Report di Roberto Guerra e Andrea Intacchi
Un uggioso sabato sera allo Slaughter Club per una nuova edizione del Satanic Kommando Fest (dopo quella del 2022), in compagnia di ben sei formazioni dedite ad altrettante forme di metal estremo, con gli iconici Destroyer 666 in veste di headliner, accompagnati per l’occasione da una lunga proposta tutta italiana, tra cui figurano Whiskey Ritual, Hatred e Funest.
Ciascuno di essi è provvisto di un repertorio grintoso e violento con cui dire la propria di fronte ad un pubblico invero meno numeroso di quanto ci saremmo aspettati, ma è possibile che la grande quantità di eventi in programma negli stessi giorni, unita a delle condizioni meteo non esattamente eclatanti, abbia giocato un ruolo in questo fattore.
Nonostante questo, la proposta è senz’altro ghiotta e nell’aria si avverte una chiara e inconfondibile fame di moshpit e metallo devastante, il che ci basta per considerare questa serata come una delle più interessanti di questa seconda metà di ottobre. Buona lettura!
“Non ci aspettavamo così tanti complimenti!“. Queste le parole del batterista Franz, alter ego di Kommander Baal, incrociato subito dopo lo show a tinte sulfuree messo in piedi insieme ai sui due compagni di merenda, Alessandro (chitarra, nome di battaglia Nex VII) e Alberto (alias Bloodlord Ixiataaga, nel ruolo di bassista e cantante). Gli IGNOBLETH hanno avuto infatti il compito di aprire le porte dell’edizione 2024 del Satanic Kommando Festival e lo hanno fatto – nonostante l’orario ed una presenza di pubblico ancora bassina – nel miglior modo possibile, mostrando schiettezza, energia, marciume, quasi fossero una band navigata, quando invece la carta d’identità dei tre musicisti supera di qualche mese la maggiore età.
A parte il dettaglio anagrafico, il terzetto di Modena, già visto in azione lo scorso agosto, ha confermato la buonissima impressione fatta allora, portando a termine una putrida mezz’ora di black-death, onorando la vecchia scuola, Blasphemy ed Archgoat in primis, con un piglio diretto e sicuro.
Ed è stato proprio questo dettaglio, oltre ad una resa sonora con i dovuti crismi (non è stato sempre così in seguito), a risultare l’arma vincente del trio emiliano: catene in bella vista, occhialata war-metal d’ordinanza e via andare, con i quattro brani dell’EP d’esordio “Voidspawn Sacrifice”, rigorosamente messi in fila, prima di chiudere i battenti con un omaggio proprio alla storica band canadese, con una buonissima riproposizione del ‘classico’ “Ritual”. Formazione da seguire, quindi, e complimenti più che dovuti. (Andrea Intacchi)
Anticipando l’esibizione degli Hatred, i friulani NUCLEAR STORM hanno portato una sana e sonora sventagliata di thrash metal. Grezzo, serrato: il sound proposto dal quintetto di Udine (e dintorni), guidato dal cantante Francesco ‘Kilo’ Pesante, non ha badato al sodo.
Spontanei sino al midollo, e forti dell’esordio sulla lunga distanza, “Good Morning Berlin”, rilasciato lo scorso giugno, i Nuclear Storm hanno lanciato il proprio assalto su binari ultracingolati, con il marchio dei Sodom in bella vista, tanto nell’approccio strumentale quanto in quello lirico, come dimostrano anche le tematiche affrontate nei vari brani contenuti nel disco.
Ed infatti un pezzo come “Bloody Tears” è andato a bollare pienamente la casella teutonica costruita da Tom Angelripper, dove gli sprazzi melodici, accompagnati da midtempo ad hoc, vanno perfettamente a braccetto con le tipiche sfuriate impostate dal tupa-tupa generale. Anch’essi supportati da un numero di persone abbastanza risicato, hanno comunque mantenuto il giusto tiro ed approccio, riuscendo a tenere alta la tensione globale del festival. (Andrea Intacchi)
Freschi di un parziale rinnovamento della formazione, si presentano on stage i milanesi FUNEST, il cui ancora unico album principale “Desecrating Obscurity” ha reso piuttosto contenti gli amanti del death metal brutale e dalle connotazioni in linea con la scena svedese, come ben confermato dalla batteria tritaossa e da dei riff graffianti che non lasciano pietà alcuna all’ascoltatore.
Purtroppo, per quanto lo show sia invero carico di energie e con molta voglia di ferire gli astanti, la resa sonora non permette ai ragazzi di riuscire a spiccare il volo come la loro grinta farebbe pensare, soprattutto se parliamo del comparto vocale ad opera del frontman Tommaso Volpe, il cui growl risulta difficile da percepire all’interno del marasma sonoro emesso dall’impianto.
