Dopo East Coast (Maryland), West Coast (California), Canada (Quebec) ed Europa (Netherlands), era solo questione di tempo prima che un Deathfest venisse allestito anche in Scandinavia. Del resto, il marchio è ormai consolidato e per organizzatori tanto esperti è probabilmente un gioco da ragazzi allestire un cartellone attingendo da un panorama così vasto e fertile come quello metal nordeuropeo. L’attesa reunion dei Dismember si è poi rivelata la scusa definitiva per aprire anche questa nuova filiale Deathfest: la manifestazione si è infatti assicurata il primo show in assoluto di questo ritorno dei maestri del death metal svedese. Stoccolma, città natale degli headliner, è stata la location scelta per la prima edizione dell’evento e l’hype generato dall’annuncio della suddetta reunion ha portato ad un rapido sold out. Sold out ovviamente favorito anche dalla decisione di dare a questo primo Scandinavia Deathfest un taglio un poco più intimo rispetto a quanto gli altri appuntamenti ci hanno abituato nel corso degli anni: optando per il Kraken, locale di medie dimensioni che negli ultimi tempi ha ospitato anche il famigerato Stockholm Slaughter, e per il più piccolo Slaktkyrkan, venue collocata a poche decine di metri dal club principale, l’organizzazione ha fissato la capienza del festival a circa mille unità, assicurandosi così il cosiddetto pienone, un’atmosfera bollente e un assetto ordinato e funzionale. Da non sottovalutare inoltre la presenza di un centro commerciale esattamente di fronte alle sale concerti: nessuno si è infatti lamentato dell’assenza di cibo all’interno, proprio perché chiunque, con il braccialetto ricevuto all’ingresso, ha avuto modo di entrare e uscire dai locali e di usufruire in ogni momento del supermercato e degli altri negozi dall’altro lato della strada. Non sappiamo se in futuro il festival avrà luogo qui, visto che gira voce che il Kraken verrà chiuso nei prossimi mesi, ma, tenendo conto anche di una stazione della metropolitana situata a un centinaio di metri dall’ingresso, possiamo affermare che quest’anno gli organizzatori abbiano senz’altro azzeccato la location. Infine, poco da appuntare anche alla line-up: proprio come il padre Maryland Deathfest e gli altri rampolli, l’evento si è dimostrato piuttosto eterogeneo nella scelta delle band, affiancando ad una solida rappresentanza death metal delle proposte alternative più vicine ai mondi grind e crust hardcore. Niente puro black e doom metal, invece, ma va bene così: tutto sommato non si può dire che eventi dedicati a quei filoni manchino nel circuito festivaliero odierno. Lo Scandinavia Deathfest ci ha insomma offerto un’esperienza soddisfacente sotto molti aspetti, rivelandosi una manifestazione già in linea, a livello di prestigio e cura per i dettagli, con le altre rassegne già avviate sotto questo emblema. Attendiamo ora curiosi l’annuncio dell’edizione 2020.
VENERDÌ
L’onore e l’onere di aprire questa storica prima edizione dello Scandinavia Deathfest spetta ai WOMBBATH, band che per anni è stata un oggetto di culto fra alcune frange di appassionati per via del buon debut album “Internal Caustic Torments” (1993). Da qualche tempo gli svedesi sono tornati in attività e sono già due gli album rilasciati dalla reunion, anche se non molti sembrano essersene accorti. In effetti, l’atmosfera all’interno del Kraken è ancora piuttosto tiepida mentre il gruppo si esibisce; i musicisti risultano un po’ timidi e i suoni, soprattutto a livello di chitarre, appaiono inoltro molto bassi e confusi, come se lo show non fosse altro che una sorta di leggero riscaldamento per quello che arriverà dopo. Ci pensano i SORCERY a movimentare la situazione: il gruppo è altrettanto attempato, ma dà subito l’idea di avere maggiore verve ed entusiasmo. Il nuovo album “Necessary Excess of Violence” è uscito da poco e il pubblico sembra più sul pezzo o comunque maggiormente propenso a farsi coinvolgere dal death metal della formazione. Le strutture semplici e i chorus chiari e autorevoli sono fra i tratti distintivi della proposta del quintetto e tali elementi in sede live si dimostrano particolarmente funzionali. Il risultato è uno show più che piacevole, per il quale i Sorcery ricevono grandi applausi.
