19/09/2016 - SHINING + INTRONAUT + OBSIDIAN KINGDOM @ Freakout Club - Bologna

Pubblicato il 25/09/2016 da

Introduzione a cura di Giovanni Mascherpa
Report a cura di Emilio Cortese e Giovanni Mascherpa

La terza e ultima data italiana del tour comprendente Shining, Intronaut e Obsidian Kingdom va in scena in quel del Freakout bolognese. Quella che, secondo quanto riportato dagli Shining sui loro canali social, sarebbe “la venue più piccola di sempre”. La band di Jorgen Munkeby dovrebbe avere un minimo di familiarità col posto, essendoci passata già nel 2015, durante il tour autunnale intrapreso assieme a Caligula’s Horse e Jack Dalton. In effetti, il locale adiacente alla ferrovia, a ridosso della zona centrale del capoluogo emiliano, non è di certo dotato della superficie e dell’altezza di una cattedrale. In queste occasioni tocca alle band colmare il divario fra location piccina e ambizioni di grandezza: nessuna delle tre formazioni si può considerare di prima fascia quanto a popolarità internazionale, mentre il discorso cambia in positivo se consideriamo l’importanza nelle specifiche scene di riferimento. Nel prog evoluto, classico per molti versi e contaminato per altri, in cui nuota l’opening act, in pochi oggi rivaleggiano in profondità dei contenuti con gli autori di “A Year With No Summer”. Lo stesso si può dire per gli Intronaut nell’alveo dello sludge progressivo, perché tra gli imitatori del suono mastodoniano usciti dal bozzolo della violenza per concepire articolati mondi sognanti, i losangelini sono da anni fra i più rinomati esponenti. Per gli Shining norvegesi il discorso si fa ancora più ampio, costituendo gli headliner della serata – con gli Intronaut si spartiscono più o meno lo stesso minutaggio, leggermente variabile a seconda delle date del tour, durante le quali cambia anche il posizionamento in scaletta del gruppo americano e di quello norvegese – una creatura tra le più trasversali dell’ambiente metal odierno, per i puristi del genere nemmeno annoverabile al suo interno! Ci sono quindi moltissimi motivi per ammirare i tre act uno di seguito all’altro, e per quello che può essere oggi il loro bacino d’utenza accorre una platea numericamente sufficiente per dare risalto alle esibizioni in programma.

shining - tour 2016

OBSIDIAN KINGDOM

Facciamo il nostro ingresso nel locale quando l’ensemble catalano occupa l’angusto stage da qualche minuto. La prima impressione che ne ricaviamo, per motivi non legati all’operato dei musicisti, è un poco sconfortante. Le chitarre sono sotterrate nel missaggio, le fondamentali tastiere di Seerborn Ape Tot percettibili a fatica, rullante e piatti sovrastano le delicate armonie e le ritmiche multiformi inondanti i dischi, così che a dare vivacità alla musica ci pensa, solitaria, la voce di Rider G Omega. Se consideriamo che gli Obsidian Kingdom, pur concentrandosi un po’ inaspettatamente sul materiale a maggior coefficiente metallico di “Mantiis”, sono gruppo non poco bisognoso di pulizia sonora ed equalizzazioni certosine per far emergere tutto il valore degli arrangiamenti, si capirà che l’esibizione parte con un gravoso handicap da portarsi dietro. Al deficit sonoro iniziale, solo parzialmente compensato da qualche aggiustamento del fonico in corso d’opera, i musicisti rispondono con le armi della classe e del controllo dei nervi, oltre a un entusiasmo che permette di affrontare nel migliore dei modi i problemi sulla loro strada. Il bassista Om Rex Orale fende allora il pubblico e va a suonare in mezzo alla sala circondato dai pochi spettatori già all’interno; il cantante/chitarrista regala sorrisi da prim’attore, passionale ed enfatico nelle voci e ottimo esecutore delle sue partiture di chitarra; il povero Seerborn Ape Tot, rincantucciato in un angolo, massacra i tasti d’avorio e solleva le tastiere nei momenti più accesi e posseduti dal sacro fuoco. Infine ci sono i pezzi, stupendi, bozzetti di trattenuta arte progressiva e intelletto cogitante con arguzia attorno a tematiche filosofiche e narrazioni esistenzialiste. Le qualità dei cinque non possono emergere del tutto, inutile sperare in chissà cosa, servirebbe un contorno uditivo migliore. Va lodata comunque la tenuta del palco e la capacità di rendersi interessante per chi non abbia idea di chi siano, impresa non facile date le condizioni operative di giornata.
(Giovanni Mascherpa)

