Quale miglior scusa di un evento metal in un periodo di ferie per giustificare una trasferta nel cuore della Germania? Il Ruhrpott Metal Meeting prende ovviamente il nome dalla zona geografica in cui viene organizzato e, specialmente dopo lo stop per la pandemia, ricorda che anche nei periodi freddi i festival metal sono vivi e vegeti. La location è quanto di più genuino si possa desiderare per questo genere di eventi: uno stabile dalle dimensioni ragguardevoli in quel di Oberhausen, suddiviso in aree come una vera e propria fortezza del metallo, due delle quali volte ad accogliere ben due palchi di grandezza differente, una zona dedicata interamente al metal market e al consumo di cibo e persino una dedicata al guardaroba, con una formula che gradiremmo prima o poi trovare anche dalle nostre parti: uno schieramento di armadietti chiusi a chiave, noleggiabili a prezzo basso e in cui poter inserire e rimuovere oggetti ed indumenti di ogni genere a propria discrezione, senza preoccuparsi di code o di scocciare gli addetti di turno. Immancabili inoltre le numerose postazioni bar, con un metodo di pagamento incentrato sui controversi token e senza mai il pericolo di incappare in qualche fila lentissima, cosa che invece da noi avviene piuttosto spesso. Tra le pecche (sicuramente migliorabili in futuro) segnaliamo una gestione dei suoni un po’ altalenante, l’assenza di un autentico after-show, la proposta delle birre un po’ da ampliare e la varietà della scelta per le cibarie alquanto scarsa, che di fatto rende indispensabile la peculiare ‘caccia al kebab’ una volta finiti i concerti.
A parte tutto ciò, a mobilitarci verso un festival non può che essere la line-up coinvolta – di provenienza tedesca e non solo – e quest’anno bisogna dire che è stata riposta molta attenzione al settore più old-school, con anche un paio di chicche non indifferenti. Purtroppo la struttura del running order in un paio di circostanze ci imporrà di scegliere cosa vedere, ma va bene anche così. Ora bando alle ciance, perché è il momento di raccontare la nostra prima volta in questa specifica sede. Buona lettura!
VENERDÌ 9 DICEMBRE
Apriamo le danze facendo un assaggio del thrash metal a tinte death dei WITCHBURNER, il cui sound tellurico è l’ideale per darci le prime sberle a seguito dello stancante viaggio di andata: il frontman Pino Hecker, che qualcuno di voi conoscerà per il suo ruolo nei Nocturnal, fomenta le folle con la sua ugola graffiante, mentre alle sue spalle l’impianto del festival inizia a risuonare di metallo violento e grintoso, sin dalla iniziale “Sermon Of Prafinity” e la successiva “Kill”, anche grazie ad una coppia di chitarre ben amalgamate.
Purtroppo non riusciamo ad assistere al concerto nella sua interezza, in quanto decidiamo di spostarci per testare la resa sonora di entrambe i palchi, in questo caso in compagnia dei colleghi WARRANT, che tra una “Scavenger’s Daughter” e una “The Enforcer” ci fanno ricordare del perché guardiamo sempre con simpatia in direzione del sottobosco speed metal: pochi pezzi, ma confezionati bene e suonati con fare convinto e appassionato da una formazione rinnovata in tempi recenti, ad eccezione del leader Jorg Juraschek, che si mostra divertito e felice di fronte ai primi astanti.
Non senza un accenno di tristezza decidiamo di rinunciare allo show degli olandesi PICTURE, preferendo dedicare le nostre attenzioni ai giovani speed metaller KNIFE, cui peraltro viene concesso di suonare sul palco principale anche grazie all’ottimo successo ottenuto dal loro EP di esordio “Locked In” e dal full-length omonimo. Ebbene, siamo in presenza della prima vera sorpresa dell’evento: questi ragazzi spaccano davvero, facendo sfoggio di una ferocia che solo una formazione giovane ed affamata può avere, al punto tale da lasciare a bocca aperta tutto il pubblico presente, intento a infiammarsi i muscoli del collo sulla violenza metallica sprigionata da pezzi come la iniziale “Chromium Prayer” o le più recenti “The Hallowed Chamber Of Storms”, “Inside The Electric Church” e “Sacrifice”. Affilati come un coltello, i singoli strumenti penetrano le carni, facendoci anche sorridere grazie alle numerosi citazioni (tipo il nome d’arte del cantante Vince Nihil), anche se si inizia a notare il comparto audio non sempre eccellente in questa location, che tuttavia non inficia il nostro giudizio su una band da tenere seriamente d’occhio.
