A cura di Andrea Intacchi
Quando, all’alba del 2020, la gara per la scenografia più tecnologica e maestosa sta ormai strabordando ogni limite, c’è qualcuno che ancora, in barba ai tempi moderni, si diverte usando un semplice pennarello nero ed un pizzico di fantasia: sul fondo bianco della grancassa posta al centro del palco, simpaticamente stilizzati, compaiono, sopra la sigla SR, i volti di Phil, Wiley, Dave e Joey. Tutto qui, questo l’archetipo artificioso messo in scena dai Sacred Reich in occasione della loro calata italica, la terza in carriera, la prima in assoluto a Milano, come ricorderà lo stesso Phil in apertura di concerto. Votata ad una violenta quanto genuina semplicità, la band di Phoenix ha, come si suol dire, ‘tirato giù tutto’ regalandoci una seratina poco soft e molto thrash, dal primo all’ultimo riff. Un Legend Club che ha visto la partecipazione di parecchi thrasher, nonostante il calendario (un martedì lavorativo) e l’eterna pioggia-amica-del-traffico abbiano tentato di sabotare i vari spostamenti automobilistici dei sopracitati. Erano molti, infatti, coloro che non avevano ancora visto in azione i quattro dell’Arizona: dopo la ‘prima’ italiana, avvenuta nel corso del Fosch Fest nel luglio del 2016, i Sacred Reich erano tornati nuovamente a visitarci l’anno successivo in quel di Brescia, salvo infine saltare l’appuntamento della scorsa estate nella fortezza del Rock The Castle. Questa data novembrina ha quindi acquistato un sapore del tutto particolare; un evento che doveva assolutamente essere timbrato dagli appassionati del genere. Ad aprire una serata marchiata ‘headbanging’, un’adrenalinica bordata di NWOBHM (o NWOTHM, come si suole definirla al giorno d’oggi): sul palco milanese sono infatti saliti i Night Demon per un autentico tuffo nel metal più ottantiano. E allo scoccare delle 20.00 in punto, sono proprio le note di “Welcome To The Night” a risuonare tra le mura del club meneghino scortando il terzetto californiano on stage. Bene, il collo è pronto, possiamo andare. E buona lettura!
NIGHT DEMON
Quella sana voglia di New Wave Of British Heavy Metal. In poco meno di un’ora i Night Demon sono riusciti a riportare le lancette indietro nel tempo, quando Iron Maiden e compagnia bella davano definitivamente fuoco alla miccia esplosiva del metallo più sudorifero ed energico. Pronti via, ed è il drummer fisicato Dusty Squires a dettare i tempi della già menzionata “Welcome To The Night”. Il parterre, visto anche l’orario di inizio dello show, non è ancora colmo, tuttavia la presa è immediata e i primi scapocciamenti prendono vita al centro della platea. La band from Ventura non inventa nulla di nuovo: prende a piene mani ciò che i padri-fondatori del genere hanno riversato egregiamente in quegli anni, mischiando heavy, speed e doom, sprigionando il tutto all’ennesima potenza; e lo fa decisamente bene. La voce simil-baritonale, a tratti sgraziata, di Jarvis Leatherby pompa volume nelle casse e quando parte “Full Speed Ahead” i ritmi aumentano ulteriormente di giri; un dopo cena decisamente roboante. La tripletta dinamitarda termina con la ‘maideniana’ “Dawn Rider”, introdotta, visto l’incedere tellurico del drumset, da una breve ma intensa riproposizione di “Overkill” (di chi è non ve lo scriviamo nemmeno). La risposta del pubblico è decisamente positiva e quella sana voglia citata ad inizio report si scalda ancor di più con “Halloweed Ground”, confermando le potenzialità live del trio americano, già dimostrate lo scorso anno in quel di Trezzo in apertura agli Accept, a dispetto di una minor carica qualitativa espressa in studio. Legend Club che, nella seconda parte della setlist proposta, viene più volte chiamato in causa a sostenere i cori delle varie “Heavy Metal Heat”, “Curse Of The Damned” e “Screams In The Night”, prima che l’Oscurità prenda il sopravvento su tutto il palco. Mentre il buon Leatherby intona le prime parole di “The Chalice”, difatti, una Morte personificata appare sullo sfondo con tanto di calice in mano ad accompagnare teatralmente l’impeto dark del pezzo. Tenebre che rimangono stabili durante l’esecuzione di “Darkness Remains”, al termine della quale i Nostri si rifugiano nel backstage ad anticipare il prevedibile encore. Ora, in questa prima parte del tour europeo, i Night Demon hanno spesso omaggiato i presenti con alcune cover importanti: in Austria hanno riproposto “Wasted Years” degli Iron Maiden, in Polonia “In Trance” degli Scorpions; per noi italiani è toccata “War Pigs” dei Black Sabbath. Esecuzione pregevole con tanto di simpatico siparietto: colpito da un momentaneo vuoto di memoria, il frontman statunitense è stato letteralmente imboccato da uno spettatore posto nelle prime file nel declarare la fine della seconda strofa. Cover salvata con tanto di ‘thank you’ al gentil metallaro. Un concerto alla vecchia maniera, quello dei Night Demon che, senza alcuna pretesa di sperimentazioni, hanno fatto centro nel cuore della tradizione heavy metal. Ed ora tutti al bar per una birra, si attendono i Sacred Reich.
