24/06/2025 - SAVATAGE + INDUCTION @ Alcatraz - Milano

Pubblicato il 27/06/2025 da

Report di Elio Ferrara
Fotografie di Fabio Livoti

Correva l’anno 2001 quando veniva pubblicato “Poets And Madmen”, l’ultimo studio album dei Savatage. Con i musicisti impegnati in vari progetti – tra cui, su tutti, quello della Trans-Siberian Orchestra – tra periodi in cui si ventilava un possibile ritorno e periodi in cui non se ne parlava più, gli anni sono passati e nel frattempo a complicare le cose è sopraggiunta anche la morte del produttore storico, Paul O’Neill (scomparso nel 2017), diventato ormai un autentico membro aggiunto della band e autore di quasi tutti i testi e dei concept negli ultimi album del gruppo americano.
Proprio quando era stato deciso finalmente il ritorno per degli show dal vivo, è sopraggiunto anche un brutto incidente a Jon Oliva, che gli ha causato la rottura di una vertebra. Eppure, alla fine, questo tour si è fatto lo stesso e i Savatage sono arrivati all’Alcatraz di Milano (unica data italiana) per uno show che si preannunciava grandioso e che non ha affatto tradito le attese.

Arriviamo nei pressi dell’Alcatraz con un buon anticipo, prima dell’apertura delle porte, prevista per le 19 e ci rendiamo conto subito come l’attesa per quest’evento sia davvero febbrile: mai vista una coda così lunga per accedere alla location, praticamente la fila faceva il giro di almeno due lati dell’edificio e probabilmente è andata anche oltre nell’arco di pochi minuti. Quando hanno iniziato a suonare gli Induction, la sala era già gremita – magari non ancora del tutto piena, ma quasi – e questo ad ulteriore conferma di come, con tutto il rispetto per la band tedesca, il pubblico non fosse disposto a perdersi neanche un attimo di quest’evento, dopo un’attesa durata ventiquattro lunghi anni. Peraltro, non era un risultato del tutto scontato se pensiamo che nella stessa sera suonavano a Milano anche nomi del calibro di Linkin Park e Nine Inch Nails, ma questo era uno show davvero particolare e non si poteva mancare.

Gli INDUCTION sono una band power metal formata inizialmente dal chitarrista ceco Martin Beck, di cui si è poi praticamente ‘appropriato’ Tim Hansen (figlio del leggendario Kai di Helloween e Gamma Ray). Logico dunque che questo ‘figlio d’arte’ percepisca come più suo il primo album senza Beck, ovvero “Born From Fire”, originariamente pubblicato nel 2022 e, non a caso, quasi tutte le canzoni in scaletta sono tratte da quel disco.
La line-up non è mai stata particolarmente stabile e stasera il gruppo si presenta con una formazione a quattro, con due chitarre, batteria e voce. Peraltro, il nuovo cantante, il bravissimo Gabriele Gozzi, gioca praticamente in casa, dato che è italiano e si mette bene in evidenza per le proprie qualità interpretative ma anche per la propria capacità di tenere il palco e catalizzare l’attenzione di un pubblico numeroso e importante come quello di stasera.
Dal canto suo, Tim è senz’altro un buon chitarrista e si trova certamente a suo agio in questa formazione con due chitarre, come da scuola, appunto, di tante band power metal.
C’è spazio anche per una cover, la leggendaria “The Final Countdown” degli Europe (anche se senza tastiere, ma pazienza) e vengono presentati inoltre due singoli che saranno inclusi nel nuovo album in preparazione: il primo, “Medusa”, in realtà è uscito già l’anno scorso, mentre è recentissimo “Beyond Horizons”, accolto davvero molto positivamente dal pubblico e anche da parte nostra, lasciandoci ben sperare per il nuovo lavoro.
In linea di massima gli Induction non sono una band che sembra possa ridefinire e rilanciare il genere, però come conferma anche questo show, davvero molto valido, possono certamente apportare al power metal freschezza e nuovo vigore.

Setlist Induction:
Born From Fire
Fallen Angel
I Am Alive
The Final Countdown (Europe cover)
Set Your Free
Medusa
Beyond Horizons
Go To Hell
Queen Of Light

