A cura di Marco Gallarati
Finalmente, dopo più di un anno di concerti tenuti a deciso regime, già supportando oltretutto nomi di alto rilievo della scena internazionale, e soprattutto dopo il notevole successo di critica e – si spera! – di pubblico ottenuto con la pubblicazione per Candlelight Records del loro disco d’esordio, i romani Shores Of Null approdano all’agognato release party giocando in casa, in un Traffic Live Club davvero preso d’assalto ed entusiasta. Anche chi scrive, nel suo piccolo, ha deciso di fare una capatina nella Capitale non solo per visita di cortesia, ma anche proprio per gustarsi questo evento rivelatosi, col senno di poi, di qualità musicale sopraffina e confermante la Città Eterna come vera (e unica?) fucina di band tricolori ultra-valide. Infatti, oltre ai capofila Shores Of Null, ansiosi di dare in pasto all’audience il loro gioiello “Quiescence”, della partita sono stati anche i notevoli semi-esordienti Otus, i già noti Black Therapy e i Juggernaut, formazione strepitosa all’epoca del debutto “…Where Mountains Walk”, poi eclissatasi nell’oblio e ora magicamente riapparsa in un’altrettanto strepitosa versione strumentale. Ma andiamo piano e torniamo con ordine alle 22 e qualche minuto, quando sul palco della venue romana salgono gli opener della serata…
OTUS
…ovvero gli Otus, combo nato soltanto nel 2012 e difatti avente in discografia il solo “Demo”, rilasciato un anno dopo la fondazione e contenente in pratica due sole tracce, “Turn On” e “Tune In”, divise a loro volta in due movimenti. Chiaro come il quintetto capitolino, nella sua mezzora a disposizione, riesca a proporre per intero il proprio debutto discografico, senza (quasi) mai interrompere l’esibizione, risoltasi a tutti gli effetti in un bel viaggetto psichedelico e straniante. Il logo dei Nostri si muove acido sia sul fondale del palco del Traffic, sia su una parete del locale, fornendo anche un minimo di ambientazione adatta che, per un opener di serata, non è certo un fattore scontato e/o tanto comune. I suoni sono già decisamente buoni, con le chitarre, spesso proponenti trame diverse, perfettamente udibili ed un basso viscerale e prominente. Lo sludge/doom metal carico di rimandi onirici della band fa presa sul già piuttosto nutrito pubblico, che resta degnamente rapito dalle urla del vocalist/synther Fabrizio Aromolo, perfettamente calato nella parte dell’urlatore disperato. Non mancano attimi più riflessivi e prettamente ‘vaganti’, di stampo meditativo, che fanno accostare gli Otus anche alle varie correnti e sottocorrenti post-, ma davvero non possiamo rimarcare nulla a questa formazione, autrice di una spessa e validissima performance. Prontissimi per la lunga, se non lunghissima, distanza.
BLACK THERAPY
I Black Therapy sono già un nome piuttosto noto, soprattutto nella scena locale e grazie ad alcune ‘supportate’ di rilievo – da ricordare quella ai Nile, lo scorso settembre, nel tour europeo di promozione a “At The Gate Of Sethu” – per cui riescono a richiamare sotto palco una ancor più numerosa quantità di gente. Gli autori di “Symptoms Of A Common Sickness”, fra gli attori di questa sera, sono i più violenti e, forse, i meno ‘in tema’…ma ciò vuol dire davvero poco, in quanto l’evento non è certo nato come monotematico, ma rispondente a canoni qualitativi sopra la media. Nonostante una ripetitività di soluzioni molto vicina alla testardaggine controproducente, soprattutto per quanto riguarda l’onnipresente screaming di Giuseppe Di Giorgio, la Nera Terapia fa pochi prigionieri e tutti gli accorsi paiono inneggiare ad un gruppo sicuro di sé e dall’approccio on stage aggressivo e vincente. Il loro set è stato più breve del previsto – o forse gli Otus hanno sforato di qualcosina – ma di un’intensità sopra le righe, sebbene, ripetiamo, il loro melodic death-black metal, seppur strumentalmente suonato con maestria, ci sia risultato un pochetto abusato e metodico. Una maggiore varietà, anche su palco, gioverebbe ai Nostri, ma forse il genere e la sua fetta di pubblico richiede poco altro che rasoiate sferzanti e terremotanti urlate a squarciagola. Bravi anche loro, ma un gradino sotto il resto della ciurma odierna.
