16/11/2018 - SHINING (NOR) + ALITHIA @ Legend Club - Milano

Pubblicato il 26/11/2018 da

Report a cura di Giovanni Mascherpa

Per gli Shining il tour europeo di quest’autunno rappresenta un banco di prova importante. Jørgen Munkeby ha salutato momentaneamente il blackjazz per solcare i mari solo apparentemente più quieti del rock da classifica. Declinato nel caso degli Shining in un album, “Animal”, che trancia quasi totalmente i ponti con il passato in termini di suono, anche se la ricerca della semplicità e del chorus ad effetto erano già patrimonio del gruppo e talune tendenze si erano accentuate nel precedente “International Blackjazz Society”. Ora però il discorso si è fatto ben diverso: un passo di questo tipo mira sicuramente a scavalcare i confini del metal sperimentale, entro cui il combo norvegese era diventato uno dei paladini e delle entità comunque più facili da comprendere. In soldoni, quando si esce con un disco come “Animal”, al di là delle pulsioni artistiche, ci si aspetta un balzo in alto in popolarità e diffusione del proprio nome su ampia scala. Obiettivo che, almeno dalle nostre parti, non sembra essere stato centrato: poco prima dell’esibizione degli Alithia, combo prog australiano unico supporter del tour europeo, il Legend milanese, prima tappa della tre giorni italiana, appare quasi totalmente vuoto, con sole poche decine di persone all’interno del locale. La situazione non andrà a migliorare granché inoltrandoci nella serata, regalando una platea abbastanza sparuta. In linea, a dire il vero, con i precedenti concerti del 2015 e 2016: per il successo di massa, gli Shining dovranno ancora penare assai.



ALITHIA

Gli Alithia tornano dalle parti di Milano e dintorni praticamente a un anno esatto dal concerto di supporto ai Leprous, tenutosi al Magnolia. All’epoca si erano esibiti con una cantante ‘di scorta’, Marjana Semkina degli Iamthemorning, per cause di forza maggiore che avevano tenuto a casa il titolare John Rousvanis. Nel 2017 gli Alithia non si erano potuti esprimere nelle condizioni migliori, stretti in tempistiche serrate e con un settaggio dei suoni frettoloso che ne aveva annacquato l’impatto e appiattito le molte sfumature di suono. Al Legend le cose migliorano sensibilmente, anche se le ritmiche di chitarra vengono tenute molto basse nel mix e non godono della distorsione e del volume che meriterebbero. L’ampia formazione di Melbourne – sei elementi, di cui tre assiduamente impegnati alla voce – risente di un bacino di influenze amplissimo, che produce una forma di prog familiare ma aperta a ramificazioni piuttosto stravaganti. Mattatore e motore creativo è il sosia di Chuck Billy, Jeffrey Raul Ortiz Castro, che irradia suoni originali e accattivanti dal suo set di tastiere e percussioni ‘latine’: lo scatenato musicista diffonde pattern più assimilabili a quelli tipici della musica latinoamericana che non al metal, arrangiamenti pieni di inventiva che creano contrasti apprezzabili con gli elementi più, diciamo, ‘canonici’. Incentrati su ritmiche intricate e cariche di groove, richiamando l’effettistica della musica elettronica, i brani degli Alithia volano alti, ora trascinanti e beati, ora duri e spigolosi, suonando per sommi capi come una versione eccentrica e lussureggiante di prog-djent, ambito comunque ristretto per definire l’operato della band. L’intrecciarsi di voci segnala qualche difficoltà interpretativa di Rousvanis rispetto a Castro, che in teoria dovrebbe essere voce secondaria e in verità vince nettamente il confronto tra i due. In alcune circostanze i pezzi vagano un po’ alla cieca, sfibrandosi in mille rivoli, ma le doti strumentali e il piglio brillante dei ragazzi compensano ampiamente queste piccole défaillance. Ci piace anche sottolineare la grande gioia di suonare che emanano, di pose seriose qui non vi è l’ombra. Non abbiamo ancora avuto modo di saggiare la consistenza del nuovo disco “The Moon Has Fallen”, uscito a fine ottobre per Wild Things Records, mentre sul fronte live i Nostri sembrano essere maturi per palcoscenici importanti.