Setlist
Welcome To The Night
Full Speed Ahead
Dawn Rider
Hallowed Ground
The Howling Man
Heavy Metal Heat
Curse Of The Damned
Screams In The Night
The Chalice
Darkness Remains
War Pigs
SACRED REICH
Mmm… da dove iniziamo? Dai sorrisoni di Phil Rind riversati sugli astanti durante l’intero concerto? O da quelli stampati sui loro volti all’uscita del Legend? Poco importa: ciò che conta è aver presenziato ad una serata importante, celebrando al meglio un band che fino a tre anni fa non aveva mai suonato in casa nostra. “E’ incredibile, in oltre trent’anni di carriera, suoniamo per la prima volta a Milano. Pazzesco!“. Queste le parole del frontman americano, nettamente dimagrito e, come avrà modo di dimostrare nel corso dello show, con una voce ben più potente e calibrata rispetto alle precedenti esibizioni in terra italiana. Tanta attesa, dunque, ma anche parecchia curiosità nel vedere all’opera il rientrante Dave McClain alla batteria e, soprattutto, il nuovo acquisto Joey Radziwill, sostituto di uno dei membri storici dei Sacred Reich, Jason Rainey. Per entrambi, esame superato alla grande. Ma facciamo un passo indietro e torniamo all’intro da ‘Terminator’ posta in apertura dello show: suoni meccanici, da fonderia, anticipano l’incedere pesante e cazzuto della nuova “Manifest Reality”. Tirata, melodicamente azzeccata, in pieno stile Sacred Reich, mette subito un solida impronta sul programma che andranno ad imbastire i quattro americani: un poderoso greatest hits delle mine sganciate in passato, con ovvi inserti estrapolati dall’ultimo “Awakening”, rilasciato lo scorso agosto dopo ben ventitrè anni di silenzio. Saranno cinque alla fine i pezzi proposti dal nuovo full-length; tutti rigorosamente presentati da un Phil voglioso di interagire con i presenti, ricordando loro, in più di un’occasione, di come la libertà di ogni individuo sia uno degli aspetti più importanti da perseguire, di come non ci debba essere disuguaglianza di potere e di ricchezza tra le persone e di come la musica sia uno dei veicoli fondamentali di unione tra esse. Concetti vitali rimarcati tra una bomba sonora e l’altra, perché quando partono “The American Way” e “One Nation”, la vecchia guardia, assiepata nelle prime file, ritorna a scuotere il capo come avveniva sul finire degli anni Ottanta, mentre Phil annuisce sornione, il saggio Wiley spara assoli con assoluta perfezione ed il giovanissimo Joey sprigiona tutta la sua freschezza d’animo, spazzando così via quel velo di tristezza apparso palese nelle fotografie apparse sul web in seguito al suo ingresso nella band. E là dietro, in tenuta estiva, una specie di medico di base con tanto di occhialini, intento a distruggere il proprio drumset. Chirurgico e letale, Dave McClain (sì, Flynn, proprio lui!) ha confermato, ma non ce n’era bisogno, tutta la sua professionalità distruttiva, dall’inizio alla fine. I momenti discorsivi innescati dal quasi longilineo Rind servono anche per tirare un po’ il fiato: con “Awakening” e “Indipendent” si torna, infatti, a pogare intensamente; ma è al termine dell’intensa “Free” che parte una mitragliata da paura e che alzerà ancor di più il muro sonoro già di spessore. “Crimes Against Humanity”, “Who’s To Blame” ed “Ignorance” pestano ogni cosa, chiamando gli amanti dell’headbanging più sfrenato ad uno straordinario lavoro di coordinazione fisica e agonistica. Ci pensano “Salvation” e “Love…Hate” ad ammorbidire il tiro prima del gran finale, scontato ma sempre distruttivo. La tritasassi “Death Squad”, quindi l’immancabile “Surf Nicaragua”, durante la quale lo stesso Dave indossa una maschera di cartone dell’OD (si pensava fossero gratuite ed invece erano vendute al merch alla modica cifra di 10 euro…soprassediamo!), danno l’ultima mattonata in testa ai thrasher intervenuti. Poi è la fine, condita dai saluti di rito e dal più classico degli arrivederci. E l’augurio che ci facciamo è proprio questo: di rivedere i Sacred Reich in Italia in tempi brevi. Per una di quelle seratine soft, dal vago sapore di thrash.
Setlist
Manifest Reality
The American Way
Divide & Conquer
One Nation
Awakening
Indipendent
Free
Crimes Against Humanity
Who’s To Blame
Ignorance
Salvation
Love… Hate
Killing Machine
Death Squad
Surf Nicaragua