Sono passati cinque anni da quel dicembre 2008 che vide i Satyricon promuovere a Roma l’album “The Age Of Nero”, uno show, il terzo della band norvegese nella Capitale dopo quello del 2000 assieme ai Behemoth nell’allora Palacisalfa (oggi Atlantico), che rinsaldò il legame fra i romani e la band di Satyr e Frost. Con il nuovo omonimo e celebrativo album da proporre – un lavoro che ha fatto molto discutere visto alcune scelte stilistiche lontane anni luce da ciò che i Satyricon ci avevano abituati ad ascoltare – il duo torna a Roma accompagnato dalla solita schiera di turnisti dalle indubbie qualità. Ad accompagnarli ci sono i taiwanesi Chthonic, combo noto per provare a miscelare del black metal melodico a suoni della loro terra. La LiveNation ha organizzato il concerto presso l’Orion di Ciampino, cui i fan – fra i quali anche qualche coppia padre-figlio – sono accorsi ma non in massa. I Satyricon però non hanno minimamente deluso le aspettative, dimostrando ancora una volta le loro grandi qualità di live band. Quel che segue è il reportage della serata.
CHTHONIC
Questi tipi vengono da Tapei, Taiwan, e in teoria vorrebbero suonare del black metal melodico con l’aggiunta di strumenti tradizionali delle loro origini. Ci poniamo titubanti all’approccio live nei loro riguardi, poiché nelle nostre orecchie è ancora vivo il ricordo di un ascolto prolungato di un loro disco, un ascolto reso complicato dal dubbio da sciogliere in merito a se il disco fosse eccezionale o eccezionalmente brutto. All’epoca propendemmo per la seconda ipotesi. Mentre entriamo notiamo che molto è stato investito dal punto di vista scenico, con i Nostri tutti vestiti a puntino, ma, musicalmente, il feeling immediato ci rimanda subito a quel tormentato ascolto del disco, un ricordo che si è stagliato nella nostra memoria a lungo termine – e di dischi ne ascoltiamo con continuità. Il loro black metal è melodico nella maniera più convenzionale: chitarre che eseguono il riff, tastiera a dominare il tutto a livello di suono mentre copia la chitarra e urla del cantante nello stile che i Cradle Of Filth mostrarono quasi vent’anni fa e che oggi ci ha un po’ stufato. Dopo una sequela di canzoni praticamente tutte uguali, fastidiose allo stesso modo per quanto sono insulse, scriteriate e dannatamente banali, l’unica cosa che ricordiamo dello show è la maschera del tastierista, una roba alla Mad Max. Avremmo preferito di gran lunga, alla maschera, un accordo uno sul suo strumento che non fosse banale e facile quanto il tema di Vangelis utilizzato dalla Barilla per i suoi spot che noi tutti suonavano alle medie con la pianola. Come i Chtonic godano di stima e fan, per il vostro critico di turno rimane un mistero.
SATYRICON
Il cambio di set vede la batteria di Frost posizionata a sinistra del palco, con la tastiera nell’estremità opposta. L’ovazione per l’ingresso dei norvegesi è uno sfogo per i fan in attesa. “Voice Of Shadows”, aperta dallo stesso Satyr che imbraccia per l’occasione la chitarra, funge da introduzione allo show. Il ritmo lento e compassato del refrain del brano trova un minimo di brio nel lavoro di Frost, vera marcia in più anche delle tracce meno convincenti del nuovo album. Le ultime note dell’intro vedono Satyr abbandonare la chitarra, afferrare l’imperioso e diabolico forcone e partire subito con un mood revival sulle note di “Hvite Krists Dod”, brano che ammalia e seduce nelle parti lente dominate dalla tastiera e annienta e atterrisce in quelle rapide. Satyr è il più azzimato dei blackster, ha un velo di cerone sul viso e si impossessa subito della scena con le sue movenze. Il salto con la canzone seguente è un flash forward fino a “Now Diabolical”, canzone che cambia radicalmente il mood dello show: è il groove moderno a dominare ora, con i colpi possenti di Frost che rimbombano sulle pareti dell’Orion. Arriva poi “Black Crow On A Tombstone” altro brano che esalta il lavoro di batteria, martellante, poderoso. Dei brani di “Satyricon”, ultimo discusso lavoro del combo, vengono scelti “Our World, It Rumbles Tonight”, una composizione che a tratti trasuda epicità e che fa sentire il freddo del riff di chitarra quando i colpi di batteria si diradano, e “Ageless Norther Spirit”, uno dei brani più tradizionali presenti sull’ultimo lavoro del gruppo. È poi tempo di “Rapined Bastard Nation”, che nel finale rapisce i sensi del pubblico mandandolo in trance, seguita da “The Infinity Of Time And Space” che ci mostra i Satyricon placidi come mai prima. Una doppia cassa imperante con colpi dal sapore tambureggiante con Frost quindi protagonista sono il preludio a “To The Mountains”: a tratti sembra che una scossa tellurica sia in procinto di devastare l’Orion, tale è la possanza riversata sul drum-kit. I Satyricon lasciano il palco dopo “Pentagram Burns” ma tornano subito dopo per intonare il vero inno della Norvegia, quell’aria che risponde al nome di “Mother North”, picco del black metal norvegese mai più eguagliato. Il suono è saturo, pregno di melodia ma anche di brutalità che poi diventa armonia. Il saluto finale, con l’ultimo brano, è affidato a “King”. Gli applausi del pubblico (non molto popoloso, a dire il vero) salutano i sei membri che sul palco si stringono in un accorato abbraccio. Potranno non piacere ad alcuni su qualche disco, ma dal vivo i Satyricon non sbagliano mai, questo è sicuro.