Il Rottura Del Silenzio non è mai stato un festival dai grandissimi numeri o dalla vasta copertura mediatica, ma è sicuramente una manifestazione longeva, visto che ormai con l’edizione del 2023 siamo vicinissimi a raggiungere il quarto di secolo di esistenza, un traguardo non indifferente nell’incerto panorama dell’organizzazione di concerti in Italia.
La rassegna musicale dedicata a rock, metal, hardcore e derivati anche quest’anno si è svolta nell’incantevole sede dell’associazione Ekidna, le ex scuole elementari della frazione di San Martino in Secchia, un angolo di provincia modenese immerso nel verde e nella tranquillità.
A differenza di altre edizioni, più varie nella proposta, quella di quest’anno ha ospitato un bill decisamente orientato sul death metal, il grindcore e le varie contaminazioni dell’hardcore; la manifestazione si è svolta in due giornate e ha visto in cartellone nomi come The Modern Age Slavery, oVo, Nadsat, Sedna e altri ancora.
Chi scrive sottolinea sempre alcune caratteristiche fondamentali di ogni evento live che non riguardano direttamente il bill ma il contesto: nel caso del Rottura Del Silenzio possiamo tranquillamente affermare che si tratta di una delle situazioni più vivibili e rilassanti presenti sul territorio con prati, ombra, servizio bar/cucina economici e di buona qualità, area merch e quell’atmosfera di familiarità che non guasta mai.
SABATO 17 GIUGNO
Attorno alle 17 di un afoso pomeriggio di sole tocca ai MARȂS aprire le danze con il loro post-hardcore venato di metal estremo. I quattro sono una band di recente formazione e presentano proprio in questo periodo il loro primo EP “Umane Miserie”. Il tempo a loro concesso, trenta minuti, li vede esibirsi in sonorità che richiamano Converge o Zao, anche se dalle trame di chitarra emerge anche un certo feeling di malinconia oltre che di proverbiale rabbia. E’ comunque soprattutto la band della Virginia ad essere il riferimento principale per i Marȃs, visto che è l’alternanza delle voci in growl e scream a colpire maggiormente l’ascoltatore.
Nel complesso la loro è una notevole prestazione per una band al debutto, anche se i musicisti che abbiamo visto sul palco non erano proprio ventenni, elemento che ci fa sospettare come i Marȃs stiano raccogliendo, con questa esperienza, i frutti di militanze precedenti. Poco da aggiungere: bravi.
Mentre siamo all’ombra a sorseggiare una birra è il momento degli HERETKAU, gruppo strumentale di cui non sapevamo praticamente nulla fino a qualche minuto prima, se non che sono sorti dalle ceneri di un gruppo piuttosto noto in Emilia, i Jesus Ain’t In Poland. La proposta dei nostri è piacevole e si configura in un rock/metal groovy, ideale incrocio fra i vecchi Karma To Burn, stoner rock placido e qualche tentazione di metal estremo più canonico.
I brani si susseguono piacevolmente, mostrando una buona struttura e cura sonora. La loro esibizione, rilassante nel caldo del tardo pomeriggio, rappresenta un altro degli elementi tipici di una manifestazione come il Rottura Del Silenzio: la scelta delle band, quasi mai solo per ‘far cassa’ e sempre alla ricerca di piccole realtà di valore.
A questo riguardo, per i più curiosi di voi, sarà sufficiente ritrovare i precedenti poster per rendersi conto di quanti gruppi diventati poi ‘importanti’ abbiano calcato il palco dell’Ekidna di Carpi.
Le presenze nel parco della scuola elementare non sono tantissime quando sul palco arrivano i PAPEROGA, duo di Jesi che mette in chiaro subito come la successiva mezz’ora sarà dedicata alla sperimentazione.
Partendo dal math-core, il duo spara bordate grindcore e noise ad altissimo voltaggio e i presenti si assiepano quasi subito sotto al palco, rendendosi conto del cambio di atmosfera. Definire i PaperogA (sì, si scrive così) non è semplicissimo da un’ottica metallara come la nostra, ma potremmo dire che l’anima più folle è quella degli Agoraphobic Nosebleed, l’impatto grind è dei cugini Pig Destroyer e le sperimentazioni math invece sono quelle di nomi come Oxes o The Locust.
Solamente con batteria, chitarra e voce i nostri riescono ad annichilire l’audience, soprattutto utilizzando i brani di “Santa”, il disco del 2021. Se la vostra idea del math più folle corrisponde a tutti gruppi stranieri beh, è arrivato il momento di cambiarla.