INTRONAUT

L’esponenziale aumento nel numero di unità e nel rumoreggiamento quando i quattro americani attaccano gli strumenti agli amplificatori dice chiaramente che il ruolo di band più attesa Shining e Intronaut se lo giocano ad armi pari. Salvo un minimo di speranza germogliato in avvio grazie a uno spessore delle ritmiche sicuramente implementato rispetto all’esibizione precedente, per gli Intronaut vale il discorso sui suoni formulato per gli Obsidian Kingdom. In questo caso, a svettare per l’intero set sui compari è il basso di Joe Lester, in comunione a dei piatti assordanti, che si issano su non gradite vette di fastidio quando il talentuoso batterista Danny Walker va ad aumentare la forza dei colpi sui tamburi. L’assetto precario dell’insieme penalizza enormemente le chitarre di Sacha Dunable e Dave Timnick, impegnati anche in parti vocali il più delle volte messe in un angolo dall’invadenza della sezione ritmica. A questo punto, riuscire ad apprezzare veramente l’operato del talentuoso manipolo di strumentisti californiano sfocia, a nostro modo di vedere, nel più assoluto soggettivismo. Per chi li reputa tra i migliori esponenti del metal ‘colto’ e iper-cesellato, e sono in tanti all’interno del locale, questa versione leggermente monca basta e avanza: il genuino rapimento, le espressioni estatiche, l’essere posseduti dall’arcobaleno ora placido ora tempestoso delle note, si leggono senza difficoltà sui volti del grosso dei convenuti. Quello che si perde in risoluzione e ampiezza della gamma melodica rimane ben presente in strutture e andamenti, quelli sì, fedeli alle versioni degli album, e quindi la soddisfazione del fan medio degli Intronaut ci sta tutta. Discorso diverso, e avverso, per chi non ne mastica di frequente il verbo: complice un distacco totale fra band e pubblico, tale da farci ipotizzare che i Nostri non si rendano nemmeno conto di aver davanti qualcuno che ha pagato per vederli e ascoltarli, e un dipanarsi delle canzoni quasi mai incline a catturare al primo ascolto, la noia insorge in fretta e non ha motivo di schiodarsi dalla nostra testa neanche quando i regimi si alzano e la rabbia degli albori fa – timidamente – capolino. Per chi scrive, volendo formulare un paragone con realtà coeve, aventi coordinate soniche attinenti – Baroness, Mastodon, Kylesa, The Ocean, Torche – gli Intronaut restano indietro per nerbo, empatia, vigore. Non dal lato tecnico, certamente, mentre le emozioni al loro cospetto non è da tutti provarle.
(Giovanni Mascherpa)

SHINING

Questa sera al Freakout sono decisamente puntuali e questo, rispetto agli standard a cui il pubblico solitamente presente è abituato, fatto di concerti che finiscono a notte fonda e tempi di attesa tra un gruppo e l’altro pressoché biblici, è una notizia che accogliamo con piacere e pollice rivolto verso l’alto sperando che non si sia trattato solo di un caso. Sarà compito della band capitanata dall’eclettico e istrionico Jørgen Munkeby chiudere le danze di questa bella serata di musica pesante e risvegliarci da un’esibizione non troppo vivace da parte degli Intronaut. E infatti, nel raggio di pochi, pochissimi minuti, per non dire addirittura di una manciata di accordi, ci sembra di essere piombati quasi in un altro locale, senza problemi di acustica o spazio, nonché in un’altra dimensione di concerto, quella cioè fatta di pubblico partecipe, gente che salta, che urla, che poga, che suda… insomma che si diverte e vive un concerto metal degno di questo nome. Sin dalle prime note di “I Won’t Forget” veniamo travolti da un turbinio di ritmiche isteriche e al contempo frizzanti, a cui viene data un’energia e una credibilità con pochi eguali. Impossibile, dicevamo, restare fermi, non saltare e non partecipare in maniera fisica allo show, d’altra parte Jørgen si dimostra un frontman di primissima categoria, dotato di un carisma e di una presenza scenica travolgenti. Inizia “The One Inside” e Jørgen estrae persino una telecamera ‘go-pro’ che affida agli scalmanati ragazzi delle primissime file che avranno il difficile compito di filmare il concerto e al contempo godersi un live così esplosivo. Se da un lato risulta quasi fuori luogo fare un paragone tra Shining e Intronaut, se non altro perché i due gruppi suonano due generi completamente diversi, dall’altro è impossibile non pensare all’immobilismo quasi naif dei precedenti contro il continuo incitare, coinvolgere ed esaltare il pubblico dei norvegesi. Non ci resta quindi che prendere atto del fatto che vi è un divario oggettivo in termini di comunicatività e di pathos trasmessi; qualcuno dirà che si tratta di due modi di intendere lo spettacolo diversi, ma se da un lato abbiamo l’impressione di trovarci davanti ad una band che semplicemente ripropone le sue (belle) canzoni, dall’altra vediamo un gruppo che vive, si affanna, suda e fa confluire energia in ogni singola nota/battuta impressa dal proprio strumento. E’ quasi superfluo, infatti, tessere le lodi tecniche dei singoli strumentisti: solo una considerazione nasce spontanea tra chi (anche solo per diletto) ha mai imbracciato uno strumento: la facilità e la scioltezza con cui i Nostri riescono a far sembrare semplice tutto quello che suonano e che, oggettivamente, facile da suonare proprio non è. La scaletta è fondamentalmente rivolta alle ultime fatiche in studio della band, con le sole “The Madness And The Damage Done” e “Fisheye” tratte da “Blackjazz”, e con tutte le altre invece estratte da “One One One” (concentrate nella prima parte del live) e da “International Blackjazz Society” (nella parte conclusiva ). Da segnalare due particolari: il primo è l’esecuzione dell’inedito “Everything Dies” che gli Shining stanno proponendo da questo tour, prima ancora di averla resa disponibile sui vari social, e che ci lascia ben sperare anche per il proseguo dei lavori in studio; e il secondo è che da questa setlist i Nostri hanno escluso i pezzi strumentali che fino al tour precedente, invece, non erano mancati. Ce ne andiamo dunque ancora una volta sudati, stanchi ma decisamente soddisfatti da un concerto degli Shining, una band che vi invitiamo a seguire anche soprattutto in sede live, magari anche senza conoscerli, perché con loro sul palco il divertimento è assicurato.
(Emilio Cortese)

Setlist:
I Won’t Forget
The One Inside
Fisheye
My Dying Drive
Everything Dies
Last Day
Burn It All
House Of Control
The Last Stand
Need
The Madness And The Damage Done

 

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