SHINING (NOR)

Capello biondo ossigenato e giubbotto rosso sgargiante con il logo di “Animal” in bella evidenza, Munkeby appare ben lontano dall’azzimato virtuoso che avevamo imparato a conoscere nei tour precedenti. L’unione cromatica e stilistica che l’intera formazione aveva in passato, rigorosamente vestita in camicia nera e pantaloni altrettanto scuri, viene disinvoltamente tradita, segnalando anche sotto questo profilo la discontinuità che il mastermind vuole ossessivamente far notare. Il nuovo corso di casa Shining, visto lo spazio concesso in setlist ad “Animal” (sette estratti), stravolge in effetti quello che eravamo soliti attenderci dai cinque. Le mirabolanti esperienze apocalittiche fatteci vivere in altre occasioni si diluiscono allora in una formula simile a esibizioni di compagini nettamente più orecchiabili, nonostante rimangano nelle corde del gruppo un impeto e un fomento non propriamente da semplici rocker. Cerchiamo di non porre troppa attenzione ai problemi alle chitarre di Munkeby, che a un certo punto dovrà ricorrere alla generosa offerta del chitarrista degli Alithia, Nguyen Phambam, di prestargli il suo strumento, per non compromettere il proseguo del concerto, quando a un certo punto entrambe le chitarre del frontman sembrano totalmente fuori uso. Una serie di pause che toglie ritmo e concentrazione e che in effetti affligge la prestazione, ma che preferiamo derubricare a semplice incidente. Su quanto effettivamente suonato, siamo in presenza di luci ed ombre, nonostante le prime siano nettamente maggiori delle seconde. Sui ‘classici’, vale a dire una “Fisheye” o una “I Won’t Forget”, l’esecuzione è chirurgica e dettagliata come d’abitudine, eppure, oltre a una voce leggermente sfiatata e meno tagliente del solito, si sente smorzato quell’alone di intelligente follia che normalmente questi brani possiedono. La stessa “The Madness And The Damage Done”, proposta prima dell’encore, non arriva alle marce alte, fermandosi qualche scalino sotto l’effetto-Big Bang che dovrebbe scatenare la sua esecuzione. L’efficacia dell’azione va in altalena, segnalando un filo di stanchezza e, per la prima volta, qualche piccola crepa nelle sicurezze di Munkeby e compagni. L’attacco con “Animal” e “My Church” dice bene, invece, sul valore dell’ultimo disco, che il sottoscritto ha giudicato in maniera eccessivamente severa in sede di recensione: il rock patinato dalle venature synth-pop e industrial di questo 2018 ha un potere circuente niente male, gli espedienti cui si ricorre – coretti, groove massicci, synth quasi da discoteca – saranno datati, ma funzionano che è un piacere. Delle canzoni di “Animal”, alcune vanno alla grande (elettrizzante “Smash It Up!”), altre scivolano via quiete (“When The Lights Go Out”); quando si va in territori di semi-ballad o suppergiù, si percepisce la mancanza ancora di una piena padronanza delle linee vocali, come succede nella comunque apprezzabile “Hole In The Sky”, emanante tenui atmosfere nordiche nei soffici tambureggiamenti elettronici. Non si può parlare di un concerto di scarsa fattura (il dinoccolarsi jazzato della strepitosa strumentale “Healter Skelter” varrebbe da solo il prezzo del biglietto): se uno avesse visto gli Shining al Legend per la prima volta, al netto di qualche incertezza, ne sarebbe rimasto impressionato; per chi ha presente le devastazioni nucleari delle altre occasioni, si è trattato di un set assolutamente piacevole, seppur avaro di punti esclamativi e totale rapimento.

Setlist:
Animal
My Church
Last Day
Everything Dies
Healter Skelter
Hole In The Sky
Fight Song
I Won’t Forget
My Dying Drive
The One Inside
Smash It Up!
The Madness And The Damage Done
Encore:
When The Lights Go Out
Fisheye

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