KERNEL ZERO
Ottima prova per l’unica rappresentanza italiana a questo mini-festival pre-natalizio: i salernitani non hanno nulla da invidiare a metà dei gruppi in scaletta e di fatto pisceranno in testa almeno alle due formazioni dopo di loro. Grinta, trasporto, ma soprattutto buoni pezzi fanno dei Kernel Zero una formazione mosh-core di tutto rispetto, che meriterebbe un’esposizione maggiore e, almeno in Italia, un posto più alto in scaletta, con qualche minuto in più per goderseli.
DEVIL SOLD HIS SOUL
Saranno intriganti, strutturati, epici quando volete, ma stasera questi ragazzetti inglesi non c’entrano proprio un ca**o col resto della scaletta. Tralasciando il fatto che epiteti gonfiati come ‘la risposta inglese ai Tool’ non fanno altro che aumentare astio e preconcetto nei loro confronti, il pubblico del Vidia li accoglie con totale indifferenza, restando a sei metri di distanza dal palco, esplorando il locale, il banco del merch o rifacendosi l’acconciatura.
TIME HAS COME
Almeno i tedeschi Time Has Come sanno riportare le coordinate musicali sui binari adatti. Quanto a qualità siamo ancora a livelli insipidi, così il death-core infarcito di tecnicismi non riesce ad essere sufficientemente immediato per coinvolgere un pubblico distratto. Una prova nemmeno troppo noiosa, ma che non coglie nel segno per una serie di coincidenze sfortunate e per il minutaggio scarso. Fossero americani, molte giovani ‘scene queen’ sarebbero sotto il palco a mostrare le tettine al posto di impegnarsi in autoscatti per ampliare la gallery di MySpace…
EMMURE
Per molti, come per chi scrive, il combo del Connecticut era a tutti gli effetti il co-headliner della serata, per l’estrema affinità ai Bury Your Dead e lo stesso spirito tamarro che ne infetta la musica. Il tasso alcolico si mischia all’adrenalina pompata dall’attesa e grazie alle note ribassate di “False Love In Real Life”, “Chicago’s Finest”, “Tales From The Burg” e le altre si comincia davvero a fare sul serio: parte infatti il delirio sotto il palco e, tra calci e pugni che roteano, si inizia con lo stage diving massivo, aizzato dalla coppia Palmieri/Lionetti, il primo che sputa rabbia nel microfono alla stessa maniera del disco, il secondo che appena ha l’occasione batte un cinque alle prime file e fa roteare la chitarra dietro la schiena. Uno show estremamente fisico che conferma tutte le buone impressioni suscitate da “The Respect Issue”: speriamo di vederli di fronte ad una sala maggiormente affollata per scatenare il caos.
FULL BLOWN CHAOS
Al posto degli As Blood Runs Black, ecco i sostituti Full Blown Chaos: fatecelo dire, mai panchinari furono così ben accetti. I newyorchesi dimostrano da subito, dopo un cambio palco veloce, di saper riprendere in mano l’audience scatenata degli Emmure e continuare il party, guidati da un Ray Mazzola protagonista sul palco come dietro il bancone del bar e del merch (va citata la t-shirt col faccione barbuto del frontman, imperdibile!). I pesi massimi – saranno tutti sopra i 100 kg – spaccano tutto con il loro suono massiccio e confermano la filosofia del ‘poche cose fatte bene’ per coinvolgere ancora una volta i presenti e farli sudare ben bene prima dell’arrivo degli headliner.
BURY YOUR DEAD
Appiccicato all’ingresso del Vidia campeggia un avviso: “Questa sera i Bury Your Dead effettueranno le riprese del loro nuovo video promozionale”. Un invito a nozze per ogni scalmanato che vuole dare il massimo sotto il pit, segnale per tutti di una serata che potrebbe diventare davvero speciale. Quando Mike, Slim, Bubble, Chris e Mark salgono sul palco in effetti il coinvolgimento è totale, e nonostante dall’alto scenda sulla folla aria caldissima che rende il clima infernale, tutti si dimenano fino ad inzupparsi di sudore, e tutti, dal mosher scatenato alle belle ragazze delle prime file, si concedono al crowd surfing, per poi risaltare tra le braccia delle prime file. Il nuovo frontman se la cava egregiamente col repertorio distruttivo dei bostoniani, ne è la riprova l’inizio al fulmicotone di “Top Gun”. Il gruppo ha perso giusto un pelino in aggressività per dedicarsi a sprazzi di melodia che emergono qua e là (vedi “Sympathy Orchestra”); il meglio viene a galla, come da copione, nelle assurde mazzate tratte da “Cover Your Tracks”, fra le quali, oltre alla opener, vengono suonate “The Colour Of Money”, “Vanilla Sky”, “Eyes Wide Shut” e “Magnolia”. Gli estratti del repertorio che completano la scaletta, in ogni caso, sono di poco al di sotto ed è quindi un piacere riempirsi di lividi fino al termine, quando tutti sono invitati sul palco ad urlare in coro, come ogni finale che si rispetti, “BURY YOUR FUCKING DEAD!” fino allo stremo. Che botte!