Report di Sara Sostini
Foto di Piero Paravidino
È una fredda serata di novembre quella che accoglie, tra strascichi di pioggia e vento gelido, un Legend Club pronto ad essere inondato da una colata densa di doom: che sia quello degli Esoteric, carico di allucinazioni sonore sconfinanti nella psichedelia, o quello più malinconico e sognante dei Saturnus, sicuramente la versione più estrema, pesante e dilatata della nostra musica preferita su un palco risulta essere contemporaneamente un appuntamento davvero succulento per gli appassionati del genere (che infatti si sono rivelati forse non numerosissimi, ma pronti a vivere il concerto con un discreto entusiasmo) e al tempo stesso una serata impegnativa, proprio per le caratteristiche appena citate, nel testare la resistenza di padiglioni auricolari, menti e cuori. Di seguito vi raccontiamo com’è andata.
L’assenza di gruppi di supporto contribuisce ad acuire la sensazione di una serata ‘quadrata’, essenziale e compatta: gli ESOTERIC salgono sul palco con un leggero ritardo, ma bastano le prime note di “Dissident” a catapultarci in un maelstrom colloso, inflessibile e multiforme di un modo particolare e personale di fondere doom, incubi e lontani echi sludge. Gli inglesi non sono certo famosi per delicatezza o semplicità, ed infatti scaraventano sul pubblico – con un’energia mai doma – quattro pezzi praticamente mai sotto il quarto d’ora; d’altra parte le strutture intricate e stratificate della loro musica hanno bisogno del giusto tempo e del giusto spazio per poter essere debitamente apprezzate, e con un set di un’ora a disposizione possono esprimere al meglio ciascuna sfumatura e distorsione.
Oltre al senso di straniamento in aumento a ciascun passaggio, da quelli più cadenzati e ipnotici di “Cipher” (tratta dal bellissimo “Paragon Of Dissonance”) alle derive leggermente più visionarie espresse nell’ultimo “A Phyrric Existence”, sicuramente anche il modo di suonare sul palco dei britannici contribuisce a rivestire il concerto di una patina ulteriormente allucinata: ciascuno dei cinque musicisti sembra suonare immerso in una propria individuale, particolare atmosfera, isolato dagli altri nei movimenti. Il quadro restituito non è però di mancanza di coesione o disarmonia; in qualche strano modo è l’espressione di un gruppo organico e granitico che ha fatto anche di questo apparente scoordinamento una peculiare caratteristica della propria proposta, in cui la voce abrasiva e amplificata (dal solito – e come sempre inguardabile – microfono ad archetto) di Greg Chandler si somma alla tessitura delle chitarre (notiamo che Mathew Barnes è stasera sul palco in una altrettanto inguardabile maglia da hockey arancione), mentre batteria, basso e sintetizzatori contribuiscono a dare corpo e sostanza ai chiaroscuri dei pezzi. Essendo l’ultima data, ecco l’immancabile invasione di palco dei Saturnus (muniti di affettuosamente derisori microfoni ad archetto, guardacaso) a metà set, a festeggiare con un brindisi la liberatoria riuscita di un tour dopo i due anni di pandemia, prima che gli Esoteric riprendano il proprio viaggio vorticoso e imprevedibile, regalandoci un’ora di panorami alieni e architetture spiraliformi. Arriviamo alla fine con un accenno di fiatone, ma il bello di un gruppo del genere sta anche nel saper catturare nonostante – o proprio per, a seconda dei casi – la propria osticità.
Il tempo di ritrovare il respiro, ed ecco che i primi accordi di “Forest of Insomnia” ci presentano tutt’altro panorama, spazzando via tutto con la forza pachidermica e ipogea di un funeral doom dalle venature melodiche e struggenti: i SATURNUS attaccano il primo pezzo con un’onda compatta di headbanging, staccando in modo netto rispetto a quanto visto poco prima. Sicuramente è diverso il modo di intendere un genere comunque duttile, e infatti la proposta dei danesi è da sempre rivolta verso lidi più emozionali, sconfinando in melanconica contemplazione – soprattutto nelle parti di piano e voce mormorante – o in una dolente disperazione. Nonostante i connotati plumbei della loro proposta musicale, però, i danesi suonano sorridenti, intrattenendo qualche momento più spensierato con gli spettatori, con un Thomas Akim Grønbæk Jensen come sempre molto espansivo, anche nel salutare gli Esoteric che ricambiano a metà scaletta l’alcolica invasione di palco; notiamo anche come le due nuove leve alle chitarre abbiano contribuito a irrorare nuova linfa vitale anche nella resa live del gruppo, tanto che “Pretend” viene arricchita da una ulteriore enfasi verso la parte più death metal e melodica. Questo sarà solo il primo di numerosi estratti da “Veronika Decides To Die”, e ci chiediamo se non sia una dichiarazione d’intenti su quale strada, pur sempre nebbiosa e sognante, i Saturnus vogliano continuare a camminare, soprattutto in vista dell’uscita di un nuovo album nella primavera inoltrata del 2023. Questa impressione viene parzialmente confermata dai due pezzi nuovi eseguiti stasera – “Chasing Ghosts” e “The Calling”, già contenuto nell’EP “The Lighthouse Session” – e ci rende ancora più curiosi circa il prossimo disco, mentre “All Alone”, suonata inizialmente solo con il piano di Mika Filborne (recentemente tornato in formazione) ad accompagnare la voce assorta di Jensen, viene accolta dal pubblico in un silenzio concentrato e quasi religioso, aumentando la carica emotiva del momento con grande gratitudine della band.
“I Long” e “Embraced By Darkness” sono altri momenti in cui la carica live dei nostri spiega le proprie forze, con l’alternanza tra growl gutturale e voce pulita accorata in perenne dialogo con l’impeccabile, compattissima sezione ritmica e i fraseggi dolenti ed epici delle chitarre; ma è con la tripletta finale da brividi e pelle d’oca della meravigliosa, primordiale “Christ Goodbye”, “Rain Wash Me” e soprattutto “A Father’s Providence” quasi a sorpresa negli encore, che i Saturnus vincono definitivamente ogni resistenza (se mai ce ne fosse ancora qualcuna), facendo aggiudicare alla serata un posto tra i concerti più belli (e impegnativi) dell’anno e – a dispetto di taluna mestizia intrinsecamente collegata al doom metal – salutando una platea di sorrisi a tutto tondo e battimani commossi.