Giusto il tempo di rifornirsi di una nuova birra e di una piadina (con poco più di dieci euro è possibile cenare e bere, cifre non più così comuni al giorno d’oggi) ed è il turno dei NADSAT, nome caldo del noise rock nostrano. Solamente in due sul palco, quasi a confermare come ai ragazzi dell’Ekidna piacciano i setting musicali inusuali, i Nadsat sono una sorpresa del panorama della musica arrabbiata tricolore e il recente “Torn Times” ha alzato l’asticella della loro proposta.
Si tratta di noise rock e post-hardcore, una miscela abrasiva e veloce di brani costruiti su sola chitarra e batteria su cui troneggia (solamente nell’ultimo disco) la voce di Michele Malaguti, una sorta di Matt Pike dal timbro molto più malvagio e sadico. Notevole anche la prova alla batteria di Alberto Balboni, suonata con la giusta attitudine. Dei riferimenti dei nostri possono essere, nel vasto panorama del genere, gli Shellac, anche se la rivisitazione nel caso dei Nadsat è molto più pesante, ossessiva e metallara, come la potrebbero fare, se vogliamo, i primi High on Fire del già citato Matt Pike.
E’ ormai sera inoltrata e il pubblico presente nelle zona ristoro e palco è di circa un centinaio di persone quando iniziano i SEDNA, post black-metal band cesenate ormai piuttosto nota sul suolo italiano. I nostri ripropongono, come parte centrale del loro set, la lunga traccia dall’ultimo disco “The Man Behind The Sun” accompagnandola da “Sons Of Isolation” e da un nuovo pezzo contenuto in un EP di recente pubblicazione. L’alternanza di black metal e umori doom/sludge è ormai perfetta: dei suoni all’altezza e l’allestimento delle luci sul palco aiutano a creare una corretta atmosfera sognante, ma allo stesso tempo minacciosa che arriva pienamente agli spettatori che dimostrano di gradire davvero.
I lunghi brani però non risentono di strutture troppo monotone e anzi, si nutrono del giusto quantitativo di ripetizione per attirare l’ascoltatore; riteniamo i Sedna in questo momento una band pronta a spiccare il volo verso una dimensione più ampia artisticamente e, permettetecelo, anche commercialmente, visto che i meriti ci sono tutti.
Attorno alle 23.30 è ora degli OVO, la creatura di Stefania Pedretti e Bruno Dorella attiva ormai da tempo immemore e con una discografia ben nutrita.
Esperienza d’avanguardia vera e propria, il progetto oVo nel tempo è entrato ed uscito più volte dai radar della scena propriamente metal: quello a cui abbiamo assistito in quel di Carpi corrisponde grosso modo alle coordinate stilistiche degli ultimi tre album del duo, ovvero uno sludge molto estremo con infiltrazioni hardcore ed elementi di rumorismo e ricerca sonora, compresi accenti elettronici. E’ pane per i nostri denti, insomma, e il loro show è fin da subito magnetico, con la voce e la chitarra di Stefania e la batteria di Bruno ad incantare la folla: riconosciamo i brani dell’ultimo “Ignoto” con l’evocazione lovecraftiana di “La Morte Muore”, ma tutto il loro set è un gran bel sentire per quanto riguarda feeling e padronanza degli strumenti. Quella degli oVo è musica certamente non per tutti, mancando spesso le strutture di base riconoscibili, ma certamente affascinante e densa di significato per chi è alla ricerca di suoni non scontati.
DOMENICA 18 GIUGNO
Seconda giornata di sole in quel di Carpi e stavolta tocca ai KEEP THE PROMISE ad aprire, in sostituzione dei defezionari Champaaagne. La band è un incrocio di più generazioni e vede in formazione Fabio MV Amico, già cantante degli storici Browbeat, affiancato da altri musicisti più giovani. Il suono, sin da subito cristallino grazie all’ottimo service fornito dall’Ekidna, è riconoscibile in una mistura di hardcore e metal che spazia tra Hatebreed e Stuck Mojo più i Machine Head del medio periodo e un feeling hardcore affine agli nomi più quadrati della scena di New York.
Vengono eseguiti tra gli altri i brani di un nuovo EP “Mass Extinction”, presentato in questa sede. Chi scrive, a parte degli ascolti casuali, si era perso i Keep The Promise fino a questo momento e ne è uscito con una buona impressione. Magari la miscela di metal e hardcore dei nostri non è così originale, ma è di sicuro stata eseguita con l’impatto giusto.