JUGGERNAUT
Veniamo ai Juggernaut, attesi notevolmente da chi scrive, dopo averne recensito le ottime gesta in “…Where Mountains Walk” ed essersi profondamente prostrato durante il silenzio forzato della band in questione, oggi infine ritrovata in un’interessantissima versione strumentale. Soltanto due sono gli elementi superstiti della line-up che incise il debut-album: il bassista – e colui che più si avvicina al concetto di frontman – Roberto Ceppitelli ed il chitarrista Luigi Farina, mentre i due ‘nuovi’ arrivi rispondono ai nomi di Andrea Carletti e Matteo D’Amicis, rispettivamente all’altra chitarra e alle drums. Partiamo dal fondo, quando, dopo oltre mezzora, i Juggernaut rompono il silenzio vocale annunciando, con svariati probabilmente, la prossima uscita su Subsound Records di un disco di materiale inedito, la prima pubblicazione ufficiale di carattere strumentale. Setlist, quindi, quasi interamente dedicata alla proposizione dei nuovi brani: potenti, dinamiche, organiche-ma-psicotiche sinfonie ad ampio spettro che non temono sperimentazioni di nessuna sorta, lambendo ambiti post-core, math-, psych-, doom, jazz e quant’altro di strambo, se accostato, vi possa venire in mente. Il tutto mantenendo una coerenza stilistica, compositiva e anche interpretativa davvero invidiabile, lasciando come unico collegamento al passato l’esecuzione rivista dell’antica “Nailscratched”. I Nostri hanno classe da vendere a manciate, ma non stanno assolutamente a rimirarsi allo specchio o – ancor peggio – a pavoneggiarsi della loro perizia; appaiono umili, concentrati, professionali e sudati, con il sorriso di Roberto sempre presente tra un’interruzione di canzone e l’altra a testimoniare la presenza di spirito, la voglia di suonare e la consapevolezza di avere per le mani della musica di livello internazionale. Da applausi, ad esempio, la folle versione del tema del capolavoro Hitchcockiano “Psycho”, peraltro baciata, così come tutta la performance, da suoni nitidissimi, i migliori del concerto. Sono anni, ormai, che le formazioni strumentali prendono sempre più piede nella scena post-metal, alternativa e post-core – e alcune, a dire il vero, vedasi i prime-mover tedeschi Long Distance Calling, stanno inserendo voci nella loro proposta anche per, forse, discostarsi dal trend no-vocals; ma davvero, quando la musica è stilisticamente, emozionalmente e tecnicamente di qualità sopraffina, come nel caso dei rimodellati Juggernaut, non ci dovrebbe essere pensiero che conti, ma solo orecchie per ascoltare e mani per applaudire. A presto, speriamo!
SHORES OF NULL
Ma il pezzo forte della serata, nonostante le belle/ottime prestazioni offerte finora dalle formazioni chiamate sul palco, sono ovviamente gli Shores Of Null, autori di “Quiescence”, un debutto a dir poco convincente e che sta facendo proseliti e raccolta di ottimi giudizi un po’ ovunque. Non è un release party che si rispetti se la band protagonista non esegue per intero il disco da presentare – sebbene ormai il loro sia da considerare quasi ‘vecchio’, tenuto conto da quanto tempo i ragazzi romani lo stanno suonando in giro – e quindi spazio all’intera tracklist di “Quiescence”, con in più un bis riservato a “Souls Of The Abyss”, ripetuta in quanto, a tutti gli effetti…i Nostri non hanno ancora un repertorio ampio tale da farli suonare per più di tre quarti d’ora. E troviamo sia giustissima la scelta, magari nemmeno presa in considerazione, di non preparare qualche cover per salare inutilmente una pietanza già ottimamente saporita. I suoni del Traffic rendono abbastanza giustizia alla grandiosa produzione del lavoro in studio, nonostante i volumi risultino un po’ troppo alti, saturando leggermente le chitarre e limitando di poco la percezione della voce di Davide Straccione, abile, efficace e ‘semplice’ nel padroneggiare le plumbee arti del ‘frontman di una band di death/doom metal atmosferico’. E, sempre restando in ambito vocale, fa piacere scoprire come dal vivo tutta la band si renda protagonista al microfono, alternando le backing vocals tra il contrappunto pulito di Gabriele Giaccari, la timbrica più scream del bassista Matteo Capozucca e attimi di supportante growl affidati a Raffaele Colace. Coesa, esperta e già matura anche on stage, la compagine capitolina miete un caloroso successo tra i tanti appassionati accorsi, coinvolti e ipnotizzati dall’epica e malinconica forza travolgente di brani quali “Ruins Alive” (il capolavoro degli Shores Of Null?), “The Heap Of Meaning”, “Time Is A Waste Land” e “Kings Of Null”, oppure dall’incedere ossianico e crepuscolare di “Quiescent” ed “Eudaemonia”. Insomma, pollici alzatissimi per gli Shores Of Null anche in versione live, e ora non vediamo l’ora di rigustarceli presto, possibilmente in veste di protagonisti di tour ed eventi all’estero, in quanto questi ragazzi hanno realmente tutti i numeri per fare il botto senza se e senza ma! E chi scrive, fra le altre cose, può prendere il volo di ritorno per Milano pienamente soddisfatto…