotting Christ ci hanno snocciolato la solita serie di brani che – per carità di Satana – se da un lato ci esaltano per intensità, groove ed epica melodia, dall’altro iniziano un po’ a tirare la corda; eccezion fatta per qualche traccia davvero immancabile, come ad esempio “Eon Aenaos”, “Phobos’ Synagogue”, “King Of A Stellar War”, “The Sign Of Evil Existence” e “Non Serviam”, quest’ultima utilizzata come bis e durante la quale Sakis è salito sul palco indossando un elmo da battaglia. Come sempre estremamente coinvolgenti, marziali e veraci nel loro atteggiamento, i quattro greci hanno incendiato l’arena grazie ad uno show preciso e volitivo, suonato senza risparmiarsi e giocando sull’impatto dirompente dei loro groove e delle loro feroci accelerazioni. Themis, George e Andreas fanno da perfetti opliti a re Sakis, che ancora una volta ha condotto i Rotting Christ attraverso un concerto vittorioso e rimasto senza prigionieri. Ora consigliamo ai RC di riposare e ricaricare i muscoli un po’, però, perché altrimenti rischiano di lasciare scoperti i punti deboli…