Alle 20:50, tutti acclamano ormai a gran voce i SAVATAGE, protagonisti della serata, che iniziano pochi minuti dopo.
Sul palco, sulle note di “The Ocean”, arriva così per primo Jeff Plate alla batteria e compaiono a seguire i due chitarristi, Chris Caffery e Al Pitrelli, lo storico bassista Johnny Lee Middleton e in più, in assenza di Jon Oliva, vengono inseriti due tastieristi, Paulo Cuevas e Shawn McNair, che avranno il compito anche di dare una mano con i cori al cantante Zak Stevens.
Certo, la mancanza di Jon Oliva dispiace parecchio e si avverte, però già dalle battute iniziali di “Welcome”, ma anche delle successive “Jesus Saves” e “Sirens” – due pezzi che sono due capisaldi con il ‘Mountain King’ Jon alla voce – risulta chiaro come questi musicisti siano carichi e pronti a travolgere gli ascoltatori con una carica dirompente.
Peraltro, notiamo come questa tutto sommato sia la stessa formazione che ha dato vita ad un album stupendo come “The Wake Of Magellan” e ad un capolavoro come “Dead Winter Dead” e, non a caso, questi sono i full-length da cui vengono estratte la maggior parte delle canzoni.
I brani vengono accompagnati da immagini proiettate su uno schermo, che richiamano il più delle volte l’artwork del relativo album oppure i temi trattati dalla canzone (ad esempio, per “The Storm” si vede una nave che affronta una tempesta): talvolta, queste fungono da semplice sfondo, altre volte i musicisti vanno a sincronizzarsi perfettamente con esse.
Nel caso di “Chance”, invece, vengono mandate in sequenza le bandiere di diversi paesi del mondo: curiosamente, sembra mancare solo quella italiana, che invece, a sorpresa, appare grandissima a tutto schermo proprio alla fine del brano, suscitando così l’acclamazione del pubblico.

A proposito di quest’ultimo, abbiamo avuto la sensazione che neanche gli stessi musicisti si aspettassero un tale calore e un tale coinvolgimento: Stevens avrebbe potuto tranquillamente mettersi a sedere e assistere allo show, perchè tutti i brani, dall’inizio alla fine, sono stati cantati all’unisono a squarciagola dagli astanti. Neanche chi scrive ha assistito a qualcosa del genere, peraltro sembrava davvero di essere tornati indietro di almeno vent’anni, perchè tutti seguivano lo show ed erano parte integrante di esso, non era il solito concerto di oggi dove tutti stanno a filmare o a fare foto con i telefonini o si sta lì giusto ad aspettare questo o quel singolo di successo. Un coinvolgimento totale per circa due ore, una passione palpabile da parte di tutti i presenti (per la maggior parte tra i quaranta e i cinquanta, ma non solo), che hanno riscoperto la gioia e la bellezza di vivere la musica come qualcosa di vivo e di autentico.
Quando si parla di passione e di emozioni, i Savatage sono probabilmente quasi irraggiungibili: Chris Caffery è ormai il portavoce più sincero di questo spirito e si lancia anche a cantare in “I Am”, mentre Al Pitrelli è un assoluto maestro, autore di assoli a dir poco da brividi, capace di lasciare incantati con ogni singola nota.
Il culmine delle emozioni, dove davvero abbiamo visto grosse difficoltà nel trattenere le lacrime da parte di tanti per la commozione, si è toccato ovviamente con “Believe”: sullo schermo compare Jon Oliva che canta e suona il piano per la prima strofa, su cui poi s’inserisce la band, mentre continuano a scorrere immagini con foto di Criss Oliva, un chitarrista davvero fuori del comune, il cui ricordo è sempre vivido, tanto che risulta difficilmente accettabile ancora oggi la sua tragica scomparsa.

Ad ogni modo, pubblico a parte, Zak il suo lavoro lo fa davvero molto bene e svetta maestoso non solo nella ‘sua’ – per così dire – “Edge Of Thorns”, ma anche in classici come “Gutter Ballet” e “Hall Of The Mountain King”; ci è piaciuto un po’ meno magari invece nella conclusiva “Power Of The Night”, dove cercava di emulare troppo i vari urletti e acuti di Jon, ma poco importa, perchè ormai volgeva al termine uno show a dir poco epico, straordinario, favoloso.
In conclusione: sì, sarebbe stato più bello se ci fosse stato anche Jon; sarebbe stato bello anche se in scaletta fossero stati inseriti più brani del periodo con Criss Oliva. Questo è indubbiamente vero, però dobbiamo constatare, altresì, come la cura dello spettacolo in tutti i particolari con un’organizzazione davvero ottima (e pazienza se in una sera di Giugno si era al chiuso, tutto sommato il caldo era abbastanza tollerabile, considerato il numero di persone), la prova maiuscola della band, il calore e l’amore del pubblico, hanno dato vita ad un’atmosfera particolare, rara da ricreare, che testimonia come ci sia davvero tanta voglia di Savatage e la band stessa se ne sarà facilmente resa conto.
Probabilmente arriverà prossimamente il tanto annunciato nuovo album: intanto, mentre prosegue l’attesa, Zak, Al, Chris, Jeff e Johnny ci hanno regalato una serata davvero indimenticabile, da scrivere negli annali.

Setlist Savatage:
The Ocean (con intro di “City Beneath The Surface)
Welcome
Jesus Saves
Sirens
Another Way
The Wake Of Magellan
This Is The Time (1990)
Strange Wings
Al Pitrelli solo/The Storm
All That I Bleed
Handful Of Rain
Chance
Starlight/I Am/Mozart And Madness
Dead Winter Dead
The Hourglass
Believe
Gutter Ballet
Edge Of Thorns
Encore:
Power Of The Night
Hall Of The Mountain King

 

INDUCTION

SAVATAGE

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