La platea accoglie allo stesso modo i DEMONICAL, ma, dal canto nostro, troviamo il concerto della band di Avesta abbastanza ridondante. Buona parte della scaletta è basata sull’ultimo “Chaos Manifesto”, release che abbiamo trovato decisamente piatta, e la resa live non ci fa cambiare idea sulla consistenza di questi brani. Ci sembra che il quintetto stia viaggiando un po’ troppo con il pilota automatico nella costruzione dei pezzi e una presenza scenica alquanto statica ovviamente non migliora il tiro di questo Swedish death metal dal riffing banalotto. Meglio, e di parecchio, gli UNDERGANG, realtà composta da musicisti non esattamente brillanti a livello tecnico, ma senza dubbio carichi, affamati e coinvolti nella loro esibizione. Da quando la line-up è diventato un quartetto, aggiungendo una seconda chitarra, la sua resa dal vivo è diventata ancora più mostruosa. Come gruppo sono rozzi, a volte forse pure troppo, ma i danesi sono animali da palco che di rado sbagliano un concerto. Con una setlist incentrata sui propri episodi più groovy e ignoranti, la death metal band di Copenhagen fa davvero muovere la folla, confermandosi, a questo punto, l’apice della giornata. I PURTENANCE, dal canto loro, non riescono invece a sopperire ai loro evidenti limiti tecnici: la band, soprattutto nella persona del cantante/bassista Aabeg Gautam, sembra impegnarsi molto e la scaletta pesca spesso da “Member of Immortal Damnation”, di gran lunga il disco migliore dei death metaller finnici, ma, tra suoni confusi e un batterista che arranca di continuo, la prova risulta debole e raffazzonata. Questa altalena di sensazioni prosegue con i death-doom metaller RIPPIKOULU, band che difficilmente può sbagliare concerto, dato che sono ormai anni che la propria setlist non subisce modifiche. I Nostri pescano solo dal semi-leggendario EP “Musta Seremonia” (1993) e dal demo del 1992, di conseguenza non vi sono sorprese e la platea può gioire per uno show che prevede tutti i mini-classici dei finlandesi. In verità, il frontman Anssi Kartela ci pare oggi un tantino più svogliato del solito, ma forse siamo noi a confondere la sua flemma per noia. Dal canto suo, il resto della band suona con discreto trasporto, svolgendo il compitino come ampiamente preventivato. Un secondo compitino ci viene consegnato dai DEMILICH, altra band che suona lo stesso concerto da anni, ma lungi da noi lamentarci: siamo grandi estimatori del quartetto e del suo originale approccio al death metal. Non ci stancheremo mai di ascoltare una perla di techno-death come “Nespithe” e, di conseguenza, non ci annoiamo davanti ad una performance che prevede l’esecuzione di capolavori come “(Within) The Chamber of Whispering Eyes” o “The Echo”. Con loro i suoni all’interno del locale magicamente migliorano e Antti Boman e compagni fanno esattamente tutto ciò che ci si attende dalla band: suonano impeccabilmente e, nelle pause, intrattengono i presenti con una serie di freddure una più assurda dell’altra. Copione rispettato e ‘concorrenza’ asfaltata.
L’atmosfera cambia con l’arrivo degli UNANIMATED e del loro death-black metal luciferino. Una sorta di mosca bianca all’interno del cartellone, gli svedesi portano in scena quello che è senz’altro il concerto più tenebroso della giornata e dell’intero evento. Il bassista Richard Cabeza si esibirà anche domani sera con i Dismember, e fa piacere vederlo già in palla e non troppo invecchiato. La scaletta non va troppo sulla nostalgia, offrendo brani anche da prove più ‘recenti’ come “In The Light of Darkness”, ma ovviamente i boati maggiori si sentono all’altezza di vecchie hit come “Life Demise” e “Die Alone”, dall’immortale “Ancient God of Evil”. Non si tratta certo di una band che suona spesso, ma gli Unanimated risultano davvero ben rodati in questa occasione. Qualità invece che quantità, volendo ricorrere ad un motto noto. Anche il finale del concerto – con l’ospite Set Teitan (Watain, Dissection, Aborym) ad occuparsi di terza chitarra e backing vocals su pezzi come la titletrack dell’ultimo album e una cover di “Satanic Lust” dei Sarcofago – non risulta affatto forzato.
Una gran bella prova, alla quale gli headliner BENEDICTION rispondono degnamente. Il ritorno dello storico frontman Dave Ingram ha ulteriormente rilanciato i death metaller britannici, oggi più che mai pronti a riprendersi un posto di un certo rilievo nel panorama europeo. Il revival old school e i sentimenti nostalgici che animano molti appassionati sono terreno fertile per una formazione come questa, che deve solo riesumare qualche classico in più del solito per impressionare un’audience già ben disposta. Ingram e il suo fare sornione battezzano uno show assolutamente concreto, che passa con naturalezza da episodi estratti dal sempre acclamato “Transcend the Rubicon” a composizioni meno note o più recenti. Ad esempio, ben due pezzi vengono estrapolati da “Grind Bastard”, mentre l’era con Dave Hunt al microfono viene rappresentata da “Suffering Feeds Me” e “They Must Die Screaming”. Dei suoni particolarmente nitidi, un’esecuzione convincente e le suddette doti da intrattenitore di Ingram rendono lo spettacolo ben più coinvolgente del previsto e pongono i Benediction fra gli highlight del festival. A fine serata, tutti sembrano concordare sul fatto che si sia trattato di uno show di cui andare fieri.