Attorno alle 19 è l’ora dei BRAINSORE, altra band nata dalle ceneri dei Jesus Ain’t In Poland da cui mutua il cantante, da noi subito riconosciuto per il celebre umorismo tra un pezzo e l’altro. Mentre il resto dei Jesus Ain’t In Poland si è spostato verso un genere differente (stiamo parlando degli Heretkau, in cartellone, come scrivevamo, il giorno precedentemente), i Brainsore continuano invece a proporre un death/grind vecchia scuola che rimanda ai classici del genere. La loro esibizione è interessante e violenta anche se i suoni non sono stati, a nostro avviso, realmente definiti e, non conoscendo le versioni da studio dei pezzi (il disco di debutto dovrebbe essere in uscita entro fine anno) sospendiamo per ora il nostro giudizio.
Verso le 20 l’atmosfera si scalda con i COFFIN SURFER, formazione dedita ad un death’n’roll dal forte tasso di divertimento ma anche di una certa personalità, tanto da risultare, a nostro parere, lo show migliore della giornata: stiamo parlando di un ibrido fra gli Entombed di “Wolverine Blues”,i Black Label Society (senza assoli e virtuosismi), i Death Breath e gruppi di passaggio come i Black Star di Jeff Walker, gli Helltrain o tedeschi Motorjesus.
Se aggiungiamo poi pure frangenti affini al bulldozer sound tipo di certo goregrind alla Gutalax, ciò che emerge è una band divertente e divertita, strumentalmente capace e in grado di far scapocciare, ballare e provocare mosh. Alla batteria, anche se temporaneamente in sostituzione del fratello, scorgiamo Alberto Balboni dei Nadsat, e la sua prova dietro le pelli è nuovamente trascinante. Carichi di groove e con l’atteggiamento giusto, i Coffin Surfer hanno realmente deliziato il pubblico del Rottura. Da rivedere presto, magari in un contesto simile all’Obscene Extreme, dove farebbero faville.
E’ ormai buio quando i fiorentini CANE DI GOYA prendono posto sul palco del Rottura e dopo le bordate di Brainsore e Coffin Surfer i tempi rallentano sensibilmente. Il loro regno è quello del post: si tratta infatti di doom/slugde non eccessivamente metallizzato ma insistente sulle atmosfere e sulla creazione di litanie sussurrate. L’allestimento del palco, le luci colorate e la macchina del fumo incorniciano un’esibizione rituale, solenne e sentita e lo scarso pubblico sotto al palco non rende loro giustizia. Un nome interessante che vi consigliamo di appuntarvi.
Mancano ormai due gruppi per concludere la rassegna e, anche stasera, notiamo come il pubblico accorso non sia numerosissimo, ancora una volta secondo noi attorno al centinaio di persone. La concorrenza di un festival dalle tematiche affini come il Low-L – tenutosi negli stessi giorni in quel di Piacenza – potrebbe aver influito, certo, ma dispiace sempre un po’ pensando alla qualità della musica che abbiamo sentito finora.
In ogni caso, la serata si rianima con i CROWDEAD di Mantova e il loro groove metal di matrice Lamb Of God e Pantera. I nostri hanno esordito qualche anno fa con il buon “Malphas”, di cui si aspetta un seguito a breve. Guidati dal coinvolgente frontman Roberto Renoffio, i Crowdead hanno mostrato tutte le carte in regola per intrattenere un pubblico ben più vasto. La loro formula è semplice: pezzi diretti costruiti su riff ben congeniati, linee vocali semplici e coinvolgenti e una presenza sul palco notevole. Se amate i Lamb Of God, sicuramente da recuperare.
Resta solo una band per concludere la seconda giornata del Rottura Del Silenzio e tocca ai THE MODERN AGE SLAVERY, tornati sul mercato di recente con “1901: The First Mother”.
Erano diversi anni che non avevamo la possibilità di vederli dal vivo e l’impressione è stata ottima dal punto di vista esecutivo: se i brani ci sono sempre stati, a Carpi abbiamo ritrovato una band matura, rodata e padrona del palco. Nemmeno un breve incidente all’impianto luci è in grado di interrompere il groove e l’impatto di brani vecchi e nuovi, suonati con perizia e coinvolgimento deliziano un po’ tutti quanti.
Numericamente, sono poche decine i fan che hanno atteso l’esibizione dei reggiani, ma il movimento sotto al palco non è mancato durante brani come le nuove “Pro Patria Mori” o “KLLD”. Al di là della quantità di pubblico presente e della proposta musicale in senso stretto, rispetto a quasi tutti i gruppi che si sono esibiti nella due giorni, la band di Luca Cocconi e Giovanni Berserk ha dimostrato di essere professionale e completamente padrona del palco, elemento che ci conferma come la scena underground italiana possa ormai contare su moltissime e solide buone band di medio livello.
Guardandoci indietro e ripensando a dieci, quindici o venti anni fa, non possiamo dire lo stesso. Se son rose fioriranno, insomma.