Ciò nonostante, il carattere non manca e nemmeno l’attitudine, che spicca insieme ad un songwriting perfettamente allineato con ciò che un amante di Dismember, Vomitory e Interment potrebbe desiderare, e a giudicare dagli accenni di pogo ben visibili, siamo certi che anche il pubblico sia del nostro stesso avviso. (Roberto Guerra)
Viriamo in territorio thrash con i marchigiani HATRED, la cui discografia si compone attualmente di due soli album, usciti peraltro a dieci anni di distanza l’uno dall’altro: un repertorio non enorme, ma più che sufficiente per confezionare un concerto tra i più sorprendenti di oggi, in grado di farci più volte strabuzzare gli occhi all’avvio di brani efficaci e in grado di richiamare, nelle suggestioni, altre realtà più inflazionate, Slayer in primis.
Anche in questo caso c’è qualche piccolo inciampo a livello di sound, soprattutto nel momento in cui ci si accorge del malfunzionamento del microfono centrale, che di fatto costringe il frontman Angelo Marani a posizionarsi dietro una delle aste laterali, mentre il tecnico del suono ripara all’inconveniente direttamente sul palco.
Poco male, si tratta pur sempre di cose che possono succedere, e ci fa piacere non notare alcun singhiozzo da parte dei quattro musicisti on stage, che proseguono e completano un’ottima esibizione, malgrado l’inizio un po’ problematico. A questo punto, possiamo dire di essere in presenza di una band di cui ci auguriamo di sentire ancora parlare in futuro, visto che di sostanza ce n’è senz’altro parecchia. (Roberto Guerra)
Gli emiliani WHISKEY RITUAL non hanno certo bisogno di presentazioni, in quanto il loro black metal dal retrogusto tipicamente rock’n’roll già da parecchi anni risuona all’interno dei nostri impianti. In particolar modo il recente “Kings” ci ha davvero stupito al momento della sua uscita, e ci fa molto piacere che anche in questa sede buona parte della tracklist sia dedicata ad esso, come confermato dalle varie “Jetlag”, “Trve Escort” e “Eye For An Eye”.
Tuttavia, il frontman Dorian (promotore dell’evento in prima persona) e soci ci fanno dono anche di alcune parentesi precedenti, tra le quali figurano senza dubbio la gradevolissima “666 Problems” e la title-track della penultima opera “Black Metal Ultras”, nonché quella “Satanic Kommando” che dona il nome all’evento stesso, tutte eseguite tenendo ben presente quello stile grezzo e graffiante che li contraddistingue, senza lesinare su qualche fase rockeggiante e divertente. Migliori anche i suoni in questo frangente, il che ci fa ben sperare per una resa degli headliner perlomeno degna del nome, anche se il fomento generale a questo punto della serata si attesta già su livelli più che buoni. (Roberto Guerra)
Il piatto forte della serata sono ovviamente i DESTROYER 666, i cui membri, giusto per aggiungere una simpatica curiosità, un mesetto fa hanno presenziato all’ultima edizione del Metalitalia.com festival in veste di spettatori, mettendo in risalto la loro genuina passione per il metal nelle sue connotazioni più affilate, anche quando non sono loro a occupare il palco.
Non a caso, abbiamo scelto un termine (‘affilato’) che si sposa bene anche con la loro proposta tipicamente black/thrash a tinte speed, che rende le loro scalette delle autentiche rasoiate dirette nelle viscere degli appassionati presenti, e così anche oggi: dal micidiale trittico composto da “Damnation’s Pride”, “Australian And Anti-Christ” e “Satan’s Hammer”, fino alle più recenti “Guillottine” e “Never Surrender”, passando per varie menzioni a quasi tutti i lavori nel mezzo (“Cold Steel…For An Iron Age” l’unico escluso) lo show è un tripudio di lame e proiettili volanti, gustabile dagli amanti del black metal così come dai defender più legati alle sonorità classiche ed inossidabili. In entrambi i casi, la voglia di far casino mentre risuonano sfuriate chitarristiche e ritmiche fameliche non può che essere palpabile, e questo si traduce nella immancabile combinazione di moshpit ed headbanging.
Il frontman australiano K.K. Warslut tiene sempre il palco in maniera ottimale, lasciando trasparire una ferocia degna dei lupi rappresentati spesso sulle copertine dei suoi album, e la cosa migliore è che nemmeno l’affetto per la storia del metal viene tralasciato: non a caso, l’unico pezzo dell’encore non è altro che una cover accelerata e violenta della celebre “Iron Fist” dei Motorhead, con cui la band omaggia quella sorta di semidivinità che risponde al nome di Lemmy Kilmister, di cui tutti noi sentiamo irrimediabilmente la mancanza, anche se appare evidente quanto il suo lascito sia impossibile da scardinare.
Forse avremmo gradito una setlist ancora più lunga (trattandosi in fin dei conti di ‘soli’ tredici pezzi), ma anche così possiamo ritenerci soddisfatti di questi cagnacci metallari. (Roberto Guerra)