SABATO
La seconda e ultima giornata del festival vero e proprio (i Dismember faranno il bis domenica supportati da un pugno di altre band, ma lo show è tecnicamente slegato dallo Scandinavia Deathfest) per noi si apre con il set dei SARCASM, realtà death-black svedese che ha mosso i primi passi addirittura tre decenni fa, ma che non è mai veramente esplosa. Con un nuovo album in uscita proprio in questi giorni, “Esoteric Tales of the Unserene”, il quintetto si presenta piuttosto carico, ma, come già accaduto ieri, dei suoni pastosi non aiutano il gruppo ad imporsi. Si sentono alla lontana i classici intrecci di chitarra e le ‘smandolinate’ tipici del filone, ma la botta del suono è lungi dall’apparire densa e appagante. Facciamo quindi una puntata all’interno dello Slaktkyrkan per goderci uno scampolo del concerto dei MASSGRAV, gruppo ormai storico del panorama crust punk svedese. Il locale è più piccolo del Kraken, ma la struttura e l’acustica ci sembrano subito migliori. Il quartetto inoltre gioca in casa, essendo di Stoccolma, quindi l’atmosfera risulta elettrizzante e coinvolgente: molti fan spingono verso il palco e si crea subito un certo movimento. Essendo veterani di un festival come il Maryland Deathfest, siamo abituati ad un tale cambio di sonorità e all’accostamento fra metal estremo e la frangia più sporca e oltranzista del mondo punk. Dopo tutto, anche certi padri del death metal svedese sono fra i primi fan di questo genere.
Di lì a poco facciamo rientro nel Kraken, ma lo show dei CENTINEX – negli ultimi anni diventati una sorta di clone di Six Feet Under e Obituary dopo una buona fetta di carriera devota ad un ben più convincente death-black di matrice svedese – ci lascia alquanto indifferenti. Meglio avviarci di nuovo verso lo Slaktkyrkan, visto che non è il caso di perdersi il concerto dei DEATH TOLL 80K, band che sa rendersi protagonista di prove live eccellenti. Per fortuna non veniamo assolutamente delusi dai finlandesi: il loro ultimo album, “Step Down”, non ha raggiunto i livelli del notevolissimo debut “Harsh Realities”, ma dal vivo è tutta un’altra storia. Mestri nell’unire un grind parassistico alla Insect Warfare, Assuck o Wormrot con dei riff old school death metal super orecchiabili, i quattro impiegano letteralmente un minuto a prendere in mano la platea, per non lasciarla più. La mezz’ora a loro disposizione vola via in un attimo, i fan chiedono inutilmente un bis, ma la sensazione di avere assistito comunque ad uno show esemplare resta.
Torniamo al puro death metal grazie agli INTERMENT, paladini del più genuino sound svedese e autori di alcuni dei migliori dischi che il genere abbia offerto negli ultimi anni. Johan Jansson e compagni hanno tutto: pezzi vincenti, suoni degni di questo nome e una nutrita schiera di fan adoranti. Il risultato è un concerto schietto e divertente, che, con episodi come “Morbid Death” o “Torn from the Grave”, li pone su tutt’altro livello rispetto alla maggior parte dei veterani esibitisi sinora nel corso della manifestazione. Più tardi nella giornata ci ritroviamo a fare lo stesso discorso per i MARTYRDOD, anche se la proposta è diversa. Con loro ci immergiamo in un crust d-beat intriso di melodia, dove euforia e persino epicità si sposano con il tipico andamento sferragliante di questa frangia hardcore. I recenti “Hexhammaren” e “List” ci hanno presentato una formazione sempre più duttile e spigliata, che non ha di certo intenzione di restare chiusa a vita all’interno della tradizione del genere di partenza. Anche il concerto di oggi segue questa coordinate, mettendoci davanti agli occhi un gruppo che non recita alcuna parte e che sembra semplicemente divertirsi suonando ciò che più gli aggrada. Davvero un bel vedere e un bel sentire, all’interno di un locale, lo Slaktkyrkan, che ora inizia a farsi gremito.
