INME
Quando gli InMe fanno la loro comparsa on stage, il pubblico ancora non ha raggiunto il traguardo del sold-out, però già si è sprecato in ripetuti cori ‘Sergio, Sergio!’ all’indirizzo del frontman armeno-americano; oltre alla certezza della totale mancanza di interesse nei confronti della support band, viene pure da chiedersi, a questo punto, quanta gente era a conoscenza dell’esibizione del terzetto dell’Essex… Comunque sia, i fratelli Dave e Greg MacPherson ed il batterista Simon Taylor formano gli InMe, un gruppo che in Italia è del tutto sconosciuto, ma che all’estero è parecchio attivo e autore di numerose comparsate sui palchi di prestigiosi festival (Download in primis). La band propone un metallo alternativo, tra il virtuoso, il funky ed il rockeggiante, che fa abbastanza fatica ad inculcarsi nella mente di chi ascolta, vuoi a causa della spasmodica attesa per l’headliner, vuoi per la misera pochezza delle linee vocali del gruppo, un tallone d’Achille veramente pesante. Se da una parte, infatti, gli InMe hanno dimostrato di essere ottimi tecnicamente, dall’altra, quella cantereccia, hanno lasciato parecchio a desiderare. Quaranta minuti di funky-rock metallizzato sono bastati agli astanti per spazientirsi e ai tre inglesi per farsi conoscere. Sempre che qualcuno abbia capito le parole del frontman-chitarrista, esibitosi in un inglese dialettale e biascicato del tutto incomprensibile. E ora avanti con mister Serj…
SERJ TANKIAN
I System Of A Down sono stati insieme undici anni, più dei Beatles, dei Doors, dei Led Zeppelin. Dopo cinque dischi e relativi tour, una pausa indefinita, per perseguire progetti personali, è agli occhi di tutti più che giustificata. Con una mossa volta a riabbracciare subito i suoi sostenitori, il frontman Serj Tankian ha pubblicato un solista ispirato e sulle coordinate del suo gruppo principale e si è concesso da subito un tour di successo che ha toccato l’Italia in un’unica occasione, trasformatasi in un piccolo evento. Nell’Alcatraz gremito si è raccolta dunque una popolazione che abbraccia anche gli amanti del rock e gli ascoltatori occasionali, di sicuro amanti delle sonorità esotiche e della particolare voce di Serj, oggetto di discussione perpetua tra gli appassionati. Dopo un cambio palco quasi interminabile, l’istrionico singer si presenta, nel delirio, in una mise candida da “cappellaio matto” e apre le danze, dopo un’intro in falsetto, con “Sounds Of War”, seguita da una “Empty Walls” da capogiro che incendia letteralmente l’audience. Vengono subito cancellati tutti i dubbi riguardo al valore eccezionale dell’ugola dell’armeno-americano: nei brani di “Elect The Dead”, potenti, vibranti e melodici, tutte le caratteristiche migliori della voce vengono confermate in maniera convincente, dalle cornici arzigogolate alle urla mistiche, ai momenti più gravi e suadenti. Il trasporto resta elevatissimo nell’esecuzione di “Feed Us” e fino a “Sky Is Over”, ma fisiologicamente, nei brani più deboli dell’album, rimane evidente un calo che avrebbe potuto essere sostituito dai classici dei System. Tra i turnisti che accompagnano l’artista, vestiti allo stesso modo ma di nero da capo a piedi (quasi a ricercare un totale anonimato), qualcuno si aspettava forse il drummer John Dolmayan, ma si deve accontentare di un simpatico bassista di nome Mario, subito ribattezzato Super Mario, che tradurrà alcuni dei discorsi in italiano per rendere partecipi proprio tutti delle invocazioni anti-Bush e anti-Berlusconi che trovano largo consenso. Percorrendo l’intera tracklisting dell’album la scaletta si interrompe su “Beethoven’s Cunt”, ma i cori che inneggiano a Sergio sono consapevoli che verranno concessi altri brani: manca “The Unthinking Majority” infatti, uno dei pezzi più riusciti del platter. Come chicca, rivelatasi purtroppo una perla ai porci, Sergio chiude con “Holiday In Cambodia” dei Dead Kennedys, influenza lampante sull’intero repertorio dell’artista, ma il pubblico ignora quasi completamente questo classico del punk e, sebbene saluti calorosamente Tankian, rimane colpevole di un finale sottotono. L’assenza dei brani dei SOAD non ha pesato dunque più di tanto tirando le somme, grazie a delle coordinate molto simili al repertorio della band e a una prova eccellente su palco. Chissà se gli Scars Of Broadway riusciranno a fare altrettanto…