22/11/2018 - SHINEDOWN + STARSET + PRESS TO MECO @ Alcatraz - Milano

Pubblicato il 28/11/2018 da

Report e fotografie a cura di Riccardo Plata

Sono passati solo cinque mesi dall’ultima calata italica degli Shinedown – per l’occasione con una tripletta tra Milano, Cervia e Firenze, quest’ultima come opening act degli Iron Maiden al Firenze Rocks – e poco più dall’uscita del controverso “Attention Attention!”, eppure il pubblico milanese risponde presente in massa all’appello di Brent Smith e soci, arrivando a riempire quasi del tutto un Alcatraz finalmente in versione ‘palco grande’. Una scelta che si rivelerà azzeccata vista la performance sanguigna della band americana! Ma andiamo con ordine e, persi per via del traffico milanese i Press To Meco, occupiamoci prima degli Starset, strani personaggi atterrati sul palco meneghino da una galassia lontana lontana…


STARSET

Arrivati nel locale quando gli Starset hanno già iniziato a suonare, restiamo per prima cosa colpiti dalla presenza scenica della band, agghindata con tute / caschi spaziali (anche se ad un occhio più cinico potrebbero sembrare maschere da saldatori…) e con ben sette elementi sul palco, tra cui due violoncelli ed un violino; aggiungiamoci un maxi-schermo che alterna immagini fantascientifiche e storiche, ed ecco giustificato l’hype visivo. Dato che anche l’orecchio vuole la sua parte, diciamo che da questo punto di vista il cosidetto ‘cinematic rock’ degli Starset ci ha impressionato di meno, mescolando senza troppa originalità il sound dei vari Linkin Park, Skillet, Nothing More e 30 Seconds To Mars, con l’aggiunta di un sottofondo orchestrale da colonna sonora e a contorno il già citato concept fantascientifico. Gli estratti dai primi due album (“Transmission” e “Vessels”), unitamente ad una presenza scenica animata da effetti speciali quali luci, fumogeni, voci fuori campo e dalle interazioni con le prime file, sembrano comunque fare presa sul pubblico, che risponde calorosamente agli incitamenti del mastermind Dustin Bates, abile a creare proseliti tanto on line quanto on stage. Non vorremmo essere troppo severi vista la mezz’ora di osservazione, ma parafrasando i dettami di una celebra bibita gassata (‘l’immagine è zero, la musica è tutto’), possiamo dire che dal punto di vista compositivo la formazione dell’Ohio ha ancora un po’ di strada da fare, anche se l’audience in sala sembra aver apprezzato lo show a tutto tondo.

SHINEDOWN
Sono da poco passate le 21 quando, sulle note dei My Chemical Romance (!), gli headliner fanno il loro ingresso sul palco dell’Alcatraz, dimostrando di poter spazzare via chi è venuto prima senza bisogno di effetti speciali (l’allestimento è il classico chitarra-basso-batteria, lo sfondo un telone nero con il nome della band), ma con una botta di energia e di carisma secondi a nessuno. Gran parte del merito in questo senso va al palestratissimo frontman Brent Smith – caricato come una molla ed impegnato in uno show-nello-show che va dalla stretta di mano ai fotografi alla passerella tra il pubblico, senza perdere una nota ed, anzi, cantando quasi meglio che in studio -, accompagnato egregiamente ai cori dal chitarrista Zach Myers e dal bassista Eric Bass, senza dimenticare lo scatenato batterista Barry Kerch con i suoi dread sempre in movimento. Se l’inizio è col botto – con le nuove “Devil” e “Cut The Cord” intervallate da “Diamond Eyes (Boom-Lay Boom-Lay Boom)”, singolo composto per i Mercenari di Stallone -, il proseguo non è da meno con la nuova “Black Soul” recitata da uno Smith che calamita le prime file solo con lo sguardo, prima di aprire la parentesi dedicata all’indimenticabile “Amaryllis” con un crescendo che, dalla toccante “I’ll Follow You”, passando per l’adrenalinica “Bully”, ci porta fino alla corale “Unity”, cantata a squarciagola da un pubblico che sembra aver preso alla lettera il verso ‘put your hands in the air’. Mani che restano alzate, stavolta munite dell’immancabile telefonino-accendino, per la successiva “State Of My Head”, preludio ad una seconda metà dello show che, eccezion fatta per la potente “Enemies”, predilige i toni intimisti di semi-ballad vecchie e nuove, tra cui segnaliamo una commovente versione di “Misfits” (dedicata da Smith al primo amore, quello che non si scorda mai) e l’immancabile parentesi acustica con “Call Me” (accompagnata da Bass al piano e cantata a squarciagola dal pubblico) e l’ormai celeberrima cover di “Simple Man” dei Lynyrd Skynyrd. Detto che chi scrive avrebbe sostituito una ballad con “Devour” o “Adrenaline”, dopo una sequela di ringraziamenti un po’ ruffiani ma sinceri, gli encore distillano le ultime gocce di sudore con “The Sound Of Madness” e il gran finale affidato a “BRILLIANT”, botta di energia positiva che fa uscire gli astanti con un sorriso a trentasei denti, consapevoli di aver assistito ad uno show perfetto sotto ogni punto di vista.

 

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