Una piccola parentesi di stampo death metal con i primi pezzi dei BENEDICTION, il cui show tuttavia sembra prendere poco il volo a causa di una leggerissima piattezza generale della setlist, nonché dei volumi forse esagerati e al limite del mal di testa, anche se continuiamo a ritenere la formazione britannica una tra le più divertenti da ascoltare dal vivo, soprattutto grazie ad una simpatia innegabile e dal retrogusto tipicamente british.
In questo caso tuttavia decidiamo di dare nuovamente sfogo alla nostra curiosità, dirigendoci al concerto degli svedesi TORCH, noti ai cultori dell’heavy metal old-school grazie al loro album omonimo e tornati sulle scene in tempi recenti. Malgrado il nostro scetticismo circa la prestazione live, bisogna dire che il risultato riesce a stupirci con una carica rockeggiante non indifferente, trasmessa soprattutto dai pezzi più datati come “Beauty And The Beast”, “Watcher Of The Night” e “Warlock”. La classica situazione in cui un gruppo passato in sordina riesce a dimostrare di avere ancora a cuore il rock’n roll e l’heavy metal, e la scelta di mettere dietro al microfono il nuovo ingresso Lasse Gudmunsson serve ad impreziosire ancora di più la formula.
Discorso simile anche per i belgi KILLER, che pur essendo solo in tre ci pettinano con un concerto heavy/speed alla vecchia maniera davvero stupefacente, ricco di cuore e proposto con una voglia di fare paragonabile a quella di molte formazioni più giovani: il minuto frontman Paul Van Camp, con la sua Flying V quasi più grande di lui, rimette tutti al proprio posto, prendendosi una sonora rivincita nei confronti di un mercato che è stato poco clemente con molte valide formazioni degli anni ’80. A parte la potenza di pezzi come “Blinded”, “Kleptomania” e “Ready For Hell”, l’apice giunge quando la band, incluso il sopracitato leader, decide di gettarsi a suonare in mezzo a un pubblico sbalordito e gasato a mille. Un’attitudine maiuscola, degna di un applauso almeno quanto il loro show.
I veri fuoriclasse arrivano però dalla Svizzera e si chiamano CORONER, che questa sera riescono nella non facile impresa di catalogarsi come la miglior esibizione dell’intera giornata: questo grazie ad un connubio tra potenza sonora, tecnica strumentale e precisione chirurgica, che di fatto sono le caratteristiche principali di uno show senza difetti, in grado di ripagarci dell’attesa e del viaggio. “Golden Cashmere Sleeper, Part 1” è solo l’antipasto di un concerto in cui le mazzate e la voglia di pogare pervadono i presenti, pur tenendo ben acceso il cervello, soprattutto quando “Internal Conflicts”, “Masked Jackal” e quella perla di “Reborn Through Hate” ci esplodono in pieno volto. Nessun musicista si può criticare sul versante esecutivo, e la classe assoluta che traspare da ogni rintocco è la riprova di quanto certe formazioni risultino sottovalutate nel panorama globale. Ora però – e lo diciamo sempre – vogliamo un disco nuovo!
Ci saremmo aspettati di annoverare gli OVERKILL come migliori performer odierni, ma questa volta non c’è stata partita coi loro colleghi svizzeri, e questo anche a causa di un sound che non valorizza, ma anzi penalizza quanto proposto dagli americani. In generale, per tutto il festival, i suoni saranno la proverbiale croce e delizia, con alcuni casi lodevoli ed altri sulla falsariga dello show preso in analisi; eppure, nonostante tutto, siamo in presenza degli Overkill, e quindi è difficile ipotizzare che il concerto non decolli. Infatti, malgrado i suoni e la nostra stanchezza, Bobby Ellsworth e soci ci gettano nella mischia in un turbine di persone esaltate, intente a provocarsi qualche livido con le varie “Electric Rattlesnake” e “Bring Me The Night”, ma anche con estratti più classici come “Rotten To The Core”, “Hammerhead” e “Horrorscope”. La vera chicca però è l’esecuzione a sorpresa del nuovo pezzo “Wicked Place”, primo assaggio del nuovo lavoro di prossima uscita, intitolato “Scorched”; davvero un regalo di Natale in anticipo, anche se essa poco può fare quando sentiamo i vagiti di “Elimination”, “In Union We Stand” e “Fuck You”, senza dimenticare quel pezzaccio divertentissimo che risponde al titolo di “Welcome To The Garden State”.