Dentro al Kraken tocca invece ai TOXAEMIA, band della prima ondata svedese tornata in attività un paio di anni fa. Con un solo EP e un paio di demo all’attivo (poi ristampati in una compilation curata dalla Dark Descent), non si può dire che il gruppo abbia giocato un ruolo fondamentale nella scena. Di certo i Nostri non sono gli Entombed, ma anche paragonarli a formazioni di culto come Nirvana 2002 o Gorement ci pare un azzardo, visto che il materiale è sì datato ma certo non clamoroso dal punto di vista qualitativo. Lo show, dal canto suo, non segue coordinate molto diverse: un buon impatto, qualche cultore che scapoccia in prima fila, ma niente di sensazionale. Uno show onesto e nulla più, come tanti altri visti in questi due giorni. Sul secondo palco i ROTTEN SOUND fanno un’altra impressione: da tempo fra i leader del panorama grindcore nordeuropeo, il quartetto può vantare un’esperienza e una compattezza figlie di centinaia di concerti in tutto il mondo. Si può dire che il loro show sia lo stesso da anni, dato che anche la discografia non ha subito grandi scossoni sul fronte stilistico nell’ultimo decennio, ma quando i finlandesi iniziano a concatenare tracce come “Self”, “Targets”, “Choose”, “Decay” o “Burden”, è difficile non restare colpiti dalla potenza sprigionata dal classico pedale HM-2 e dal drumming severissimo di Sami Latva.
Decidiamo di fermarci all’interno dello Slaktkyrkan per riposare un po’ e per vedere parte dello show dei padri del grind svedese GENERAL SURGERY, i quali ci danno l’impressione di essere sempre in forma, nonostante un’attività live e discografica tutt’altro che frenetica. Erik Sahlström si conferma un frontman capace e il tributo ai primissimi Carcass architettato dal quintetto è sempre tra i più divertenti in circolazione. Bisogna però tornare al Kraken, in modo da assicurarsi un posto centrale per seguire l’attesissimo show degli headliner. I DISMEMBER sono di gran lunga il nome più importante in programma: la loro assenza si è fatta decisamente sentire in questi anni di revival vecchia scuola, dove parecchi giovani epigoni hanno inutilmente cercato di rinverdire il loro classico sound. Certo, non si può dire che Fred Estby e compagni abbiano pubblicato solo capolavori in carriera, ma anche i loro album meno riusciti riescono ancora oggi a risultare più vitali di molte produzioni pseudo-old school uscite di recente. Dopo un intro fortunatamente non troppo snervante, la band fa il suo ingresso sul palco, accolta da applausi scroscianti e veri e propri ululati. C’è chi non ha mai visto il gruppo dal vivo, ma anche coloro che non si sono persi un concerto quando gli svedesi erano in attività tradisce un po’ di emozione. Sentimento che diventa vera esaltazione all’attacco di “Override of the Overture”, brano che la band interpreta senza un briciolo di apprensione, quasi come se non si fosse mai fermata. Dal canto suo, il pubblico addirittura sorregge con dei cori le linee di chitarra, come spesso avviene durante gli spettacoli degli Iron Maiden. L’età ormai piuttosto avanzata si manifesta solo nelle chiome ormai non più folte dei musicisti e, in qualche tratto, nella voce di Matti Kärki, che, come prevedibile, non ha più la profondità di un tempo. Ma va bene così: del resto, nessuno si sta aspettando uno show perfetto e qualsiasi timore viene puntualmente dimenticato all’incipit di ogni brano di una scaletta studiata appositamente per entusiasmare i più nostalgici. “Soon to Be Dead”, “Skinfather”, “Pieces”, “Misanthropic” e “Dismembered” sono solo alcune delle hit che la band esegue in un concerto davvero lungo e intenso, anche per i suoi standard di un tempo. Ogni pausa viene compresa e perdonata perché si vede che i Dismember si stanno impegnando e hanno preparato con cura la loro esibizione: la piacevole parentesi dedicata al periodo demo, con Robert Sennebäck al basso e al microfono per cantare “Deranged from Blood” e “Deatheveocation”, sa infatti sia di chicca per i die-hard fan che di mossa furba architettata per dare modo a Kärki di rifiatare. Anche in queste cose si notano l’esperienza e la sagacia di una band di veterani. Insomma, sia dal punto di vista esecutivo che da quello prettamente scenico, il quintetto fa il suo senza risparmiarsi, andando ben oltre le speranze iniziali. Non ci aspettavamo una tale energia, per giunta spalmata su quasi venti canzoni. Come si suol dire, gli svedesi gettano il cuore oltre l’ostacolo e confezionano una performance che a tratti potremmo anche definire commovente. Quasi certamente l’hype attorno alla reunion scemerà quando questi maestri inizieranno a suonare ai soliti grandi festival con regolarità, ma, per il momento, possiamo dirci davvero contenti di rivederli in azione con questo affiatamento. Chi li attende in Europa il prossimo anno si prepari a delle esperienze memorabili.