STIGMA
Ghiotta occasione per farsi notare e orario sfortunato allo stesso tempo: i vampiri deathsters piemontesi, forti dei pareri entusiasti della critica internazionale (per ultima un’ottima recensione del magazine statunitense Decibel) saltano sul palco con il massimo della foga, ma siccome non sono ancora scoccate le 20:00 l’Alcatraz è ancora semivuoto. Sarà perchè i pezzi oramai ci suonano nelle orecchie, sarà perchè il palco di dimensioni decenti permette ai ragazzi di esprimersi fisicamente in tutto il loro entusiasmo, sta di fatto che i cavalli di battaglia di “When Midnight Strikes!” suonano sicuramente meglio rispetto l’anno precedente (visti con The Black Dahlia Murder ad Avigliana): “Silver Bullets And Burning Crosses” e “I Am Dracula” sono groovy, taglienti ma soprattutto veloci e rappresentano il meglio degli Stigma, un nome che può iniziare a far bene anche fuori dai confini nazionali.
SLOWMOTION APOCALYPSE
Italian Death Metal Finest. Siamo d’accordo. La proposta dei triestini è più cadenzata rispetto ai giovani predecessori, pur restando debitrice ai maestri At The Gates: gli Slowmotion sanno gestire il palco in maniera più esperta e oculata, dosando le energie e lasciando al frontman Alberto Zannier il compito di scuotere il pubblico. Certo, in una mezz’ora stiracchiata non si possono fare miracoli, ma i presenti dimostrano di apprezzare in toto gli estratti da “Obsidian” e “My Own Private Armageddon”, sostenendo l’esibizione e ringraziando fisicamente la band una volta terminato lo show, nell’immancabile banchetto del merchandise. Qualcuno si aspettava anche la cover degli Iron Maiden, ma in tempistiche così ridotte non è lecito chiedere di più. Da esportare.
THROWDOWN
Iniziamoaffermando che Mark Mitchell è uno dei personaggi più sinceramente entusiastidella scena: sin dal pomeriggio, il ragazzone gironzolava per le zone limitrofeall’Alcatraz per chiacchierare e stringere la mano a quanta più gente possibile;e la stessa passione è mostrata dietro le pelli dei Throwdown, gruppohardcore/metal texano che si esibisce nel cuore del mini-festival meneghino. L’ultimo”Venom & Tears” ha suscitato qualche perplessità, per il ricalcarein maniera troppo marcata i Cowboys From Hell dell’era Vulgar, ma dal vivopossiamo tranquillamente sostenere che il combo capitanato da Dave Peters èimpressionante. Il sound compresso e ribassato dona alle canzoni un tocco moltoheavy e hardcore, scatenando, di fatto, il primo violento mosh della giornata ed esaltando non poco il resto dei presenti. Peters, rasato e a torso nudo,imita le movenze di Anselmo alla perfezione – oltre a dannarsi l’ugola esprecarsi in pose da duro; Choiniere invece, alla chitarra, è un redneckirresistibile, e incarna tutto lo spirito southern della formazione. Sedovessimo scegliere il momento migliore di questo showcase, punteremmosull’opener “Holy Roller”… ma vogliamo di più, non vediamo l’ora divederli da headliner.
36 CRAZYFISTS
Sono le 21.30 quando la formazione proveniente dall’Alaska fa il suo ingresso sul palco di un Alcatraz che nel frattempo inizia ad essere un po’ meno deserto: tra i gruppi in cartellone stasera infatti, i 36 Pugni Pazzi sono la formazione più vicina al fenomeno emo del momento, e non a caso, tra le prime file ad inneggiare la band, troviamo la frangia più giovane del pubblico presente in sala. A dispetto di ciò, e pur avendo da sempre apprezzato la proposta dei nostri su disco, dobbiamo però ammettere che la prestazione offerta stasera dal four-piece americano risulterà a conti fatti abbastanza scialba, sia in termini di presenza scenica che di proposta sonora: se infatti la prima risulta quasi del tutto assente (eccezion fatta per il singer Brock Lindow, i tre strumentisti si limitano a svolgere il proprio compitino), anche dal punto di vista prettamente musicale i quattro non hanno convinto a fondo. Troppo sbilanciata verso i classici del passato la scaletta dell’esibizione (ben 5 su 11 totali, i brani estratti dal secondo album “A Snow Capped Romance”, mentre dall’ultimo “The Tide and Its Takers” è stato estrapolato il solo singolo “Vast and Vague”) e poco incisivo il wall of sound rispetto alle band che li hanno preceduti, anche se il pubblico è sembrato comunque gradire e ha partecipato con entusiasmo sulle note delle varie “At the End of August”, “I’ll Go Until My Heart Stops”, “Felt Through a Phone Line” e “Bloodwork”. Dopo 45 minuti, per i quattro è già tempo di lasciare posto agli headliner della serata, tra la soddisfazione del pubblico e il rammarico di chi scrive, anche se li attendiamo fiduciosi alla prossima calata italica di supporto alla loro ultima fatica discografica.
BLEEDING THROUGH
Tempo di un veloce cambio palco ed ecco salire on stage la formazione di Orange County, ché tanto non ha necessità alcuna di scenografie particolari: basta infatti la devastante forza d’urto sprigionata dai sei sulle assi del palco, assi che tremano quando i nostri attaccano al grido di “I don’t give a Fuck” spazzando via come un tornado le prime file dell’Alcatraz sulle note della potentissima “For Love and Failing”. Siamo solo alle battute iniziali, ma già lo show si preannuncia uno spettacolo tanto per gli occhi (per la verità, nel caso dei maschietti, calamitati dalla graziosa tastierista Marta) quanto per le orecchie: se infatti i sei da un lato non risparmiamo una singola goccia di sudore sul palco, al tempo stesso il wall of sound creato dalle due asce di Jona e Brian e dalla sezione ritmica formata da Ryan e Derek appare finalmente degno di tale nome, costituendo l’ideale complemento sonoro per le urla belluine del singer Brendan, un vero animale da palcoscenico che non manca a più riprese di coinvolgere il sempre più partecipe pubblico. Scaldata a dovere l’audience, il combo di casa Trustkill ci propone dunque i migliori estratti dall’ultimo “The Truth” e dal suo predecessore “This is Love, This is Murderous” (da urlo la versione di “On Wings Of Lead”), trovando anche il tempo per presentarci un nuovo pezzo che lascia davvero ben sperare per quanto riguarda l’imminente nuovo album “Declaration”. Dopo un’oretta scarsa è purtroppo già tempo di saluti e per una volta non solo metaforicamente parlando: a concerto ultimato infatti i nostri, lontani da ogni atteggiamento da rockstar e fedeli alle proprie radici hardcore, si intrattengono chi a firmare autografi (il singer Brendan) chi a farsi fotografare con gli adoranti fan (la tastierista Marta), fornendo un’ulteriore riprova, casomani ce ne fosse bisogno, di chi più di ogni altro abbia meritato stasera lo scettro di re del metalcore…