Così si chiude una prima giornata che ci saremmo goduti maggiormente se avessimo avuto qualche ora in più di sonno alle spalle, ma una buona notte in un letto comodo ci permetterà sicuramente di affrontare il secondo giorno come si deve.
SABATO 10 DICEMBRE
Decisamente più riposati e frementi rispetto al primo giorno, approfittiamo della mattina per fare un giro in paese e per provare un po’ di cucina locale insieme a una birretta o due, col risultato di arrivare purtroppo quasi sul finire dei tedeschi ACCUSER. Motivo per cui la prima esibizione completa cui assistiamo è quella dei thrasher POLTERGEIST: una band svizzera semi-sconosciuta, ma autrice di alcuni lavori validi, nonché in questo caso di uno show che definiremmo di buona fattura, con pezzi tutto sommato accattivanti come la iniziale “Three Hills” e la title-rack dell’esordio “Depression”. Valida anche la resa vocale di André Grieder – che non tutti sanno aver militato nei più famosi Destruction all’inizio degli anni ’90 – degna di un elemento di rilievo dell’underground metal europeo tutto da scoprire. Nulla di eccezionale, ma comunque un inizio appetitoso.
Meno convincenti gli ASSASSIN, che forniscono sì una sana dose di ignoranza, ma sicuro non abbastanza per dare la scossa ad un concerto decisamente troppo piatto e meno divertente di quanto ci si aspetterebbe; soprattutto da una line-up che comunque mette in scena pezzi del calibro di “Fight (To Stop The Tyranny)”, che risulta comunque molto più convincente delle più recenti e anonime “The Swamp Thing” o “No More Lies”. L’esecuzione è essenziale così come l’accoglienza ottenuta da parte del pubblico, che tuttavia farebbe bene a drizzare le orecchie in direzione del main stage, perché sta per avvenire la seconda scoperta del festival.
Sono i tedeschi THE NIGHT ETERNAL la rivelazione di oggi, una formazione davvero molto particolare come genere, trattandosi di una sapiente combinazione tra elementi hard rock anni ’70, heavy metal classico e sprazzi di doom metal anche piuttosto evidenti. Una miscela quindi peculiare, che viene perfettamente valorizzata in sede live da un quintetto di musicisti preparati e dotati anche di una presenza scenica davvero notevole; in particolar modo il cantante Ricardo Baum si mostra imponente e con una classe invidiabile, nonché un’attitudine tutta da lodare – tant’è che alcune ore dopo lo troveremo in mezzo al pubblico, intento a spintonare e divertirsi durante il concerto dei Saxon. I pezzi presenti in scaletta provengono per la maggior parte dal full-length “Moonlit Cross”, con in più la menzione “Mark Of Kain” dall’EP di esordio che condivide il nome con una band che in patria sta già spopolando, come testimoniato dalla quantità notevole di estimatori presenti sotto il palco. Insieme ai Knife, anche questa è una di quelle band da tenere d’occhio.
Riusciamo ad assistere a una buona metà del concerto dei thrasher DARKNESS, destinato peraltro a finire in ritardo (e a farne le spese sarà chi si esibirà dopo). Per quello che abbiamo modo di valutare, la prova di una delle formazioni simbolo dell’underground thrash metal teutonico si mostra ignorante e cattiva al punto giusto, con l’apice dell’esaltazione riservato alla classica “Iron Force”, prima di una chiusura affidata inspiegabilmente alla recente “I Betray”, che per quanto ben fatta non esalta i presenti quanto ciò che è stato proposto prima. In ogni caso, una piacevolissima parentesi di violenza purissima, che ci auguriamo di poter saggiare maggiormente in una prossima occasione.
Personalmente, lo show da noi più atteso è quello degli ANGEL DUST, una band che è riuscita a immettere sul mercato dischi magnifici in entrambe le fasi della propria carriera: che si tratti di speed/thrash o power metal non c’è nulla di fuori posto nella loro discografia, e la scarsità di loro concerti dalle nostre parti ci ha portato fino a qua. I primi vagiti con “The Human Bondage” e “Never” risultano gravemente penalizzati dal poco tempo avuto a disposizione per il soundcheck, ma si inizia fortunatamente a migliorare con “Nightmare” per poi esplodere definitivamente a partire dalla nuovissima “Ghosts”, che ci convince ottimamente e ci lascia in trepidante attesa del nuovo album, che verrà annunciato ufficialmente quando sarà nota la label che se ne occuperà. Dirk Thurish è in ottima forma, con e senza una chitarra tra le mani, così come il batterista fondatore Dirk Assmuth e tutta la line-up, anche se il bassista sostituto Waldemar Sorychta non ci è parso particolarmente scoppiettante nella sua presenza on stage. Il momento di esaltazione massima giunge inevitabilmente con “Border Of Reality” e col medley a base di “To Dust You Will Decay” e “Gambler”, provenienti dal periodo più feroce e primordiale degli Angel Dust e dedicate all’ex compagno di band e amico Frank Banx, prematuramente scomparso pochi mesi fa. Un ottimo concerto, decollato in corsa dopo un inizio problematico, capace di lasciarci in attesa di un loro ritorno discografico, nonché di un potenziale tour.
Ultimo show sul secondo palco di questo festival, i simpaticissimi TANKARD insieme al loro thrash metal alcolico, vera istituzione di un determinato sound abbinato a un certo tipo di goliardia. Sin dalla iniziale “Rectifier” si crea un moshpit dalle dimensioni interessanti che prosegue per tutto il concerto, intersecando classici come “Zombie Attack” e “Chemical Invasion”, ma anche estratti più recenti, tra cui “Rapid Fire (A Tyrant’s Elegy)” e “A Girl Called Cerveza”, anche se Anders Geremia e soci ben sanno che è “(Empty) Tankard” la vera hit attesa da tutti. C’è qualche assenza a parer nostro più o meno grave – come “Die With A Beer In Your Hands” e “Space Beer” – ma anche così questi quattro ragazzoni amanti di metallo e bevute portano a casa il concerto con un risultato encomiabile, e soprattutto lasciandoci tutti davvero divertiti e fomentati, come ben si addice ai maestri delle sonorità alcoliche.
DANKO JONES è a suo modo un outsider nel bill odierno, essendo dedito ad uno stile musicale molto meno metallico e più legato al caro e vecchio rock’n’roll. Noi stessi scegliamo di assistere al suo show da una posizione comoda, anche per rifocillarci in attesa di ciò che verrà dopo, però bisogna ammettere che il buon Danko riesce benissimo a coinvolgere i presenti, confezionando un concerto divertente e con pochi fronzoli. Degno frontman e compositore di buon livello, riesce a imporre con un sorriso il proprio sound, usufruendo di pezzi apprezzati come “Saturday”, “I’m In A Band” e “My Little Rock’n Roll”. Siamo tutto sommato lieti di esserci risparmiati la cover di “Last Christmas” degli Wham! usata spesso come chiusura, però è chiaro che si tratti di considerazioni personali.
Dulcis in fundo, la band che più di tutte sembra eludere lo stramaledetto scorrere del tempo si appresta a calcare il palco di una location ormai sufficientemente piena. Il mitico Biff Byford e i suoi SAXON incarnano a loro modo la capacità che può avere il metallo di non arrugginire, e i loro concerti rispecchiano ogni volta a pieno questo concetto: ben diciotto estratti suonati con precisione maniacale, ma anche con un sound terremotante e perfettamente definito, da un combo di artisti ancora carismatici come pochi, nonché evidentemente affezionati al loro pubblico, come testimoniato dal rituale che vede i diversi membri del gruppo indossare i gilet pieni di toppe lanciati on stage dai presenti. La scaletta, per quanto ricca di materiale nuovissimo, come la iniziale “Carpe Diem (Seize The Day)”, “Age Of Steam” e “Black Is The Night”, si compone nella sua interezza di veri e propri inni, tra cui le immancabili “Motorcycle Man”, “Heavy Metal Thunder”, “Wheels Of Steel” e così via. Ma come se non bastasse, la band infila anche un paio di chicche come “Dallas 1 PM” e “Metalhead”, dedicata naturalmente a tutti gli astanti. Biff non sbaglia un colpo e l’intera band si staglia limpida sul palco del Ruhrpott Metal Meeting 2022 fino alla conclusione con “Princess Of The Night”, confermando quello che è un mito immortale, un vero simbolo di tutto ciò che noi metallari amiamo sul versante dello stile, dell’attitudine e della grinta messa in musica.
Si chiude così la nostra prima volta a questo delizioso evento, che terremo in seria considerazione anche nei prossimi anni, perchè – con le dovute limature e migliorie – potrà davvero diventare un appuntamento interessante per il pubblico di tutto il mondo.